18.5.09

paura di un documentario scomodo ?

  dalla  nuova  sardegna del  17\5\2009
IL CASO

La Saras chiede il sequestro del documentario sulla raffineria: salta la proiezione a Cagliari




MAURO LISSIA

CAGLIARI. Si intitola ‘Oil, la forza devastante del petrolio, la dignità del popolo sardo’. È un film-documento di 70 minuti sulla grande raffineria di Sarroch, sul colossale indotto economico che rappresenta e sui timori che la circondano da sempre. Firmato e prodotto a proprie spese dal regista leccese-milanese Massimiliano Mazzotta, doveva essere proiettato venerdì scorso alla sala Nanni Loy dell’Ersu.
Ma la notizia di un ricorso per sequestro giudiziario presentato in via d’urgenza dagli avvocati Angelo Luminoso e Guido Chessa Miglior per conto della Saras ha fatto saltare la data allestita dall’associazione studentesca Pesa. L’istanza cautelare è stata respinta dal giudice civile, che per ora non ha ravvisato motivi per bloccare la diffusione del documentario e ha convocato le parti per il 20 maggio. Nel frattempo Oil è stato proposto ieri a San Sperate al circolo Gramsci e verrà rilanciato a Cagliari stasera, alle 20.30 al teatro civico all’aperto di Castello. Un appuntamento che a questo punto assume significati particolari.
«Siamo rimasti stupiti di quest’iniziativa - avverte Antonio Caronia, docente di comunicazione multimediale all’Accademia delle Belle Arti di Brera, che collabora col regista - perchè il documentario è equilibrato, per quasi un quarto del tempo registra la posizione di quattro dirigenti Saras».
Parla però anche dei rischi per la salute degli abitanti di Sarroch, che una ricerca epidemiologica condotta da Annibale Biggeri dell’Università di Firenze sembra confermare: alterazioni del dna, quelle che Saras ha sempre negato ribattendo nel corso degli anni con ricerche di pari autorevolezza.
Ma ad infastidire i vertici della raffineria sarebbero altri passaggi, di cui i legali della Saras chiedono «l’eliminazione dal contesto del film», come quello in cui scorrono le immagini del funerale di un giovane operaio che lavorava in un’azienda esterna, morto di cancro a 31 anni, alternate ai fotogrammi di un Massimo Moratti sorridente. Mancherebbero poi le liberatorie dei quattro dirigenti che hanno accettato di parlare dell’impianto di Sarroch davanti alla telecamera. Mentre ad accrescere il taglio critico del lavoro sono le testimonianze di operai e abitanti di Sarroch, preoccupati per i rischi - finora mai dimostrati inoppugnabilmente - che la presenza della raffineria provocherebbe per la loro salute.
Niente che abbia fatto sobbalzare sulla sedia gli spettatori, almeno finora. Ma quanto basta a mettere in moto i legali dei fratelli Moratti, che chiedono la condanna di Mazzotta, il risarcimento dei danni e la restituzione di materiale utilizzato per la produzione.
Ma perchè questo tentativo di fermare la proiezione di un film ormai già diffuso? L’ufficio comunicazione della Saras: «All’Ersu così come a tutti gli altri organizzatori che ci hanno invitato alla proiezione del documentario abbiamo risposto allo stesso modo, declinando l’invito. Per una ragione semplice, c’è un ricorso all’esame del giudice civile e mercoledì prossimo ci sarà l’udienza».
Quindi nessun tentativo di censura ma una contromossa legale per limitare i danni d’immagine che il documentario - a giudizio degli avvocati della Saras - potrebbe provocare.
Dall’altra parte, nell’entourage del regista, ogni commento viaggia sui binari della pacatezza: «Per ora il giudice non ha bloccato il film e credo che nessuno possa rilevare contenuti diffamatori nel lavoro di Mazzotta - spiega Caronia - poi naturalmente aspettiamo una pronuncia definitiva. Intanto andiamo avanti».

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