Da molto tempo non leggevo MISNA. Grazie alla distrazione estiva avevo quasi l’impressione che l’Africa stesse attraversando un periodo di quiete. E invece, povero ingenuo, per un momento ho ceduto all’illusione. Dall’Africa ogni giorno arrivano centinaia di notizie, ma nessuna supera la soglia dell’agenzia specializzata se non riguarda un’ecatombe. Se, però, quelle piccole notizie (“piccole”… nonostante riguardino decine di morti qua, migliaia di sfollati là…), fossero viste tutte insieme, allora si avrebbe un’idea della sofferenza silenziosa, dell’abbandono, dell’ingiustizia che prosegue inarrestabile e a volte monta in dramma catastrofico.
Qualche giorno fa degli amici burundesi mi hanno avvertito di scontri violentissimi in un quartiere a nord della capitale Bujumbura, chi dice tra due fazioni dell’FNL (l’ultimo gruppo ribelle del Paese), chi tra questi e gruppi armati legati al governo. La sostanza è che dopo il tentato genocidio del 1993, dopo un paio d’anni di presenza dell’Onu e dopo le elezioni generali del 2005 che hanno rinnovato le istituzioni politiche, la repubblica del Burundi è ancora sostanzialmente fittizia. Tre giorni fa 21 persone sono rimaste uccise e 5.000 sono state costrette alla fuga dalle proprie case (BlogFriends). Ma, intendiamoci, non è un’emergenza: purtroppo è la normalità.
Leggendo MISNA, dicevo, ho riaperto gli occhi e tra le tante “piccole” notizie, ho scoperto che da una settimana nella splendida e martoriata città di Goma (nella Repubblica Democratica del Congo, al confine con il Rwanda) ci sono scontri violentissimi tra forze governative, ribelli e milizie che hanno rifiutato l’integrazione nell’esercito regolare. Ieri un Antonov in fase di atterraggio si è schiantato sulla pista dell’aeroporto cittadino e i cinque membri dell’equipaggio (tutti russi) sono morti sul colpo. Trasportavano minerali estratti dalle cave della regione, in particolare il preziosissimo coltan che serve al funzionamento dei nostri telefoni cellulari (di questo, come ragione del perpetuarsi della guerra nel Kivu, ne parlava due giorni fa “El Pais”: qui). In città s’era diffusa la notizia che l’aereo fosse carico di armi e soldati, per cui ci sono stati altri scontri.
Anche lì, com’è intuibile, la gente è costretta a continui sradicamenti: l’ultimo movimento umano di questi giorni è stimato tra le 25.000 e le 35.000 persone. «Dal dicembre del 2006, il numero di nuovi sfollati nel Nord Kivu ha superato le 180mila unità ed è in continuo aumento. Complessivamente, ci sono più di 640mila sfollati interni nella provincia dove i recenti combattimenti si sono concentrati lungo le principali vie di comunicazione, impedendo di fatto sia la fuga dei civili che l’ingresso di operatori umanitari» (MISNA, 7 settembre 2007, h20.59, qui).
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
8.9.07
I Grandi Laghi che continuano a soffrire
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