Ziauddin Yousafzai sapeva, ben prima di avere una famiglia sua, che non voleva fosse come quella da cui veniva lui. Sapeva che voleva per le sue figlie una vita diversa da quella delle sue sorelle, che avevano i pezzi di polli peggiori, memo scarpe e meno vestiti, nessuna educazione scolastica, e da quella di sua madre che non poteva uscire da sola e non aveva documenti. Ziauddin Yousafzai è il padre di Malala, la giovane pakistana premio Nobel per la pace.
Nel libro Let Her Fly: A Father’s Journey, Lasciarla volare: il percorso di un padre, racconta la battaglia per i diritti delle donne e la sua relazione con la figlia.
«Quando ho sposato mia moglie, Toor Pekai», spiega sul settimanale Time, «abbiamo deciso di mantenere la parità in famiglia, rispettandoci come partner e crescendo nostra figlia Malala esattamente come i nostri figli Khusal e Atal». Una scelta personale venuta dall’esperienza perché quest’uomo racconta di non aver sentito la parola femminista fino ai 45 anni, fino all’attacco contro la figlia, colpita dai Talebani perché andava a scuola, e al trasferimento a Birmingham nel Regno Unito. «Era però femminismo quello che avevo cercato di mettere in pratica per anni nella mia famiglia e nella mia comunità».
«Credo», prosegue, «che i padri abbiano un ruolo cruciale nella lotta per i diritti delle donne. Certamente quando i tuoi diritti sono violati è la tua voce quella da far sentire più forte per combattere l’oppressione. Per questo le voci delle donne sono le più importanti nel femminismo, ma, nelle società patriarcali, la voce di un padre è la seconda per importanza nel far partire il cambiamento».
Secondo il padre di Malala è la famiglia il punto di partenza della rivendicazione dei diritti delle donne. «Quando un padre comincia il percorso nel femminismo può cambiare il futuro di tutta la sua famiglia». Lui stesso non sa perché ha cominciato questa battaglia, forse perché era stato bullizzato da piccolo per la balbuzie e la pelle scura. «Ero arrabbiato per qualsiasi tipo di discriminazione contro qualcuno solo per essere nato in un certo modo».
Di una cosa è certo: il patriarcato non funziona, la vita costruita in questo modo è triste e frustrante per chiunque. «Ho visto famiglie in Pakistan con un figlio e cinque o sei femmine e solo il padre lavora perché questo impongono le norme sociali e solo il figlio lavorerà. Tutto il peso su di loro perché le ragazze devono stare a casa, non possono studiare e avere un lavoro, solo aspettare di trovare un marito. Questo ragazzo sacrifica la sua vita e le ragazze non possono esprimere il loro potenziale. L’infelicità porta infelicità e accade, in maniera diversa, anche nei paesi occidentali, dove le ragazze hanno la stessa educazione scolastica dei maschi, ma poi gli stipendi più bassi, le molestie e la misoginia danneggiano le loro carriere e le loro vite».
I dati del Malala Fund e della Banca Mondiale dicono che se tutte le ragazze avessero 12 anni di scolarizzazione l’economia mondiale avrebbe un guadagno nell’ordine di grandezza di milioni di miliardi di dollari. «Malala ora studia a Oxford e, anche se ho pianto, nella prima settimana in cui era lontana da me, sono felice nel vederla indipendente e sicura nel mondo. I buoni genitori sono quelli che danno la libertà ai propri figli».
Vanity Fair 18/6/2019
«Quando ho sposato mia moglie, Toor Pekai», spiega sul settimanale Time, «abbiamo deciso di mantenere la parità in famiglia, rispettandoci come partner e crescendo nostra figlia Malala esattamente come i nostri figli Khusal e Atal». Una scelta personale venuta dall’esperienza perché quest’uomo racconta di non aver sentito la parola femminista fino ai 45 anni, fino all’attacco contro la figlia, colpita dai Talebani perché andava a scuola, e al trasferimento a Birmingham nel Regno Unito. «Era però femminismo quello che avevo cercato di mettere in pratica per anni nella mia famiglia e nella mia comunità».
«Credo», prosegue, «che i padri abbiano un ruolo cruciale nella lotta per i diritti delle donne. Certamente quando i tuoi diritti sono violati è la tua voce quella da far sentire più forte per combattere l’oppressione. Per questo le voci delle donne sono le più importanti nel femminismo, ma, nelle società patriarcali, la voce di un padre è la seconda per importanza nel far partire il cambiamento».
Secondo il padre di Malala è la famiglia il punto di partenza della rivendicazione dei diritti delle donne. «Quando un padre comincia il percorso nel femminismo può cambiare il futuro di tutta la sua famiglia». Lui stesso non sa perché ha cominciato questa battaglia, forse perché era stato bullizzato da piccolo per la balbuzie e la pelle scura. «Ero arrabbiato per qualsiasi tipo di discriminazione contro qualcuno solo per essere nato in un certo modo».
Di una cosa è certo: il patriarcato non funziona, la vita costruita in questo modo è triste e frustrante per chiunque. «Ho visto famiglie in Pakistan con un figlio e cinque o sei femmine e solo il padre lavora perché questo impongono le norme sociali e solo il figlio lavorerà. Tutto il peso su di loro perché le ragazze devono stare a casa, non possono studiare e avere un lavoro, solo aspettare di trovare un marito. Questo ragazzo sacrifica la sua vita e le ragazze non possono esprimere il loro potenziale. L’infelicità porta infelicità e accade, in maniera diversa, anche nei paesi occidentali, dove le ragazze hanno la stessa educazione scolastica dei maschi, ma poi gli stipendi più bassi, le molestie e la misoginia danneggiano le loro carriere e le loro vite».
I dati del Malala Fund e della Banca Mondiale dicono che se tutte le ragazze avessero 12 anni di scolarizzazione l’economia mondiale avrebbe un guadagno nell’ordine di grandezza di milioni di miliardi di dollari. «Malala ora studia a Oxford e, anche se ho pianto, nella prima settimana in cui era lontana da me, sono felice nel vederla indipendente e sicura nel mondo. I buoni genitori sono quelli che danno la libertà ai propri figli».
Vanity Fair 18/6/2019
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