Il mondo visto da un'edicola «Il lettore di porno? Facile riconoscerlo a distanza»

unione sarda 21\6\2010

 di GIORGIO PISANO
 
Le edicole non faranno la fine delle cabine telefoniche, non diventeranno sconsolati cimeli di una civiltà che non c'è più. A salvarle saranno quelli che i direttori di giornale chiamano, con un pizzico di ruffianeria, gli affezionati lettori: di quotidiani, manga giapponesi, stampa sportiva, fumetti, inserzioni per scambisti e un'infinità di riviste che insegnano a ricamare, fare giardinaggio, scrutare gli astri, ossigenare sentimenti asfittici.
Le edicole non faranno la fine delle cabine telefoniche, non diventeranno sconsolati cimeli di una civiltà che non c'è più. A salvarle saranno quelli che i direttori di giornale chiamano, con un pizzico di ruffianeria, gli affezionati lettori: di quotidiani, manga giapponesi, stampa sportiva, fumetti, inserzioni per scambisti e un'infinità di riviste che insegnano a ricamare, fare giardinaggio, scrutare gli astri, ossigenare sentimenti asfittici.
Figlio d'arte (suo padre, morto l'anno scorso, era il decano della categoria), Roberto Gerina ha respirato per la prima volta l'aria di un'edicola che aveva quattordici anni. «Quel giorno ho capito che questo lavoro non avrà mai fine». Nel senso che ci sarà sempre qualcuno che non riuscirà a leggere la Gazzetta su un iPad, sfogliare un romanzo sul pc, perdersi in una Rete che propone miliardi di notizie e non ne garantisce neppure una. Tutt'al più, per rispondere ai morsi della crisi che ha assottigliato la clientela, bastano piccole integrazioni e vendere, insieme a Repubblica e al Corriere della Sera, magliette, biglietti del bus, occhiali da presbite.
Cagliaritano, 45 anni, due figli, Roberto Gerina ha gestito per una vita l'edicola che sta di fronte alla stazione ferroviaria. La vicinanza di un albergo (e dunque d'un portiere di notte) lo ha convinto nel '91 a non chiudere mai: ventiquattr'ore su ventiquattro a disposizione di clienti che, a seconda della fascia oraria, arrivavano senza cravatta, truccati, travestiti, qualche volta semplicemente disperati e insonni. «Il mondo notturno è molto, molto movimentato». Lo ha capito talmente bene che anni fa ha deciso di allargarsi per venire incontro ai più esigenti: «E ho aperto due porno shop».
Nel cuore dice che però gli è rimasta l'edicola. In quella vicina alla stazione, che ha segnato la sua vita, adesso c'è dentro il fratello. Lui ne ha appena rilevato un'altra, sempre in via Roma, sempre sotto i portici ma di fronte alla Darsena, insomma dove puntano le invasioni barbariche un minuto dopo lo sbarco dalle navi vacanziere. Appena ha messo mano alla nuova postazione, Gerina ha avviato quella che si dice una radicale ristrutturazione abbattendo lo storico separè metallico che garantiva un minimo di discrezione e di privacy: sugli scaffali c'erano riviste porno di tutto il mondo, comprese quelle (apprezzatissime) americane e tedesche in vendita a 25 euro la copia. Roba per soli ricchi. «Quell'angolo appartato non aveva più senso. Le riviste hard, ormai, si vendono alla luce del sole». Cioè nella vetrina affacciata sul marciapiede, nel viavai compresso e nervoso della folla che transita a un passo dal Consiglio regionale.
«Non lo nego, a Cagliari siamo stati i primi a vendere un certo tipo di giornali e di filmini. Il giro c'era. Ne valeva la pena». In tempi non lontanissimi, dice Gerina, un'edicola come quella della stazione manteneva serenamente tre famiglie e «a fine mese assicurava circa sette milioni di lire». Col cambio della moneta è cambiato tutto. «Oggi si guadagnano 2.400-2.500 euro lordi al mese lavorando, perché sia chiaro, dalle sei e un quarto del mattino alle otto e mezzo di sera».
Come si fa a stare mezza giornata in una gabbia?
«Ci si abitua. Il mio spazio di lavoro è di un metro per due. Ci sto bene, non mi sento stretto. Ho il mio sgabello, sto comodo. Se ho caldo tengo la porticina spalancata, nei momenti di noia guardo la tivù che ho sistemato in alto, fra le t-shirt per turisti».
Realizzato?
«Ho smesso di studiare che stavo in quarta superiore. Vivere in edicola mi ha permesso di leggere moltissimo, non solo Tex e Diabolik che sono stati e restano la mia droga. Mi guardo intorno e capisco d'essere stato fortunato. Dal mio gabbiotto vedo un mare scintillante, davanti agli occhi ho sempre uno spettacolo interessante».
Quattordici ore di lavoro non schiantano?
«No, perché questo è un mestiere che puoi fare solo per passione. Ti fa conoscere e capire un sacco di gente. Mio padre m'aveva dato un solo consiglio: sorridi, agli altri non importa nulla dei fatti tuoi».
Basta questo per fare l'edicolante?
«La gentilezza e un sorriso, soprattutto verso le facce spente che arrivano qui dopo colazione in marcia verso l'ufficio. Diventiamo una specie di quieta abitudine».
Confidenti e confessori.
«Bisogna ammortizzare i furori del prossimo. Mantenendosi, per esempio, politicamente corretti. Io espongo, uno a fianco all'altro, Il Giornale, la Stampa, il Fatto, Repubblica. E quando una signora, indicando Libero, mi ha chiesto cosa ci facesse un giornale comico tra giornali veri, ho risposto con un mezzo sorriso. Mai aprire una discussione politica, sarebbe la fine».
Il nocciolo duro dei guadagni è fatto dai quotidiani?
«Certo, a cominciare da quello locale naturalmente. Ci sono edicole che vendevano 240-250 copie di sola Unione Sarda. Prima di Internet, intendo».
Insieme ai giornali vendete di tutto.
«Gli omaggi di quotidiani e riviste intasano. Ho un settimanale di larghissima tiratura che sta offrendo contenitori di plastica per alimentari: sta andando molto bene».
Scarpe e camicie, no?
«Lucidalabbra per adolescenti, abbronzanti, pettini, teli da mare. Mica è colpa nostra se l'editoria cerca di conservare la clientela proponendo una sorta di supermercato. Un tempo andavano forte le enciclopedie, ora non le comprano manco morti».
Non interessano più?
«La ragione è un'altra: si chiama crisi. Anche se da sempre abituati a svegliarsi col giornale, tanti hanno scoperto che il quotidiano non è un bene di prima necessità. Figuriamoci le enciclopedie, che costano un sacco di soldi».
Sono molti quelli che non comprano e sbirciano gratis?
«In genere i pensionati. Scorrono le prime pagine, si fermano anche interi quarti d'ora per leggere un articolo. Poi, magari senza voltarsi a guardarmi, se ne vanno».
Tutt'altro genere quelli delle riviste specializzate.
«Spesso mi sono chiesto cosa si può trovare in mensili come Stufe e camini, Salotti o Big Hunter, che vende abbigliamento per cacciatori. Da un po' abbiamo anche la collana I santi protettori: dieci immaginette, tre euro e cinquanta».
Insomma, vendete. Internet non vi ha cancellato.
«Internet ha lettori che già non leggevano i giornali cartacei, e nemmeno libri se è solo per questo. Il problema vero è un altro: crisi. Te ne accorgi dalle chiacchiere di ogni giorno che in giro non ci sono più soldi. Più che internet ci ha causato danni immensi la liberalizzazione voluta dal ministro Bersani. È colpa sua se oggi chiunque può vendere giornali».
Qualcuno sostiene che sia più facile superare il test per l'ingresso a Medicina che ottenere l'autorizzazione ad aprire un'edicola. Nella città di Cagliari ce ne sono 150, in Sardegna 1.400 d'inverno e 1.700 d'estate. Impossibile calcolare il fatturato: costi di gestione quasi zero, tutto quello che non si vende viene restituito. Il guadagno netto per copia venduta oscilla (a seconda che si tratti di quotidiani o di periodici) tra il 19 e il 24 per cento del prezzo di copertina. Gerina afferma che il panorama non è affatto così florido. «Tant'è che sono molte le edicole in vendita». A quanto? Il prezzo medio è di cento, centodiecimila euro ma ce ne sono alcune che possono arrivare tranquillamente a trecento. Anche se poi, dice Gerina, trecentomila euro per un'edicola non te li dà nessuno.
Siete una casta?
«Sì, una casta che inizia a lavorare all'alba e tira avanti tutta la giornata. Sugli edicolanti ci sono molti luoghi comuni. Campiamo, certo. Ma fatichiamo molto».
Una volta si viveva di solo porno.
«Il porno, lo ammetto, ha avuto una stagione d'oro. Lo compravano tutti: uomini, donne, ragazzi, preti».
Donne, preti?
«Mio padre aveva tre clienti affezionate: ogni settimana acquistavano il meglio dell'hard per sole donne. Preti? Uno sicuramente. Oggi non li riconosci più perché non vengono a comprare in abito talare».
Tramonto di un'epoca.
«Quasi. Ora si vendono bustoni con tre quattro pezzi per meno di dieci euro. Stanno andando un pochino meglio solo i racconti supertabù, novelle maiale per un pubblico fedelissimo. Poi, cos'altro c'è? Qualche dvd si vende ancora. Ho clienti che però vogliono solo il dischetto e non tutta la confezione perché dà nell'occhio».
Il porno-lettore è riconoscibile a distanza?
«Di solito, sì. Uno mi ha fatto tenerezza. Era un ladro, ma per vergogna».
Cioè?
«Tenevo apposta un certo porno vicino ai quotidiani. Lui, un signore elegante sulla cinquantina, ha preso L'Unione Sarda e ha agganciato anche la rivista che stava sotto. Pago il giornale, mi ha detto. No signore, gli ho risposto io, paga il giornale e anche Le Ore. Fortuna che non se l'è presa».
In che senso?
«Da quel giorno, sciolto il ghiaccio, è venuto a comprare regolarmente il settimanale porno infilandolo in un quotidiano qualunque».
Richieste non soddisfatte?
«Sì, una. Solito tipo di signore, elegante e di mezza età, mi ha chiesto se avevo riviste con ragazzini molto, molto giovani».
Voleva dire bambini?
«L'ho fatto scappare. Gli avrei messo le mani addosso, proprio come ho fatto con un ladro tossico».
C'è un nesso fra tossicità e furto?
«Ovvio. Approfittando di un attimo di disattenzione, uno di quegli scheletri ambulanti mi sfila una notte un pacco da quindici pezzi di Dylan Dog. Ho chiesto al portiere dell'albergo di sostituirmi per un attimo e sono corso in piazza del Carmine. E chi ti trovo?»
Chi?
«Il tossico che svendeva i miei giornali. Non gli ho detto nemmeno una parola. L'ho steso di botte e me ne sono andato non solo con Dylan Dog ma con tutta la sua bancarella. Giusto per fargli capire come gira il mondo».


pisano@unionesarda.it

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