11.9.04

NY 11/9: l'appello dei parenti delle vittime
















IL post\ l'intervento dei  familiari delle vittime  dell  11\9\2001  (  che  qui  nelle righe  successive )  ha  scompaginato il post  di oggi . Quando   ritroverò nel mio archivio  informatico "  quello che avevo scritto per oggi  lo ripoterò  in un 'altro post


Lanciamo un appello peché si ponga fine alla guerra come strumento ottuso della politica estera del nostro Paese in un mondo sempre più complesso. Riconosciamo che la nostra libertà e la nostra sicurezza non discendono dai politici o dal Pentagono, ma dalla nostra Costituzione e ci appelliamo a tutti gli americani perché si mobilitino in sua difesa contro la tripla minaccia di paura, menzogna, ignoranza.



NY 11/9: la voce dei parenti delle vittime di Redazione (redazione@vita.it)

10/09/2004 Comunicato di Peaceful Tomorrows, 11 settembre 2004


Circa tre anni fa l'associazione September 11th Families for Peaceful Tomorrows nasceva dalla convinzione comune che la risposta militare americana agli attacchi del 11/09, che si erano portati via le vite dei nostri cari, avrebbe causato la morte di innumerevoli civili innocenti e incrementato gli arruolamenti alle cause del terrorismo, riducendo la sicurezza e la libertà per le generazioni a venire, negli Stati uniti e nel mondo.
Oggi, mentre commemoriamo l'11 settembre 2004, ci accorgiamo che le nostre paure peggiori si sono realizzate. Il terrorismo dell'11 settembre non è stato né neutralizzato né ridotto alla fine dal terrorismo della guerra.
Sin dai bombardamenti e dalle azioni militari in Afghanistan, che hanno provocato la morte di oltre 130 uomini tra le truppe americane e, si calcola, 4.000 civili, e considerando per di più il nostro fallimento nel ricostruire una nazione distrutta, abbiamo assistito al ritorno dei signori della guerra talebani, alla partenza delle organizzazioni umanitarie e alla morte continua di americani in servizio e di civili innocenti. Il presidente afgano Hamid Karzai ha ammesso di cercare il sostegno di ex ufficiali talebani nello sforzo di stabilizzare il processo politico. Osama bin Laden resta in libertà e al-Quaeda resta una potente forza terroristica, come dimostrato dalle bombe ai treni di Madrid dell'11 marzo scorso.
La nostra invasione in Iraq, un atto illegale, immorale e ingiustificato contro una nazione che non aveva nulla a che vedere con gli attacchi dell'11 settembre, è costata la vita a 1.000 soldati americani e, si calcola, circa 12.000 civili iracheni, senza contare le decine di migliaia di coloro che portano traumi fisici e psicologici. Oggi, il persistere della nostra occupazione, il nostro fallimento nel fornire i servizi fondamentali, come elettricità ed acqua, la tortura ai prigionieri ad Abu Ghraib, ha fatto dell'Iraq il centro del sentimento anti-americano, verso cui confluisce una nuova generazione di terroristi, arruolati in ogni parte del mondo.
A Guantanamo, circa 600 detenuti di 40 Paesi sono costretti in carcere senza capi di accusa e senza assistenza legale. Coloro che sono stati rispediti nel Paese d'origine testimoniano di condizioni che violano le Convenzioni di Ginevra e i nostri stessi principi democratici. Negli Usa, il Patriot Act conferisce al governo piena autorità di sorvegliare cittadini che rispettano la legge. Le restrizioni imposte alle proteste pacifiche si fanno beffe delle garanzie di libertà di parola e di adunanza sancite dalla nostra Costituzione. E intanto, il perpetrarsi di crimini e discriminazioni continua a gettare un'ombra sulla nostra nazione.
Che tutto ciò sia stato fatto in nome dei nostri cari morti l'11 settembre rende ancora più difficile da accettare la sofferenza di quegli innocenti che nel mondo hanno subito la stessa sorte. Quando, in nome della sicurezza statunitense, si compiono atti che rendono il mondo meno sicuro, dobbiamo ripensare a quali sono le vere origini della sicurezza, della libertà e del rispetto che un tempo ispiravamo in tutto il mondo.
L'origine della nostra sicurezza e libertà sta forse nell'esercizio di un potere politico schiacciante? Abbiamo trovato sicurezza e libertà nel dividere il mondo tra “noi e loro” ed etichettando nazioni intere come “il male”? Tre anni fa i francesi dichiaravano “Siamo tutti americani” e gli iraniani tenevano veglie spontanee per i nostri morti. Oggi il prestigio americano ha raggiunto il livello minino. Amici e nemici tremano allo stesso modo dinnanzi al concetto di “eccezionalismo” che spinge gli Usa a condurre una guerra preventiva.
E quale esempio abbiamo portato con l'uso della violenza come strumento per far fronte alla complessità di questi mali? La scorsa settimana, le immagini strazianti dei bambini rapiti e uccisi in Russia ci ricordano che il terrorismo contro le popolazioni civili, che non è iniziato l'11 settembre, non è stato soppresso per effetto delle nostre azioni dal giorno dell'attentato. In Iraq i rapimenti di più di 40 civili di nazioni tra cui Giappone, Giordania, Italia, Cina, Ucraina, Corea del Sud, Egitto, Nepal, India, Kenya, Filippine, Bulgaria e degli stessi Usa hanno innalzato il livello di sofferenza umana.
L'11 settembre 2002 avevamo sollecitato gli Usa a prendere pienamente parte alla comunità globale, onorando i trattati internazionali, appoggiando e partecipando al Tribunale penale internazionale, rispettando la carta delle Nazioni Unite e aderendo nelle parole e nei fatti a quanto sancito dalla legge internazionale. Oggi intensifichiamo l'appello perché l'America rientri a pieno titolo tra i membri della comunità delle nazioni.
Lanciamo un appello perché si ponga fine alla guerra come strumento ottuso della politica estera del nostro Paese in un mondo sempre più complesso. Riconosciamo che la nostra libertà e la nostra sicurezza non discendono dai politici o dal Pentagono, ma dalla nostra Costituzione e ci appelliamo a tutti gli americani perché si mobilitino in sua difesa contro la tripla minaccia di paura, menzogna, ignoranza.
Traiamo infine speranza da coloro che, in tutto il mondo, non si sono fatti trascinare nel luogo della vendetta dalle esperienze storiche di terrorismo e guerra, ma si impegnano a creare un mondo di pace. Sono le vittime delle violenze in Israele e in Palestina, le famiglie delle vittime dell'attentato al locale notturno di Bali, i familiari di chi è morto a Oklahoma City, i sopravvissuti alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, coloro che sono sopravvissuti ai bombardamenti di Guernica, in Spagna, e di Dresda, in Germania, coloro che sono stati colpiti dal terrorismo in Kenia, Cambogia, Cecenia, Sud Africa, Irlanda del Nord, Bosnia, Sri Lanka e in ogni luogo del mondo. Attraverso la loro testimonianza e i loro sforzi verso la riconciliazione, hanno dimostrato che la pace inizia nel cuore di ogni individuo e che il popolo unito possiede un potere senza pari, capace di cambiare il mondo.
Ogni giorno scegliamo di creare il mondo in cui vogliamo vivere, attraverso le parole e le azioni. Oggi stendiamo la mano verso chi, nel mondo, riconosce che la guerra non è la risposta. Oggi, tre anni dopo l'11 settembre, continuiamo a scegliere la pace.
September 11th Families for Peaceful Tomorrows
peacefultomorrows.org

(traduzione a cura di Traduttori per la pace – http://www.traduttoriperlapace.org)

http://www.vita.it/articolo/index.php3?NEWSID=47534 www.edoneo.org




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