I.... andato ...e II arriva...
non dipende più da me,
qualcuno l'avrà capito....
II
La papessa
Le scale erano vecchie, i marmi resi lucidi dalla consunzione, e c’era un’aria stantia e pesante, mentre arrancavamo verso il quinto piano della palazzina.
Fuori, e per contrasto ancora più evidente, nel silenzio quasi innaturale che ci precluse i suoni fin dall’androne, era la solita bolgia di una metropoli caotica e fibrillante, nel cuore di un immenso formicaio come solo i mercati orientali, o il centro di Napoli, sanno essere.
Parlare di pentimento sarebbe sicuramente eccessivo, ma non ero contento di essermi fatto convincere ad arrivare fin li, questo lo ricordo bene.
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Accompagnavo una donna, una conoscente che era a suo dire, completamente “stregata” dalla capacità che “la vecchia” aveva, di leggerle il futuro con le carte. Voleva assolutamente che io la conoscessi, e che confermassi il suo giudizio, sapendo che da sempre mi ero documentato sulle dottrine esoteriche, pur rifiutandomi di praticarle, convinto che la divinazione relegata alle cose terrene non è il fine vero delle pratiche esoteriche, ma solo un aspetto secondario, un effetto collaterale e fuorviante dell’apertura mentale che la meditazione e lo studio delle scienze occulte deve invece dare al neofito che vi si accosti.
Predire il futuro con i Tarocchi,
equivale per me ad andare
a caccia di passeri nel bosco,
usando come arma un’atomica.
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Bussammo, e ci fu aperto quasi subito.
Una ragazza bruna, sottile e schiva, c’introdusse nella casa, ricordo passammo un corridoio in polverosa penombra, fino alla stanza della veggente, in penombra anch’essa.
Percepii odore di legno di sandalo, un profumo che conosco bene, poiché mi piace molto, lo trovo fresco e inebriante, sveglia i sensi, ma senza aggredirli, è un invito al respiro pacato, ritmico, quieto.
Abituati gli occhi alla semioscurità, la vidi.
Era seduta, quasi affossata, in verità, in una vecchia poltrona di cuoio sdrucita e sul tavolino basso innanzi a lei, le carte, vecchie forse ancora di più degli anni suoi e consumate quanto lei, dalla vita.
Sedetti sul divanetto d’angolo, lieto di non essere l’attore principale ma solo uno spettatore.
La mia amica, di solito logorroica, si era “magicamente” acquietata, mentre occupava posto sulla sedia di fronte al tavolino, mi parve un ottimo risultato, e nel pensarlo un sorriso involontario affiorò sul mio viso.
Fu allora che lei si voltò verso me, e sorridendo, mi restituì un sorriso complice, o così mi sembrò.
Il cuoio della poltrona era meno rugato del suo viso, notai, mentre si sporgeva a fatica, quel tanto che bastò a raggiungere le carte sul ripiano.
La ragazza intanto, discretamente, le riaccomodava i cuscini dietro la schiena, con gesti misurati dalla lunga esperienza.
-mischia e taglia il mazzo- disse, con voce bassa e dolce, una voce che mi fece quasi sobbalzare perché totalmente contrastante con l’idea che mi ero fatto del suo timbro, osservandola.
Mentre la mia amica eseguiva l’operazione, la vecchia mi guardò, o meglio, voltò il capo verso me, era troppo in ombra per capire se gli occhi erano aperti o chiusi, e mi disse che ero un musicista… ma che la musica per me era solo un mezzo per scrivere cose, che quello era il mio modo per raccontarle.
Annuii in silenzio.
Ero seccato per la piega che la situazione stava prendendo, e in particolare, meditavo di scaraventare, una volta fuori, giù dalle scale quell’idiota della mia accompagnatrice, che di sicuro le aveva prima parlato di me.
La “maga” poi, iniziò a descrivere con dovizia di particolari, non so quale complessa situazione amorosa che vedeva coinvolta la mia conoscente, il suo amante, la moglie di lui ..etc..
Stavo quasi per alzarmi e andare via, quando un impercettibile movimento, quasi una sensazione mi fece volgere lo sguardo alla ragazza che, ora nell’ombra più fitta della stanza, mi stava osservando, silente, solo i suoi occhi brillavano, come divertiti, non ne ero sicuro, ma forse per un attimo la sua bocca aveva represso un sorriso.
Mentre guardava me, continuava infaticabilmente a gesticolare impercettibilmente tracciando piccolissimi movimenti con le dita sottili, e, stando alle spalle della “cliente”, solo la fattucchiera, ed io, potevamo vederla intessere mute melodie nel vuoto.
Compresi.
Era Lei che “vedeva”, non la vecchia, solo il riflesso era visibile ai più, la parvenza, la maschera.
Mi sentii onorato, di essere stato ammesso alla rivelazione di quell’evento.
La tensione che sentivo crescere in me, fu allentata, dopo poco, quando dalla porta semichiusa della stanza accanto, una bimbetta, non avrà avuto più di sei anni, irruppe, andando ad abbracciare la vecchia e poi la ragazza, che chiamò mammà.
Due occhi limpidi, grandi, senza nessuna traccia di paura, di sospetto, di timore, gli occhi dell’innocenza.
Piroettò nella stanza, accennando un passo di danza, poi ci seguì, con il passo saltellante e leggero che solo a quell’età si può avere, mentre la ragazza ci accompagnava per il corridoio.
Quell’imbranata della mia amica, forse ancora scossa dalle rivelazioni delle profezie, aveva dimenticato la borsa nella stanza, e la ragazza l’accompagnò a recuperarla.
Restai solo per pochi istanti con la bimba.
Solo il tempo necessario perché mi dicesse, con voce sottile e pacata, che era contenta di avermi trovato lì, quel giorno, perché aspettava un segno, e riteneva che fosse arrivato, con me.
Era la prima volta che sua madre aveva permesso a qualcuno di “scoprire” il “segreto” di chi realmente, conosceva le “cose” dei clienti, e questo per lei, voleva dire che, da domani stesso, o forse stanotte, sarebbero andate via.
-Magari in un posto più bello- mi disse, -dove ci sia una stanza più grande per me, da dove io possa fare i “segni" a mammà, e lei a nonna…-
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