La vera enciclica di papa Francesco


Strana fisicita', quella di Bergoglio. Assai diversa da quella poderosa di Wojtyla e da quella rarefatta, marmorea di Ratzinger. Forse sarebbe più corretto parlare di presenza. Bergoglio, insomma, c'è. Non per tutti: per ognuno. Come ha osservato acutamente Enzo Bianchi, Giovanni Paolo II parlava alle folle, Francesco ai singoli. È il parente che ti ritrovi a casa. Non sorprende abbia chiesto di far rimuovere la statua in suo onore inaugurata in Argentina due settimane fa. Non è lui, non vuole essere lui l'oggetto d'un culto. Il Pontefice è un pontiere verso una meta altra.

Rinunciando a essere monumento, Bergoglio accentua quella sua fisicita'. La umanizza maggiormente. Diviene, vuol essere, soggetto.
Due giorni fa, a Lampedusa, la sua fisicita' mi è apparsa così duale. Sembrava più giovane, e nel contempo già in declino. Più che un Papa, ricordava un prete. Lo sguardo affilato e mesto. Quasi buttato là, quel fisico, con una certa malandata trascuratezza, come nella foto in metropolitana divenuta celebre dopo l'elezione al soglio. Ritorna l'immagine del parente casalingo. Fors'anche, appena uscito da una casa di degenza. 
Bergoglio papa, a Lampedusa, l'ho percepito così. L'ho vissuto in quella sua folgorante, dolcissima, semplice e perciò dura, difficile omelia. L'ho avvertito nei sorrisi dispensati ai migranti, per una volta non più clandestini. Sorrisi partecipi ma sempre discreti, quasi timidi, perché di fronte a chi ha tanto sofferto anche l'amore deve declinarsi con sapienza e non limitarsi a un banale moto dell'animo.
Ma l'occasione non era lieta, non voleva esserlo e non lo è stata. Il Papa "parente" si è dimostrato tale soprattutto nel lancio della corona di fiori nel Mediterraneo. Non per la platealita' del gesto. Ma perché, ancora una volta, egli ha saputo spostare, decentrare l'attenzione. Si è messo al centro restando in periferia. Il protagonista non era lui, ma l'acqua e, sotto quell'acqua, altri fisici, altri corpi mai più emersi. Destinati a non aver volto né nome. Bergoglio non ha voluto lasciare nemmeno quei corpi totalmente soli.  
Ed era triste, impotente. Per se', come rappresentante di un mondo che ha permesso quella sconfitta, quell'anonimato di corpi disperati.
Ha letto la scritta a spray colorato sul lenzuolo svettante sul fusto di una raffineria: "Benvenuto tra gli ultimi". Semmai, un bentornato. Perché il posto "naturale" di un Papa dovrebbe essere quello. L'istituzione si siede al tavolo dei potenti, si pasce di diplomazia, politica e affari. Il corpo del Papa, cioè a dire del padre, del parente casalingo, sta in penombra tra le mura domestiche, pronto ad accorrere al più flebile richiamo.
Gli ultimi. Oltre, non si va. Oltre Lampedusa, non è più Europa. O non è forse "soprattutto" Europa?
Lampedusa è chiarore potente. Non esiste aurora, a Lampedusa: solo un abbacinato indaco, perenne come il deserto. Lampedusa è radice. Sì, questa è l'Europa, qui la principessa fenicia del mito torna a svelarsi. Il cuore ascoso del continente più artificiale del mondo non si trova negli uffici della BCE, cattedrali anch'esse, ma d'un dio minore, freddo e impersonale. Pulsa qui, in quest'angolo che invece è un'agora', una piazza immensa, dove la maggior parte degli uomini esige il suo diritto a esistere con dignità. Gli ultimi saranno i primi? Quando si realizzerà questo futuro?
Perciò la porta di Lampedusa ricorda tanto quella degli schiavi imbarcati sulle negriere verso lo sfruttamento e la morte. Perciò Bergoglio ha usato proprio questo termine, schiavitù, e ha chiesto scusa e ha denunciato, perché non basta commiserare, non basta piangere. L'umanitarismo non è più sufficiente, occorre umanità. La preghiera si fa quindi anche politica, vale a dire arte della polis, torna a essere quell'agora' nella quale si discute, ci si confronta e si chiedono cambiamenti. Anche radicali. Quell'espressione papale subito rimbalzata di luogo in luogo, "globalizzazione dell'indifferenza", non poteva essere più indovinata e terribile. Implica necessariamente un mutamento di prospettive, un'azione. Nella visione del Papa, abbandonare Dio significa confondere il bene col male, ritenere normale l'intollerabile. Ed è quanto finora abbiamo fatto, in perfetta coscienza, verso i "migranti" ma, in fondo, verso ognuno di noi. Bergoglio non è un irenista né un demagogo. Non lo è, osserva qualcuno, anche per la sua vicenda personale, a sua volta figlio d'immigrati ecc. Probabile. Ma per giungere alle sue conclusioni basterebbe prendere sul serio il Vangelo. Anteporre il calcolo alla totalità dell'uomo non è realismo, ma solo grettezza e ottusità. Quando Dio abbraccia l'uomo ne conosce i limiti, i tradimenti e le mancanze. E, nonostante questo, lo accoglie. Si fida di lui perché sa che è, può essere, anche altro, perché in fondo ha solo quest'uomo imperfetto da amare.
I "migranti" non sono né tutti buoni, né tutti santi. Non lo è nessuno di noi, però. Non siamo numeri da statistica. Diveniamo migranti perché noi stessi abbiamo creato un sistema economico, sociale, storico che ci reifica. È giunto il momento, ed è questo, di gridare una simile verità.
E la verità colpisce inesorabile. Non meraviglia la stizza di esponenti della destra italiana, convinti papisti fino all'altro ieri e pronti a stipulare patti d'acciaio col Vaticano in nome dei "valori non negoziabili" (aborto, famiglia tradizionale, bioetica, crocifissi da brandire negli uffici pubblici...). Oggi improvvisamente si riscoprono paladini della laicità, arrivando a rimproverare il Papa di ingerenza. Un conto sono le prediche, un conto la politica, si lascia sfuggire, nel suo italiano da Bar Sport, un rabbioso Cicchitto, senza conoscere il significato né dell'uno né dell'altro vocabolo (per sorvolare sul concetto di laicità, evidentemente troppo complesso per i governanti nostrani). Quanto alla Lega, l'esponente di punta del razzismo e della xenofobia più marcati, la stizza si è già tramutata in odio nello sgangherato lessico di Boso, ormai apertamente fascista: "Me ne frego delle parole del Papa, io quando un barcone affonda sono contento". Costoro erano i chiassosi fautori dell'"Europa bianca e cristiana". Dai loro frutti si sono riconosciuti, non occorreva aspettarne la prova. Non sono i soli, però.
Il Vangelo di Bergoglio - il Vangelo - suscita repulsione nei benpensanti d'ogni specie. Di qualsiasi credo politico. Tra gli amanti delle soluzioni semplici e facili. I manichei. Quelli pronti ad additare il nemico, che naturalmente è sempre l'altro, fuori e lontano da noi, ben visibile, diverso anche somaticamente, perché i luoghi comuni sono pure razzisti. Così, non pochi cosiddetti laici-razionalisti-progressisti si trovano oggi affiancati alle destre nel sentimento di stizza e odio verso il Papa. Qualcosa non ha funzionato. E sotto sotto rimpiangono i "bei tempi" in cui si poteva attribuire al Vaticano qualsiasi nefandezza, tuonare inorriditi e compiaciuti contro la pedofilia di certi preti nascondendo così dietro l'alibi delle sacre sottane la propria totale mancanza di senso morale, la connivenza o almeno l'accettazione di una società fondata su consumismo ed edonismo e, dunque, intrinsecamente monadica, strutturata su rapporti di forza e squilibrio dove i soggetti indifesi (bambini, donne, immigrati...) diventano cose da godere, o sfruttare, a proprio esclusivo piacimento. L'eliminazione del sacro non ha reso l'uomo più libero ma piuttosto meno umano, in balia di pulsioni solitarie e totalizzanti cui obbedire come a un imperioso padrone. Ecco, a costoro una Chiesa che li mette di fronte alle proprie responsabilità non può che disturbare. E reagiscono. "Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi tu vinci" diceva Gandhi. Siamo tra la seconda e la terza fase. Circolano ancora i filosofi disincantati, i sapientoni, gli scettici professionisti, che con una smorfia sprezzante, pur se sempre meno tranquilla, cercano di liquidare i gesti di Bergoglio come marketing, strategia, piacioneria. Ma, accortisi di perdere terreno e consensi, alcuni di loro hanno già cominciato ad alzare la voce, se non a sbraitare, e allora i toni, persino le argomentazioni, collimano pericolosamente con quelli di Cicchitto e Borghezio: "Paga l'Imu! Prenditeli tu in Vaticano! C'è lavoro solo per noi! E poi, insomma, se dobbiamo dirla tutta questi 'estracomunitari' a me sono sempre stati !...". L'ipocrisia disvelata provoca un cortocircuito delle coscienze. Squarcia il velo delle false certezze. Don Milani direbbe: "Li fa stare col culo stretto".
Per questo la vera enciclica, il vero documento programmatico del pontificato di Bergoglio non è l'algida "Lumen fidei" redatta quasi totalmente da Ratzinger. Lo è, se s'intende il motivo profondo delle scelte di Francesco, né progressiste né conservatrici, non di destra né di sinistra, ma interamente immerse nel Vangelo. Perché - è sempre Bergoglio a ricordarcelo - "la Chiesa non è un'Ong". E, d'altro lato, è lo stesso Vangelo a imporre delle scelte, a prendere "una parte" - don Tonino Bello chiamava Maria "donna di parte": la parte degli emarginati, dei tribolati e dimenticati, cfr. Magnificat -: e non tutte le parti sono neutre e indifferenti - non "globalizzate". Preghiera chiede azione: forse per questo Gesù non ha lasciato scritto niente. Si è trasmesso a noi tramite testi altrui, ma per incontrarlo veramente dobbiamo arrivare alla sua persona. Ognuno di noi. Come ha tentato di fare, per un lunghissimo e storico giorno, il papa Francesco, ma soprattutto l'uomo Bergoglio, in quell'ultimo straccio di mare, di fronte a bare liquide e mute.

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