9.9.04

Senza titolo 231

O è già andato...e I arriva...


se si va da qualche parte, naturalmente....


I




Quando lasciai la Casa, uscendo per la prima volta allo scoperto, nel Mondo, non mi voltai neppure una volta.


Ed ancora oggi, non ne sento la necessità.


Era un giorno qualsiasi, di un anno qualunque, ed il cielo non aveva nulla di particolare, nessun segno che


lo rendesse speciale, quindi lo scordai, o meglio, come tutte le cose che proprio perché comuni, quotidiane,


non ti lasciano più ma divengono parte di te, lo portai per sempre nei miei occhi, un cielo infinito e terso,


dove chiunque ancora oggi, può vederci quello che vuole, non trovarci nulla di speciale, disegnarci un mondo,


immaginare una grande Storia, o bruciarsi nel ghiaccio dello spazio siderale;


Una porta, un varco che una volta superato, sparisce, lasciandoti in una dimensione aliena, dalla quale nulla


può farti tornare indietro, mai più.



L’avevo sentita, come altre volte, la musica, di là dal muro di cinta della mia casa d’orfano.


Lontana e lieve prima, poi più vicina e trillante, la immaginavo snodarsi lungo il sentiero nella foresta


circondante la casa, un richiamo per me solo, come una lucente scia di lucciole da seguire,


una chiamata sempre più imperiosa, struggente, incondizionata.


Dal mio giaciglio, avevo la sensazione che le pietre della mia stanza vibrassero internamente, come diapason,


riproducendo milioni di volte il suono che, prima fuori di me, ora era in me, era me stesso, la mia essenza.


Fui fuori, Oltre.


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Nulla mi era stato dato. Nulla portai con me.



Le monache di clausura che mi trovarono, nella cappella del convento, poche parole e scarsi dettami


ebbero per me, nel corso degli anni trascorsi presso di loro.


Di certo imbarazzò non poco la cappella chiusa a chiave come sempre anche quel mattino, e che quell’unica


chiave fosse nel convento, e quindi troppi dubbi, o certezze sulla mia provenienza, e la riservatezza e la


sacralità di quel luogo così almeno fino allora avarissimo d’influenze e contatti esterni, le assoggettarono


ad una tolleranza silente ed una passiva accettazione della mia esistenza presso di loro,


come un fiore selvatico non piantato dalla volontà del giardiniere ma ugualmente vivo, al quale prestare


giusto le cure necessarie alla sua sopravvivenza,


ma comunque non inserito nello schema del giardino, diverso dal progetto, non previsto, certo da non mostrare


ai pochissimi viandanti che vi si trovassero a passare in quel luogo.



Fui così lasciato alla mia fantasia, alle mie emozioni, ai miei voli, più di quanto capiti ai più, su questa terra,


costretti alle regole dalla prima infanzia, agli usi e ai modi, alle convenzioni e ai dettami della società.



Nulla portai con me, tranne questi ricordi.


___.___



Imbruniva, e nel cielo morente voli d’ali tracciavano geometrie incomprensibili alla mente,


ma istintivamente note, familiari, al giovane cuore che pompava imperioso nel petto,


l’urgenza del destino da compiersi.


Con passi elastici, ottusi dal sottobosco odoroso, quasi ritmici, a sincrono con i tamburi e i flauti che seppur


nascosti alla vista, gli tenevano con dolci lacci l’anima, sparì ben presto dalla vista di tutto ciò che gli aveva


dato forma, rinascendo, nell’ora del sole morente, a nuova vita, e un sole nuovo, dentro di lui, resse la luce


del nuovo giorno a venire, la sostenne, la fece sua, per sempre.


Un rosso tulipano, in boccio.


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Nella radura, sembravano aspettarmi.


Senza alcun’urgenza, o trepidazione, ma nell’aria c’era come la consapevolezza di un evento già scritto,


ma non per questo scontato.


Niente ansia o stupore, solo la sensazione di una completezza da realizzarsi, come di pezzi forgiati in maniera


tale che, solo tra loro, sia possibile l’incastro che, senza sforzo o pressione una volta avvenuto, non lascia


neanche traccia del punto d’unione.


Qualcuno tese la mano, invitandomi a sedere, ed io lo feci, e mangiai con loro per la prima volta, sotto il cielo giusto,


nella radura dove la gente del circo si era fermata, quella notte d’agosto.


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Il canto del Bagatto



Ora sono io,


che incanto il Mondo intorno,


sul tavolo è già pronta la mia scena



seduco


poiché il silenzio


ha generato frutti


che ad occhi umani paiono prodigi



ma è solo l’apparenza


di un misterioso evento


il primo passo per l’ignoto corso,


la base, il trampolino per la Storia



con la bacchetta


li piegherò al mio volere


coagulando in aria


altre realtà



la coppa sarà piena


di saperi inesprimibili


promessa di poteri inenarrabili



la spada penetrerà l’ignoto


per trarne conoscenza


ché solo osando puoi avanzare ancora



mi copriranno d’oro


per quello che vedranno


credendo di capire



ma quando svanirò


quanto di più


ne avran saputo?



Nulla.. o meglio…


il suo Principio.


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