16.11.08

L'immagine della ragazza crocifissa sul letto, che Telefono Donna ha lanciato per la ricorrenza del 25 novembre, ha tolto il sonno all'assessore milanese Cadeo (Maurizio, non Cesare), di Alleanza nazionale. Secondo quest'ultimo, il ritratto offenderebbe la tradizione cristiana.
"Il seno è nudo - annota Stefano Rossi di "Repubblica" - la bella ragazza bruna è sdraiata sul letto..."; sul medesimo quotidiano don Andrea D'Asta, gesuita e critico d'arte, è più dettagliato: "C'è una donna bella e attraente che assume innegabilmente la posizione della croce ma che contemporaneamente ricorda la posa ammiccante della protagonista torbida del film American Beauty. Fotografata dall'alto, per insistere sul suo corpo. E' posta nuda su di un letto invitante, soffice, con cuscini collocati in modo da insistere sulla forma della croce. Ha i capelli scomposti, ma non le alterano il volto. Il richiamo alla croce è evidente, ma l'atteggiamento della donna è attraversato da una intensa sensualità, accentuata da un atteggiamento di resa invitante. La frase 'Chi paga i peccati dell'uomo?' è sovrapposta al pube".
Questa lunga citazione non manca di sorprendere, data la sua completa consonanza col giudizio ben più grossolano, ma senza infingimenti, dell'assessore Cadeo.
Non ci si attende, dall'assessore Cadeo, una conoscenza approfondita di Storia dell'arte. D'altro lato, giacché si proclama così ligio alla tradizione cristiana, si sarà pure accorto, anche distrattamente, anche sbadatamente, della presenza di numerose immagini licenziose nelle chiese, soprattutto antiche. Riguardo alla ragazza nuda l'accostamento con Guido Reni, rilevato da alcuni osservatori, pare evidente.
Anche Cristo era nudo; il Crocifisso di Santo Spirito, opera giovanile di Michelangelo, lo è poi totalmente. Privo persino di quel nubente e arioso panneggio che svela più di quanto vorrebbe celare e che si confonde con le tenere e lattee carni del Redentore. La casta virilità del Buonarroti non poteva accettare questi eufemismi pittorici: maschi o femmine, indistintamente, avevano per lui un'essenzialità spartana e sacrale. Via tutto, nel segno del definitivo incontro con Dio, di fronte al quale ognuno compare irrimediabilmente disadorno.
Nelle opere di Michelangelo si ravvisa sempre una perentorietà scultorea. Ben diversa da quello spirito balzano e ridente di Leonardo, dal cui San Giovanni trapelano fantasiose estasi ambigue, estri da soubrette, capricci di santi. E' il cielo, in fondo, a sfuggirci come un tinnulo monello. Per non parlare di San Sebastiano: presentissimo nelle pale d'altare, oggi dimenticato dai devoti (ma recuperato dalla cultura gay che ne ha fatto una sorta di icona: curiosando sul web ho trovato questa breve carrellata, piuttosto accurata anche se non vi compare un piccolo gioiello della cinematografia contemporanea, il Sebastiane di Derek Jarman).
Di fronte a questi Cristi in deshabillé, martiri discinti, profeti scollacciati la "tradizione cristiana" si è sempre devotamente genuflessa, compresi i principi della Chiesa che solo in uno dei momenti più bui della loro storia hanno pensato di ricorrere al "Braghettone" per cancellare, con la nudità dei corpi michelangioleschi, il proprio morboso tarlo.
Che l'assessore teocon, per nulla turbato dalla quotidiana esibizione di veline e ninfette da parte delle tv del suo potente alleato, lo ignori platealmente, non può meravigliare. Stupirebbe, semmai, che la sua "valutazione" sia sostanzialmente condivisa da uno stimato critico d'arte. In realtà, il paesaggio di formazione dei due è in fondo il medesimo.
Quanto a don D'Asta, solo un temperamento creativo, o, al contrario, molto occhiuto, poteva concepire associazioni di idee tanto ardite: la ragazza martirizzata ma bella (il prete ne preferiva una brutta, evidentemente), sul letto "soffice" (demoniaci languori, forse era meglio un rozzo tavolaccio), e, suprema empietà, quella frase "sovrapposta al pube": e a questo punto verrebbe da chiedere al padre molto reverendo dove l'avrebbe collocata, dato che si parla di stupro.
Il vero motivo di questa levata di scudi non è stato ravvisato, a mio parere, nemmeno dal pur ottimo Michele Serra, che preferisce soffermarsi sullo scandalo suscitato dalla Croce. Non che tale scandalo smetta di accecare: il guaio è che agli attuali farisei mancano persino gli occhi, e gli è rimasta solo la stoltezza. Quando la croce si reimpossessa del suo significato profondo è inevitabilmente legata al corpo, e al corpo nudo, straziato, certo, ma anche polposo, estenuato e serico come i quadri di Reni, perché anche in essi palpita il murmure dell'innocenza violata. La croce è sangue e terra, disfatta e rinascita della carne umana. Appartiene all'umanità, vi si identifica.
Ebbene. Cristo, san Sebastiano, san Giovanni e pure il re Davide (quello che danzava svestito davanti all'arca del Signore) erano spogliati, dolenti, languidi, ammiccanti, sanguigni o siderei, ma tuttavia maschi.
La donna crocifissa, dunque - peraltro non la prima in assoluto, un'immagine simile comparve sulla copertina dell'"Espresso" negli anni '70, in occasione del dibattito sull'aborto - traumatizza l'incolto Cadeo e l'erudito D'Asta perché essa stessa bestemmia. Scandalizza non la sua sensualità, ma il suo sesso.
E' chiaro: l'uomo, nudo o vestito che sia, è immagine di Dio. La donna, no. Malgrado tardive e ipocrite dichiarazioni di principio, Dio, secondo la tradizione cattolica, continua ad avere un sesso ben preciso e quel sesso è maschile: in un maschio Dio si è incarnato, un maschio celebra e benedice, in persona Christi, dall'altare. Il recente Sinodo dei vescovi, ignorando alteramente le richieste d'una maggior partecipazione delle donne alla vita della Chiesa, ha presentato come "novità" la concessione alle femmine d'accedere al lettorato e di distribuire la comunione: compiti che, in verità, esse svolgono da molti anni. In compenso è riaffiorata l'antica contrarietà papale alle chierichette, la cui presenza Ratzinger, da cardinale, combatté vigorosamente. Anche qui, per lo stesso motivo: la donna non è degna di rappresentare Dio.
A. Gentileschi, Susanna e i vecchioni, 1610 (Pommersfelden, Collezione Graf von Schönborn). L'artista, da giovane, subì violenza.
"Dio è certamente padre, ma è anche e soprattutto Madre": queste dolcissime parole, pronunciate dal dimenticato Giovanni Paolo I, riecheggiano in realtà numerosi passi biblici, in cui il Signore stesso si paragona a una donna incinta, a una chioccia, a una casalinga accorta. Ma Ratzinger, seguendo, in ciò, la linea del suo predecessore, ha ritenuto opportuno rimettere tutti (e tutte) in riga, decretando: “Madre non è un appellativo con cui rivolgersi a Dio”.
Se la donna non è in nessun modo accostabile a Dio, figurarsi il suo corpo, naturalmente peccaminoso e tentatore. Non per nulla il padre D'Asta puntualizza: "Paula Luttringer, fotografa argentina sequestrata ai tempi della dittatura militare, parla della violenza delle donne desaparecidas fotografando semplicemente dettagli delle carceri in cui avvenivano le sevizie. Queste immagini mostrano il grande pudore e discrezione di un'artista che denuncia, suggerendo 'frammenti' di un dolore sconvolgente".

Non dubitiamo della forza degli scatti della Luttringer, ma crediamo che il dolore sia necessariamente spudorato, altrimenti diventa a sua volta menzogna e violenza.
Negare Cristo nella donna comporta inevitabilmente negare il dolore totalizzante dello stupro, la sua universalità, la sua, direi, cittadinanza. Negare Cristo nella donna significa che la sofferenza di quest'ultima non ci riguarda, perché appartenente a una creatura altra o, peggio, a una "non-creatura". Ma il dolore crocifisso passa anche per un corpo concreto e visibile, grida dal suo pube, langue nelle sue viscere e sul suo petto martoriato. Anche se quel corpo è un parziale, sconsacrato, indecente corpo femminile.

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