Anni fa. Tanti, ma non troppi. Ero già una matura signora. Milano, Ferrovie Garibaldi. Intorno ancora ventri di case, sterrati nebbiosi, vaste nullità. Il classico teatro per fini atroci e anonime. All'incrocio con via Melchiorre Gioia emergono, dal silenzio, due individui. Uno a destra, uno a sinistra. Un cenno fra i due. Io mi trovo in mezzo, facile preda. Il campo d'abbandono è lì vicino. Mi vedo a terra, la gonna lacera, sgozzata. L'epilogo, lo sento sulla pelle. Già sono pietrificata, oso articolare un misero "No" all'indirizzo dei due. Così flebile. Così inutile. Così fermo. Quando il tizio sulla sinistra mi smanazza un seno, comprendo che non c'è nulla di peggio, né di più prezioso. È la mia vita ed è una. E tanto l'amo, e tanto vale, che son disposta a perderla pur di non vederla insozzare, calpestare.
E, non so come, mi trovo sul cofano d'un'auto. Mi ci sono lanciata in un impeto di disperazione. Non però sventato, no. Sono riuscita a spiare l'abitacolo. Vi ho scorto una coppia, uomo e donna. Mi accoglieranno? Tireranno diritto? Poco importa. Una strada e un'auto sarebbero altare più gradito di un'indegna profanazione.
Accadde dieci anni fa. Quella coppia si fermò. E mi trasse in salvo. Li ricordo solerti, compresi, essenziali. Furono, per pochi istanti, la mia famiglia. In un angolo del cuore lo resteranno per sempre.
E, non so come, mi trovo sul cofano d'un'auto. Mi ci sono lanciata in un impeto di disperazione. Non però sventato, no. Sono riuscita a spiare l'abitacolo. Vi ho scorto una coppia, uomo e donna. Mi accoglieranno? Tireranno diritto? Poco importa. Una strada e un'auto sarebbero altare più gradito di un'indegna profanazione.
Accadde dieci anni fa. Quella coppia si fermò. E mi trasse in salvo. Li ricordo solerti, compresi, essenziali. Furono, per pochi istanti, la mia famiglia. In un angolo del cuore lo resteranno per sempre.
Non avrei mai pensato di raccontarlo. Tornare a quei momenti, a quel buio, a quel degrado, mi procura ancor oggi profondissima angoscia. Ero, nella sera del 2006 circa, non più mia e non più umana. Ero un oggetto da usare e scartare. Mi era piovuto addosso il cascame del mondo. Ma ebbi una famiglia. Una breve e sconosciuta famiglia di nome umanità. Qualcuno che ascoltò il mio grido, ebbe il coraggio d'arrestare la corsa e mi ridonò il sangue nelle vene. Perché la morte è così facile, rapida...
Quell'umanità è mancata a Sara, appena ventiduenne, in un maggio del 2016 a Roma. No, per il degenerato che l'ha bruciata viva, e avrebbe dovuto amarla, non spreco parole. Quanto gli spetta, spero arrivi presto e il più crudamente possibile. Ma maledire, a cosa serve? Sarebbero servite mani, piuttosto; anzi, piedi. Piedi capaci di premere sul freno dopo le grida della ragazza. Dopo le vane, sgolate invocazioni d'aiuto. Ecco, in quel caso i piedi, cioè il cuore, si sarebbero dovuti fermare, come successe con me, e la famiglia umana si sarebbe ricomposta, la speranza nuovamente incamminata, nel faticoso e dolente futuro.
Non è stato così. Il mio flebile "no" raccolse, chi sa come, un riparo. Le suppliche di Sara hanno urtato un cielo muto. Muto il cielo in alto. Muti i piedi in basso. Le vetture hanno continuato a sfrecciare sull'asfalto implacabile. Il 28 maggio 2016, a Roma, Dio era assente e l'umanità spenta. Rimaneva una ragazza col suo cuore. E non poteva farcela.
© Daniela Tuscano
nella ricorrenza di Santa Giovanna d'Arco
(Immagine: R. Ferré, "Franco")
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