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13.8.25

Gli etiopi deportati all’Asinara dai fascisti: 88 anni dopo il ricordo sull’isola



  nuova  sardegna  12\8\2025


Sassari
Yeweinshet Beshah-Woured compirà 94 anni il prossimo 13 settembre, ma nei suoi occhi celesti, profondissimi, si vede ancora quella bambina: sei anni appena quando, nel 1937, venne strappata alla sua casa di Addis Abeba, deportata in Italia, all’Asinara, insieme alla madre e al fratello. Il padre, funzionario vicino all’imperatore Hailé Selassié, era stato fucilato dai fascisti. Allora lei partì senza sapere dove stava andando e cosa sarebbe accaduto.


Oggi è tornata, 88 anni dopo, consapevole. Con lei sessanta etiopi, una delegazione dei discendenti dei quasi 300 prigionieri e prigioniere – tra cui ambasciatori, ministri, alti funzionari dell’Impero e i loro familiari – che il regime fascista deportò all’Asinara tra il 1937 e il 1939, in seguito all’attentato contro il Viceré Rodolfo Graziani. Donne e uomini, bambine e bambini costretti a vivere un incubo di paura e miseria. I sopravvissuti riuscirono a ricostruirsi un’esistenza. Altri e altre no. Con l’isola condividono ’eternità

Per ricordarli, sono arrivati da ogni parte del mondo – Stati Uniti, Canada, Germania, Francia, Inghilterra, Etiopia – chi con addosso abiti tradizionali, chi con fotografie in bianco e nero tra le mani e una quiete luminosa sui volti. Nessun rancore. Nessuna ricerca di colpe e colpevoli. Solo la forza composta della volontà di restituire dignità e memoria, etiopi e italiani insieme.
Davanti all’ex ospedale di Cala Reale, sotto un sole cocente e una brezza leggera, è stata scoperta una targa commemorativa che finalmente restituisce un nome e un luogo a quel capitolo doloroso e taciuto della nostra storia. E lì, in quel momento tanto atteso, è accaduto qualcosa di raro e necessario: «A nome dei cittadini italiani, vi chiediamo scusa per quanto inflitto al vostro popolo», ha tuonato senza remore Paola Fontecchio della cooperativa Sealand Asinara, curatrice dell’evento. Nessuna paura di finire nelle sabbie mobili della diplomazia di governo. Una frase pronunciata con schietta umanità, che ha dato carica ad uno dei più begli applausi mai vissuti di recente in questo piccolo mondo.
A seguire, le voci della delegazione si sono levate dapprima in preghiere e poi in un canto tradizionale etiope, per rendere omaggio, per restituire e nulla più. «Sono tornata per chi non può più farlo», ha detto Yeweinshet Beshah-Woured, nel piccolo cimitero di Campo Faro, dove riposano i resti di alcuni deportati, come anche, quelli di Gideon, il figlio di appena due anni della Principessa “melograno d’oro” Romanework Hailé Selassié. Moglie di Merid Bayané, uno dei comandanti della resistenza anti italiana, dopo la fucilazione del marito per la principessa e i suoi quattro bambini si aprirono le porte della deportazione. Visse, insieme a centinaia di altri connazionali, mesi durissimi, segnati da umiliazioni, privazioni e da un dolore profondo.
Oggi, insieme, etiopi ed italiani, non più vittime da una parte e carnefici dall’altra, sono solo uomini e donne uniti dal desiderio di riscrivere un pezzo di storia. Un’occasione per trasformare la memoria individuale in coscienza collettiva. Balacho è nato in Etiopia ma in Germania ha costruito la sua vita adulta. È arrivato sull’isola per ricordare suo nonno, suo bisnonno e il suo prozio, tre uomini ritenuti scomodi e per questo arrestati e deportati in questi luoghi: «Nella nostra cultura è qualcosa di cui si fatica a parlare, perché è considerato motivo di vergogna – ammette Balacho – molti di loro sono morti, molti sono stati uccisi in prigione. Hanno voluto dimenticare quel periodo, e a noi bambini non hanno mai raccontato cosa fosse successo: il cosa, il come, il perché. Questo silenzio è stato molto dannoso per la nostra memoria storica. La storia è come un cerchio: speriamo che non si ripeta, ma quasi sempre finisce per riaccadere, ancora e ancora».Senza dubbio si è scritta una nuova pagina di storia per l’isola. Ne è convinto il direttore del Parco, Vittorio Gazale, non solo testimone oculare ma tra i fautori di questo evento: «Abbiamo tanto da imparare da questo popolo fiero – meraviglioso esempio di civiltà– che è arrivato sull’isola senza rancore nei confronti di noi italiani per quanto subito. Sono arrivati col solo desiderio di ricostruire una memoria, insieme a noi, al nostro fianco». L’evento è stato realizzato con il contributo della Fondazione di Sardegna, in collaborazione con l’Ente Parco Nazionale dell’Asinara, il Comune di Porto Torres, l’Associazione delle Guide Esclusive dell’Asinara e la Rete Educando Asinara, con il contributo di ricercatori italiani e africani impegnati nel recupero delle verità coloniali dimenticate.

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