23.5.09

Laggiù

Mia madre ricorda sempre che Porta Venezia, a Milano, era mèta di pellegrinaggio per lei e per tutta la famiglia. Abitavano poco lontano, in Corso Buenos Aires, in un palazzone liberty scrostato. Ci erano finiti chissà come, forse rifugiati, sbadati dell'arte come tutti i disperati di quegli anni lontani. I fregi curvilinei non potevano interessarli, l'importante era un solido tetto, e l'avevano occupato, come topi spauriti. Quel palazzone ottocentesco aveva conosciuto anni migliori. Ma decadeva in un destino d'oblio: niente ascensore, soprattutto niente bagno. E così, la domenica mattina, tutti in fila verso Porta Venezia, con sapone, panni e asciugamani: "Laggiù c'era un diurno", ha spiegato la mamma. "Laggiù" è oggi una vestigia, una nicchia, una strana edicola sacra: il diurno è scomparso da tempo, lasciando di fronte a sé un vasto spazio di desolazione, in cui s'ammassano spente storie irresolute. Decisamente poco raccomandabile, avventurarsi da quelle parti. A qualsiasi ora del giorno.

Non è nemmeno marginalità, ma usura. Anime sperse, condannate al grigio del bitume. Passano come ombre, non si materializzano mai. Sono nullità temute, prive persino di tragicità. Infondono semmai un cupo e confuso disagio, e le lacrime salgono senza saper perché. E' la coscienza che stride e sfugge, che viene rapinata a quelle esistenze dozzinali, perdenti già dalla nascita. Nel loculo dimenticato, anzi mai scoperto, due anni fa è sorto un ritratto. "Laggiù", nella cornice scioccamente pretenziosa, una mattina qualcuno ha trovato un'icona ferma e al tempo stesso palpitante: un Cristo senza occhi, che spande nero dappertutto. Uno sguardo buio come quelle esistenze impalpabili, nato in un nascondimento diruto. Se ne accorsero persino alcuni giornalisti del Tg Regionale, che lanciarono un appello per ritrovare l'autore di quell'insolito affresco. Ma non si presentò mai. Al punto che si diffuse la convinzione che, come il Cristo di San Giovanni in Laterano, non fosse stato "dipinto da mani d'uomo".

Il Cristo è sempre al suo posto, e t'accoglie con severa e penetrante dolcezza all'uscita della metropolitana. Emerge tra bancarelle di chincaglieria dozzinale, negozietti equivoci, spazzi d'erba gualcita ed ex-cinemini porno. "Laggiù", dove non te lo aspetti, nel mezzo d'una città sì pagana, ma senza gloria; fra ombre mute, prive di fascino e colore. Grigio.
L'ho scelto come corollario del video d'uno stupendo brano di Renato Zero, uno degli esordi: Salvami. Che racconta ciò che non si osa, perché sconciamente inutile: il giovane di cui Renato parla vende il suo corpo sulla stessa strada bituminosa, perché non c'è posto, per lui, nell'albergo della vita lumescente. Renato aveva sicuramente davanti agli occhi la desolazione infuocata del selciato romano, non l'umore freddo degli stambugi del Nord; ma nulla cambia, in fondo; siamo sempre in un "laggiù", sempre in mezzo a cartacce, marginalità e preistoria. Fissità. Il mondo atemporale della plebe. Quelli per cui è sempre così, e nulla mai cambierà.

Quelli che li chiamano "rassegnati". Quelli che il paradiso non osano nemmeno sperarlo, perché non sanno cosa sia. Quelli che non possiedono la fantasia dello spirito.

Renato (ma, prima di lui, Pasolini) ha osato svelare al mondo che costoro aspirano a essere salvati. Che dal loro "laggiù" fatto di sguardi orizzontali vorrebbero non risorgere, ma veder finalmente l'aurora. Un inizio vero. Il Cristo del "laggiù" è allora il Cristo per loro. Quindi per tutti. Il Cristo che il mondo altro non si aspetta. Il Cristo che a quell'invocazione "Salvami" ha già risposto, con lo stesso occhio fraternamente accostato, ma in qualche modo arcano e superno. Anche laggiù, nella materia bruta della metropoli e dei nostri cuori rattrappiti. Non esistono chiese. Forse è vero, forse è troppo umano per essere sbocciato da mani d'uomo.



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