da www.olbia.it
Golfo Aranci, 2 giugno 2019
Con quella dei delfini di Cala Moresca, l’amicizia tra Paolo Porcelli e Jonathan, gabbiano buongustaio, è diventata un’attrazione che incuriosisce i turistiala Moresca, l’amicizia tra Paolo Porcelli e Jonathan, gabbiano buongustaio, è diventata un’attrazione che incuriosisce i turisti
Sono occhi placidi, in cui sembra riprodursi il tersissimo fondale tra Cala Moresca e Figarolo. Più che un dono genetico avuto dal padre immigrato dalla Campania e dintorni – come accade per buona parte dei nonni dei golfarancini attuali – da ieri sono più propenso a credere che quel rasserenante riflesso azzurro-mare sia sopraggiunto in un secondo momento, in età adulta, per un rarissimo miracolo di Poseidone – pagana divinità del mare – che solo in Sardegna, e per alcuni, anzi pochissimi fra i sardi, si degna eccezionalmente di manifestarsi in tal modo. Poseidon lo protegge e lo tutela in tutto ciò che tocca e fa, sul mare e sotto il mare. E dal mare l’uomo dagli occhi cerulei trae le sue benedizioni, i suoi prodigi, per poi offrirli all'altrui stupore.
Mi capita ancora – e ho dovuto chiedergli scusa più di una volta – di chiamarlo per errore Marco. Lui è sembrato rimanerci un po’ male. Ma il fatto è che qui, se qualcuno domanda dov'è ormeggiato il suo grosso cabinato vintage varato quarantadue anni fa, quello che accoglie dieci curiosi per volta, di ogni dove del mondo, per ammirare i delfini in libertà di Cala Moresca che si avvitano su se stessi, sinuosi, intorno e sotto la chiglia meglio che in un acquario californiano, tutti questi curiosi chiedono di “Marco del Mare”. Finendo così per scambiare nome di natante con nome di nocchiero. E Paolo, Paolo Porcelli, se dobbiamo proprio dire anche il suo cognome, si dovrà rassegnare, prima o poi, a sentirsi appellare con questo nuovo gentilizio, conquistato in anni ed anni di lavoro di sommozzatore e di guida delle meraviglie del feudo golfarancino di Poseidon.
“Marco del mare” (forse non tutti lo sanno) , non è un nome di barca inventato lì per lì. Fu una delle prime realizzazioni cinematografiche a regia del compianto Piero Livi. Un corto in bianco e nero pluripremiato (anche a Cannes) e girato nel 1957 con lo sfondo perenne di Figarolo e Capo Figari. Oggi “Marco del mare” naviga lento al suono delle canzoni di Adriano Celentano e dei Boney M, e ripercorre le stesse rotte litoranee della barchetta del giovane pescatore di Golfo Aranci protagonista del film, interpretato dal bellissimo Matteo Maciocco. Il Marco di Piero Livi si aggirava penoso dopo la tragica e prematura morte in mare, senza poter più comunicare con la giovanissima vedova ed il piccolissimo figlio che portava il suo stesso nome. Forse il suo spirito si aggirava ancora e ci spiava, ieri, celato tra gli scogli dei “Baracconi”, mentre mamma delfina Dafne, che ogni tanto allatta Gioia, delfino giocherellone di un paio d’anni, si faceva depositare in bocca un’orata freschissima da trecento grammi, e con la delicatezza di una farfalla la estraeva dalla mano di Paolo e se la portava giù verso il fondale cristallino.
“ Quando allattano mangiano esclusivamente pescato di giornata – mi spiega Paolo – mentre normalmente accettano il pesce anche di due tre giorni”. Attenzioni estreme di una madre per il suo cucciolo già adolescente, ma che ancora poppa il latte davanti a noi. “Ci ho messo due anni almeno per conquistare la loro fiducia. All’inizio il maschio dominante, che abbiamo battezzato Saddam, mi strappava il pesce dalla mano con brutale violenza, provocandomi anche ferite alla mano. Forse non accettava l’intruso, o forse tale mi considerava”. Paolo è però tutt'altro che intruso in questa nicchia di paradiso tra Cala Moresca e l’isolotto di Figarolo, dove ogni giorno si compie il miracolo del suo incontro con i regni della natura.
“Eccoli, li vedete, laggiù, in basso? È una madre che sta allattando il suo piccolo!”. Stavolta la scena si è spostata sui calcari impervi di Figarolo, nel versante di libeccio. Un muflone femmina ci vede, siamo lì a pochi metri, tutti scattiamo foto e filmiamo, ma lei non scappa. “Come, non scappa? – mi chiedo fra me e me -. Un muflone selvatico scappa sempre a gambe levate quando vede l’uomo a pochi metri. È una legge di natura. Questa invece continua beata a brucare beata gli ultimi ciuffetti verdi di erba, regalo tardivo del maggio più piovoso e freddo del secolo, e ad allattare il piccolino che ci guarda pure e sembra addirittura salutarci”. Resto sorpreso, perplesso.Finito il periplo di Figarolo ci riappare Cala Moresca nello splendore fatato del primo giugno. “Io lo vedo già, l’ho riconosciuto, è l’unico che volteggia planando sulle nostre teste”, avverte Paolo. Guardo in alto e vedo un piccolo stormo di gabbiani che sembra disturbato dal nostro arrivo. Uno di questi in effetti non batte le ali bianche e grigie, come se si preparasse all'atterraggio. Mai avrei immaginato che lo facesse inaspettatamente fra le mie gambe, mentre distrattamente mi godevo la vista dell’insenatura. Una giovane coppia inglese, discreta e garbatamente riservata come solo quel popolo sa essere, ha un sobbalzo. La loro meravigliosa bimba, che pare comprata in un negozio di bambole degli anni Sessanta, batte le mani squittendo. È il rumore più percepibile che la piccola famiglia riesce a esprimere per l’intera durata dell’escursione.
Jonathan. Quale altro nome poteva essere dato a un gabbiano? Nella fiaba di Richard Bach, libro cult degli anni Settanta, il gabbiano Jonathan Livingston si allontana dal suo stormo, i cui membri pensavano solo a procacciarsi il cibo e alle cose materiali, e preferisce volare, volare alto, sempre più in alto, dove gli altri non arrivano, non sanno arrivare e nemmeno ci provano. Invece il nostro Jonathan, il Jonathan di Golfo Aranci, fa esattamente il contrario. Lui lascia gli altri a volteggiare sopra di noi, in alto, e piomba a capofitto sulla barca di Paolo perché, da buon gabbiano sardo, ama il pecorino, e sa che lui gliene ha messo da parte una bella porzione. Jonathan oltre che intenditore di formaggi nostrani (guai però a rifilargli la buccia) è scaltro e, come ogni gabbiano che si rispetti, intraprendente. Anche troppo. Nel video che pubblichiamo è lì che in pieno inverno bussa alla finestra di Paolo per chiedere cibo. Lo fa la mattina prima dell’alba, lui non ha bisogno di regolarsi la sveglia. “In questo periodo non viene, perché è il periodo della cova, ma lui sa bene dove e quando cercarmi, e sa anche aspettarmi quando faccio le escursioni. Ha scoperto da solo la mia casa davanti al porto, dopo avere studiato i miei movimenti. Una volta che tardavo a rispondere e ad aprire la finestra ha preso con il becco un piattino dove avevo messo il rosmarino a seccare, e lo ha buttato per terra con violenza.” Dispettoso e permaloso come una scimmia, anzi, come un gabbiano sardo.
Dopo essersi rimpinzato di formaggio dalle mani di noi tutti Jonathan si alza improvvisamente in volo se ne vola verso sud, piantando in asso tutti senza nemmeno salutare. I delfini sono più educati: danzano ammiccanti nel loro lento congedo, e danno l’arrivederci al giorno dopo con un sbuffo delicato, piuttosto un soffio vitale che rilascia mille bolle d’aria a salire in superficie. Jonathan tuttavia è l’altro prodigio che Poseidon esiliato in questi luoghi ha concesso al suo prediletto Paolo, alias “Marco del Mare”.
Il sole affonda inesorabile dietro il colle di Saccuri. Ormeggiamo e salutiamo gli educatissimi turisti stranieri, i primi della stagione iniziata così tardi. “La prossima volta non venire solo, porta anche Patrizia”, mi raccomanda mentre sbarco. Sta seduto a poppa a godersi l’ultimo raggio di sole insieme ad Irene, sua giovanissima assistente ed interprete. “Sarà fatto, garantito” rispondo con un sorriso di conferma. E per un attimo, lì a prua, quasi come in un riflesso soprannaturale, mi sembra di intravedere Poseidon che solenne mi saluta, circondato da cortei festosi di Tritoni e Nereidi, e dagli immancabili delfini.
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