«I miei versamenti all’Enpals sono svaniti: per me neppure una pensione» la denuncia
«Non mi è rimasto niente. Neppure la pensione. I miei versamenti di quasi 50 anni di lavoro sembrano infatti essere svaniti». Lucio Salis, classe 1947, racconta un capitolo incredibile della sua vita complicata e ricca di esperienze. «Alcuni anni fa - dice - andai dal direttore generale dell’Enpals per verificare la mia situazione previdenziale. Con me c’era il povero Franco Bracardi, sceneggiatore, attore e musicista che diventò famoso come pianista del Maurizio Costanzo show. Ebbene, il direttore dell’ente mi disse che sarei potuto andare in pensione alla fine degli anni Novanta con un assegno di 12 milioni di lire, circa seimila euro, al mese». Continua Salis: «L’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo incamerava circa il 30% dei cachet. Due anni fa l’ente confluì nell’Inps e in quel passaggio accadde qualcosa che sto cercando ancora di capire: tutti i miei contributi sono infatti spariti. All’Inps non risulta alcunché. E oggi che non mi permettono di fare il mio mestiere, sono condannato a non poter andare in pensione. È mio diritto sapere cosa è accaduto, dove sono andati a finire i miei soldi».
«L’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo incamerava circa il 30% dei cachet. Due anni fa l’ente confluì nell’Inps e in quel passaggio accadde qualcosa che sto cercando ancora di capire: tutti i miei contributi sono infatti spariti. All’Inps non risulta alcunché. E oggi che non mi permettono di fare il mio mestiere, sono condannato a non poter andare in pensione. È mio diritto sapere cosa è accaduto, dove sono andati a finire i miei soldi».
Un comico cyhe da fastdio infatti
Francesco Cossiga Il presidente non sopportava le gag di Tzia Peppa. Mi chiamò Sergio Berlinguer
silvio berlusconi Mi offrì contratti miliardari ma alla fine fui liquidato con 24 milioni di lire
antonio ricci Faceva da tramite con il Cavaliere e sospese la mia partecipazione a Striscia
di Piero Mannironi INVIATO A OLBIA
I potenti hanno paura della satira perché niente è più irriverente ed eversivo del sorriso. Che può frantumare i bastioni della paura, rendendo ridicolo, e quindi umano, il potente. Il sorriso è infatti capace di scomporre gerarchie sociali e indebolire il “sistema”, che viene sezionato e raccontato con le parole acuminate dell'ironia. Ecco perché il potere non tollera la satira e, quando può, cerca di cancellarla. Il sistema è semplice e violento: si impedisce l'accesso al palcoscenico e così si “ruba” la platea. E allora per chi fa satira diventa inutile parlare, perché tanto nessuno ti può più sentire. Poi, ci
penserà il tempo a cancellare tutto. Così è accaduto molte, troppe volte. Così è accaduto a Lucio Salis, oggi 66 anni, sardo di Santa Giusta, artista ingiustamente dimenticato. Lui, autore e attore, eclettico e vulcanico organizzatore di eventi e inventore di personaggi, è scomparso da anni nel nulla. Dimenticato, rimosso. «Preferisco dire epurato e condannato al silenzio» dice lui con un sorriso triste nel suo piccolo appartamento di Golfo Aranci. Lucio Salis non è stato una meteora, una fortunata invenzione della tv berlusconiana degli anni Ottanta. È infatti un uomo che è arrivato al successo dopo un lungo e complicato percorso artistico. Raggiunge la grande notorietà però solo negli anni Ottanta, quando entra nel tempio del cabaret televisivo di Antonio Ricci: Drive in. La trasmissione diventa presto un fenomeno di costume e lui, Lucio Salis, è una delle stelle del programma. Inventa un personaggio che “buca” il video: il sardo che commenta il costume e la politica del Belpaese con battute al fulmicotone, irriverenti e graffianti. Una sorta di Bertoldo moderno, arguto e candido, che fustiga i potenti con una satira corrosiva e che, con lo sberleffo, cattura la risata. Salis condisce le sue scorribande verbali con una battuta ricorrente con la quale, ammiccante, lancia un messaggio di complicità al pubblico: “Cappitto mi hai?”. Un refrain che diventa presto un tormentone. Quando c’è lui gli ascolti si impennano e la concorrenza della Rai viene stracciata. La consacrazione arriva con il telegatto d'oro. Quella di Lucio Salis è una rivoluzione nell'universo della comicità italiana. Perché con lui la satira irrompe nella politica, fino ad allora uno spazio considerato tabù. Almeno nel piccolo schermo. Sono gli anni del craxismo rampante, del consolidamento del potere di Cossiga e nei quali Berlusconi si afferma come imprenditore di successo. E l'inizio della fine è proprio in quegli anni di successo folgorante. Lucio Salis ha purtroppo due soli padroni: il pubblico e la sua autonomia intellettuale. Il compromesso è un metodo che non gli appartiene. Tra le sue “invenzioni” nasce la caricatura della zia di Cossiga, Tzia Peppa. L'obiettivo è ovviamente l'inquilino del Quirinale che però si irrita per le battute e le gag di quel sardo che, nella trasmissione Striscia la notizia, lo punzecchia e lo irride. «Mi ricordo che un giorno mi telefonò Sergio Berlinguer – dice Salis –, segretario generale del Quirinale. Con molta cortesia, ma anche decisione mi disse: “Al presidente non piace quello che stai facendo. E poi, tra sardi... sai non è bello”. Io ovviamente continuai e le pressioni si spostarono su Berlusconi. Lui si fece due conti: gli costavo due milioni lordi la settimana e gli portavo contratti pubblicitari per miliardi. Poi seppi che si era messo di mezzo anche Craxi che malsopportava le mie battute sul Psi. Allora Berlusconi mi fece chiamare da Ricci e mi propose di sospendere la mia partecipazione a Striscia la notizia. In cambio, mi offrì contratti per 28 miliardi di lire in tre anni. Come attore, autore e regista di miei format televisivi. Come se non bastasse, avrei avuto un supporto nella realizzazione di due miei film». «Ma c'era un ma – continua Salis –, una condizione: sarei dovuto diventare uomo-immagine e promotore della nascente Forza Italia. Sì, perché cosa che pochi sanno, il progetto di creare un soggetto politico risaliva a quegli anni, molto prima, dunque, del 1993. Io dissi no. Era come un mettermi le catene, omologarmi a un mondo che io attaccavo tutti i giorni con la mia satira. Era come chiedermi di tradire me stesso... E rifiutai. Fui così cancellato, “epurato”. Di più: non mi pagarono neppure un centesimo. La cosa che più mi ferì fu il metodo che utilizzarono per azzerarmi. Ai giornalisti che mi cercavano a Mediaset facevano rispondere: il signor Salis non lavora più con noi perché è scappato senza pagare l’albergo. Alcune grandi firme come Beniamino Placido e Leandro Palestini chiesero stupiti: “E da quando in qua una vostra grande star si deve pagare l’albergo qui a Milano?” “Non lo so – rispondevano le segretarie – mi hanno detto di rispondere così”». Lucio Salis continua: «Dopo sei mesi feci causa, ma accaddero cose molto strane in quel periodo. Alla fine mi fecero firmare due chili di carte e mi diede un assegno da 24 milioni. Tutto finito, tutto qui. A oggi, Silvio Berlusconi mi deve qualche milione di euro, 22 anni di vita, una famiglia e la mia dignità». Da allora comincia la caduta. Anche il sogno di creare un grosso centro di produzione cinematografica in Sardegna si arena. «Era il 1988-1989 – dice Salis –. Era un'avventura affascinante che avrebbe meritato successo. Il progetto era quello di creare una cittadella del cinema e della musica in uno dei posti più belli della Sardegna. Io sono stato sempre convinto che se i Beatles avessero inciso i loro dischi non ad Abbey Road, ma altrove, il loro successo sarebbe stato identico. Perché non è importante dove tu fai una cosa, ma come la fai. Ci misi tutto quello che avevo, circa due miliardi di lire, nella “Cooperativa cinemazione”. Poi la Regione, che mi aveva garantito l'appoggio, fece un passo indietro. Mi dissero: si prenda questo miliardo e 300 milioni e se ne torni in Continente. Era la fine. Da allora non mi sono più ripreso». Comincia così la parabola discendente, anche se Lucio Salis cerca di trovare spazi nel mondo del cinema. Un mondo che conosce molto bene, visto che negli anni precedenti aveva avuto contatti e frequentazioni con mostri sacri come Federico Fellini, Sergio Leone e Ugo Pirro. Ad aprirgli le porte del cinema era stato Nanni Loy che lo aveva introdotto in “Cinema democratico”. Con Renato Pozzetto gira “Porca Vacca” per la regia di Pasquale Festa Campanile e “Baciami Strega” di Duccio Tessari. Partecipa poi al remake di “Cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Giuliano Montaldo, andato in onda su Rai3, interpreta alcune puntate di “Classe di ferro” di Bruno Corbucci ed è protagonista di “Sos laribiancos”, i dimenticati, di Piero Livi. Ma si fa notare soprattutto in Magnificat di Pupi Avati, che si merita una nomination al festival del cinema di Cannes. Nel mentre si esaurisce la sua collaborazione con la Rai, dove era entrato grazie a Nanni Loy che lo aveva “scoperto” durante la preparazione di una puntata di “Radio anch’io” e lo aveva subito voluto con se. Così Salis, con "Via AsiagoTenda", "Permette, cavallo?", "Ribalta aperta", "Sapore di Salis" e "Il Guastafeste" era diventato una delle voci più ascoltate della radio pubblica. «Nella radio – ricorda – c’era più libertà, meno censure rispetto alla tv». Torna così in Sardegna e sopravvive grazie a un talk-show su Tele Nova di Oristano e qualche comparsata sporadica. Una sua rentrée a Zelig si arena subito. Il comico “epurato” torna dove aveva cominciato la sua carriera come produttore musicale alla fine degli anni Sessanta, diventando la mente del complesso Salis'n Salis, del quale facevano parte due suoi cugini (Francesco e Antonio) di sicuro talento. Per loro scriveva canzoni, organizzava concerti e tournée e produceva dischi. «Oggi – conclude Lucio Salis – cerco di sopravvivere. Con fatica. L’effetto dell’epurazione della quale sono stato vittima è stato devastante nella mia vita professionale e privata. Oggi cerco ancora di lavorare, di proporre le mie idee e i miei progetti che potrebbero fare economia e aiutare il turismo. Ma nel mondo della politica non trovo sponde. Forse mancano coraggio e fantasia».
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