Luttazzi, Guzzanti, Paolo Rossi e chi più ne ha più ne metta. Cosa li accomuna? Tutti hanno avuto a che fare, chi più, chi meno, con la censura televisiva. Motivazione? Anche la satira ha dei limiti e quella fatta da Luttazzi e company non è satira, ma invettiva politica. Come se la satira non avesse alle proprie spalle una tradizione secolare con delle regole ben precise. Come se la satira, sin dalle sue origini, non fosse stata sempre ben condita di attacchi personali rivolti a personaggi politici del tempo. Come se quella di Giovenale, Persio, Seneca e Lucilio non fosse satira. Poi Celentano mette su un programma in cui appare un improbabile Santoro che inneggia alla fratellanza, all’uguaglianza, alla libertà, e alla cultura e Benigni, con tanto di vestito rosso, si lancia in un ballo sfrenato con il molleggiato sulle note de “La coppia più bella del mondo” dopo aver cercato senza risultati un’azione politica berlusconiana ben riuscita messa a punto per gli italiani, e non per se stesso. C’è addirittura chi azzarda che, dopo questa trasmissione, non è più possibile parlare di censura televisiva. E qui vi volevo. Benigni, come sempre, è irresistibile, ma non venite a parlarci di satira. E, soprattutto, non crediate che con un misero contentino si possa dare una parvenza di democrazia ad un’Italia che la democrazia non la conosce più da un pezzo. Ridateci la satira. Quella vera, però.
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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