La lettera della madre di una ragazza che, dopo due trapianti di fegato, si spense il 7 maggio del 2017, a 17 anni

Questa bellissima, dolente eppure serena lettera pubbllicata da Natalia Aspesi per la rubrica QUESTIO
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https://bessimo.it/emergenza-coronavirus-la-nostra-esperienza/
NI DI CUORE per il venerdi di repubblica di qualche tempo fa della madre di una ragazza che, dopo due trapianti di fegato, si spense il 7 maggio del 2017, a 17 anni va solo letta in silenzio, parola per parola. Cosa si puoi dire ad un familiare in questo cas a una madre che ha perso una figlia adolescente per una brutta malattia ? Non è di parole, di qualsiasi forma di consolazione che la signora Maria Rosaria ha bisogno: ma di essere ascoltata, di riuscire raccontando la sua terribile esperienza ad aiutare gli altri, quelli che oggi si lamentano perché costretti alle mascherine come fosse un sopruso e non prima di tutto, come chiaramente la lettera che trovater sotto , un dovere verso gli altri, lei che ha ricordi tragici di mascherine e guanti. Penso alla stupidità, alla violenza, alla pericolosità di chi addirittura in parlamento accusa di essere privato della libertà a causa di una mascherina o di una distanza obbligatoria . Sanno di mentire, di recitare la parte dell’eroe contro l’oppressore, ma la sete di potere, come dicono loro, di poltrone, gli fa accettare le centinaia di migliaia di morti nel mondo . Cosi pure quelliche acriticamente gli danno retta . Per questo, Maria Rosaria, io la ringrazio, l’abbraccio con vera riconoscenza: so che i cretini non la leggeranno o lanceranno i loro straili sulla tasstiera perché la verità la odiano, ma tanta gente si sentirà spronata ad ascoltarla, a seguirla. Infatti uso anche a costo di farmi ridere dietro la mascherina anche in strada passando davanti ai luoghi affollati







«Nel periodo di quarantena e di riflessione mi sono trovata a ripercorrere con i ricordi lo stesso periodo di tre anni fa quando mia figlia di soli 17 anni lottava tra la vita e la morte in una terapia intensiva a causa di una improvvisa malattia. Vi assicuro che per me rimettere mascherina chirurgica e guanti di lattice è stato un trauma. Eppure l’ho fatto per un senso di responsabilità verso mia madre di 91 anni e le persone che sono attorno a me, quel senso di responsabilità che dovremmo avere tutti anche ora, nei giorni in cui ricorre il terzo anno dalla scomparsa di mia figlia. La vicenda di Elena, questo era il suo nome, iniziò tra la fine di febbraio e gli inizi di marzo del 2017, con un malessere generale improvviso sfociato poi in un ricovero d’urgenza nella camera di rianimazione di un noto ospedale romano. La situazione fu subito definita dai medici grave e la diagnosi fu tremenda: era indispensabile un trapianto di fegato. Elena fu operata poche ore dopo il ricovero grazie a un protocollo d’urgenza che stabilì la priorità per l’intervento proprio per la sua giovane età. I trapianti di fegato furono due, non finirò mai di ringraziare le due persone che donarono il loro organo per mia figlia, anche se non servirono a salvarle la vita. Racconto tutto questo perché ho avuto modo di vedere cosa succede in una camera intensiva tutto il giorno e tutta la notte, le persone che lavorano con grande difficoltà in condizioni a volte assurde, ma sempre con dedizione e senso di responsabilità. Vorrei che tutti comprendessero che i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari fanno un lavoro che non ha prezzo, specialmente nelle situazioni drammatiche che si sono presentate a quelle camere intensive in questi lunghi mesi. I giorni di ricovero di Elena furono terribili, tutti noi familiari e amici abbiamo sperato che la ragazza potesse superare tutto questo, ma ciò non avvenne e il 7 maggio del 2017 si spense. I genitori che perdono un figlio non hanno una definizione precisa, siamo genitori amputati, sì perché quando muore un figlio è una parte di te che viene tagliata proprio come un braccio o una gamba. Un dolore che non è possibile descrivere, non ci sono parole per raccontare l’improvvisa mancanza d’aria che si prova. La mia esperienza la racconto proprio perché si possa comprendere che questi mesi in cui siamo stati messi alla prova devono farc©are quanto la vita sia preziosa e quanto vada protetta con tutti i mezzi a nostra disposizione, anche se è necessario l’isolamento sociale e la mancanza di libertà».
                                     Mamma Maria Rosaria

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