7.10.05

Senza titolo 857


Ho avuto la fortuna di conoscere la mia bisnonna materna. Una vecchina minuta, dai lunghi capelli bianchi, sempre vestita di nero. La ricordo la sera, seduta accanto al camino, a godersi fiamma e calore. E a raccontar storie, tra la luce rossastra e le ombre delle travi di legno.


Parlava di suo nonno, abile a fare i lunari. Di un suo zio, che diceva far parte della Mano Nera. Della Guerra. E della Malattia.


La Spagnola. Pronunciava quel nome con un misto di terrore e rispetto, come una punizione di antichi dei, e sembrava diventare più piccola di quel che era. Quasi a scomparire.


Era un Ottobre freddo. Piovoso. Vennero i soliti malanni di stagione. Tosse, ladra di respiri. Ossa che facevano male. Febbri. E all'improvviso dolori lancinanti. Il fuoco alle tempio. Il sangue nei polmoni. La gente moriva come mosche. Non i bambini e gli anziani, ma coloro che erano nel pieno delle forze.


E i giornali tacevano. Lei si ammalò. Fu fortunata. Perse tutti i capelli, ma sopravvisse. Oggi scopro che la Spagnola non era che una forma di influenza aviaria. Leggo le rassicurazioni: che il virus non si è adattato perfettamente all'uomo, che non siamo indeboliti dalla carestia, che gli antibiotici ci proteggono dalle complicazioni batteriche.


Razionalmente ci credo, eppure nell'animo rimangono i graffi dell'antica paura


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