O è già andato...e I arriva...
se si va da qualche parte, naturalmente....
I
Quando lasciai la Casa, uscendo per la prima volta allo scoperto, nel Mondo, non mi voltai neppure una volta.
Ed ancora oggi, non ne sento la necessità.
Era un giorno qualsiasi, di un anno qualunque, ed il cielo non aveva nulla di particolare, nessun segno che
lo rendesse speciale, quindi lo scordai, o meglio, come tutte le cose che proprio perché comuni, quotidiane,
non ti lasciano più ma divengono parte di te, lo portai per sempre nei miei occhi, un cielo infinito e terso,
dove chiunque ancora oggi, può vederci quello che vuole, non trovarci nulla di speciale, disegnarci un mondo,
immaginare una grande Storia, o bruciarsi nel ghiaccio dello spazio siderale;
Una porta, un varco che una volta superato, sparisce, lasciandoti in una dimensione aliena, dalla quale nulla
può farti tornare indietro, mai più.
L’avevo sentita, come altre volte, la musica, di là dal muro di cinta della mia casa d’orfano.
Lontana e lieve prima, poi più vicina e trillante, la immaginavo snodarsi lungo il sentiero nella foresta
circondante la casa, un richiamo per me solo, come una lucente scia di lucciole da seguire,
una chiamata sempre più imperiosa, struggente, incondizionata.
Dal mio giaciglio, avevo la sensazione che le pietre della mia stanza vibrassero internamente, come diapason,
riproducendo milioni di volte il suono che, prima fuori di me, ora era in me, era me stesso, la mia essenza.
Fui fuori, Oltre.
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Nulla mi era stato dato. Nulla portai con me.
Le monache di clausura che mi trovarono, nella cappella del convento, poche parole e scarsi dettami
ebbero per me, nel corso degli anni trascorsi presso di loro.
Di certo imbarazzò non poco la cappella chiusa a chiave come sempre anche quel mattino, e che quell’unica
chiave fosse nel convento, e quindi troppi dubbi, o certezze sulla mia provenienza, e la riservatezza e la
sacralità di quel luogo così almeno fino allora avarissimo d’influenze e contatti esterni, le assoggettarono
ad una tolleranza silente ed una passiva accettazione della mia esistenza presso di loro,
come un fiore selvatico non piantato dalla volontà del giardiniere ma ugualmente vivo, al quale prestare
giusto le cure necessarie alla sua sopravvivenza,
ma comunque non inserito nello schema del giardino, diverso dal progetto, non previsto, certo da non mostrare
ai pochissimi viandanti che vi si trovassero a passare in quel luogo.
Fui così lasciato alla mia fantasia, alle mie emozioni, ai miei voli, più di quanto capiti ai più, su questa terra,
costretti alle regole dalla prima infanzia, agli usi e ai modi, alle convenzioni e ai dettami della società.
Nulla portai con me, tranne questi ricordi.
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Imbruniva, e nel cielo morente voli d’ali tracciavano geometrie incomprensibili alla mente,
ma istintivamente note, familiari, al giovane cuore che pompava imperioso nel petto,
l’urgenza del destino da compiersi.
Con passi elastici, ottusi dal sottobosco odoroso, quasi ritmici, a sincrono con i tamburi e i flauti che seppur
nascosti alla vista, gli tenevano con dolci lacci l’anima, sparì ben presto dalla vista di tutto ciò che gli aveva
dato forma, rinascendo, nell’ora del sole morente, a nuova vita, e un sole nuovo, dentro di lui, resse la luce
del nuovo giorno a venire, la sostenne, la fece sua, per sempre.
Un rosso tulipano, in boccio.
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Nella radura, sembravano aspettarmi.
Senza alcun’urgenza, o trepidazione, ma nell’aria c’era come la consapevolezza di un evento già scritto,
ma non per questo scontato.
Niente ansia o stupore, solo la sensazione di una completezza da realizzarsi, come di pezzi forgiati in maniera
tale che, solo tra loro, sia possibile l’incastro che, senza sforzo o pressione una volta avvenuto, non lascia
neanche traccia del punto d’unione.
Qualcuno tese la mano, invitandomi a sedere, ed io lo feci, e mangiai con loro per la prima volta, sotto il cielo giusto,
nella radura dove la gente del circo si era fermata, quella notte d’agosto.
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Il canto del Bagatto
Ora sono io,
che incanto il Mondo intorno,
sul tavolo è già pronta la mia scena
seduco
poiché il silenzio
ha generato frutti
che ad occhi umani paiono prodigi
ma è solo l’apparenza
di un misterioso evento
il primo passo per l’ignoto corso,
la base, il trampolino per la Storia
con la bacchetta
li piegherò al mio volere
coagulando in aria
altre realtà
la coppa sarà piena
di saperi inesprimibili
promessa di poteri inenarrabili
la spada penetrerà l’ignoto
per trarne conoscenza
ché solo osando puoi avanzare ancora
mi copriranno d’oro
per quello che vedranno
credendo di capire
ma quando svanirò
quanto di più
ne avran saputo?
Nulla.. o meglio…
il suo Principio.
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