26.9.04

La difesa della libertà e della ragione nell’opera di chi non si piegò a Mussolini












In uno scritto del 1928 Piero Martinetti rifiutava i «fasti» del Fascismo non mi ricordo ( purtroppo ) dove ho letto che, durante le sue lezioni, Piero Martinetti per dissuadere i vili attacchi delle squadracce dei giovani universitari fascisti, tenesse sulla cattedra, ben in vista, una pistola. Non sono riuscito a ritrovare la fonte, ma anche me la fossi sognata - così come spesso si trasognano, nella confusione dei tanti libri letti, le pagine di libri solo immaginati e mai scritti, per sovrapposizione e ricomposizione di vite e storie diverse -, quest’abitudine ci restituirebbe a pennello un tratto rilevante della personalità di Martinetti: il coraggio, leonino direi, con cui seppe restare fedele, in tempi veramente difficili, alla sua idea di libertà e dignità.
Dico questo, sollecitato dalla rilettura del volume «La libertà», pubblicato nel 1928, il cui solo titolo già contraddiceva, con sprezzo del pericolo, i fasti d’un fascismo ormai conclamato e sempre più sicuro di sé, e che ora l’editore Aragno meritatamente ristampa.
E in quel libro Martinetti, che nel 1922 aveva congedato un significativo «Breviario spirituale», scriveva: «l’amore della libertà è l’amore più alto e universale dell’uomo; egli la cerca sotto tutti i cieli, in tutti i gradi della civiltà, in tutte le forme dell’attività sua (...). Per questo la libertà è anche la condizione indeclinabile di ogni forma di giustizia e di progresso sociale: senza un energico senso della libertà la personalità umana si immiserisce e si degrada; senza libere istituzioni, la prosperità economica e la grandezza politica dei popoli non sono che apparenza senza sostanza». Si tratta di parole che volentieri sussurrerei all’orecchio dei numerosissimi ambatti e adulatori che popolano oggi la nostra scena culturale e politica. Parole di cui colpisce, certo, l’enfasi spiritualistica: non per niente, il Martinetti sarà definito da qualcuno come afflitto da una specie di «misticismo della ragione».
E sia pure: ma d’un misticismo che lo trasformò subito in una sorta di fanatico paladino della tolleranza, solo che un fanatismo della tolleranza, vero e proprio ossimoro esistenziale, fosse possibile. Quando il modernista Ernesto Buonaiuti, su richiesta delle autorità ecclesiastiche, ma per decisione dello Stato, fu allontanato dalla cattedra romana, Martinetti dettò alcune tra le sue pagine più veementi. In effetti, la sua difesa della libertà, proprio a cominciare dalla libertà di religione, fu una vera e propria religione della libertà. E infatti scrisse: «la negazione della libertà è negazione di Dio». Affermazione che Martinetti rispettò sempre nella più rigorosa lettera. Non per niente, nel momento in cui gli si chiese (e si era nel 1931), per mantenere la cattedra universitaria, di giurare fedeltà, non allo Stato, ma al regime fascista, preferì non piegarsi e rinunciare all’insegnamento (e allo stipendio), pur di non abiurare quella sua nobilissima religione.
In Italia, a non giurare, furono solo dodici, su circa milleduecento professori ordinari: o tredici, se vogliamo aggiungerci anche Giuseppe Antonio Borgese il quale, pur di non sottomettersi a quell’increscioso diktat, preferì rimanere negli Stati Uniti dove si trovava. Altri tempi e altre tempre: si dirà. E di un’altra Italia: perennemente minoritoria. Come ultraminoritario, in questo Paese, è stato sempre il partito della ragione

1 commento:

Borea ha detto...

...scusa l'intrusione...saluto tutti i blogger ^_^

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