Due nomi soprannomi, quasi finti, quasi scherzi. Nomi da cameriera. Nina con quei timbri ambigui, da notti insonni, Tina col suo urlo da leonessa, tutta-donna, insonne lei pure, ma esplicita. Nina (Simone) e Tina (Turner), i miei #anni80 in musica. Senza Tina non avrei scoperto Nina eppure loro venivano da
lontano, con storie dure di maschi violenti. Tina alla fine del '70 era in bolletta, ricordo di averla vista esibirsi come ospite fissa nel contenitore di #pippobaudo. Una star come lei. Il marito l'aveva svenata. Tina aveva perduto l'aureola per poi riafferrarla coi denti e con la voce, ugualmente dentosa, solida. Tina e Nina non hanno eredi, sono troppe, ingombranti e obsolete per il nostro palco-karaoke, orchestra vuota di dive fluide. Tina e Nina sono invecchiate a vent'anni esatti di distanza, poi cadute in piedi, indomabili. Altro non mi viene, ma Tina, come Nina, sa centellinare e non le importerebbe se raccontassi per esteso ciò che ha rappresentato per me.
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