10.8.12

Alex, fai come me: denunciali! L'ex campionessa di marcia Giuliana Salce racconta la sua esperienza di ex atleta dopat

"Alex Schwazer è un grande marciatore ma anche un ragazzo che lo sport non ha fatto crescere. È stato un campione solitario, lasciato a se stesso da gente che di lui apprezzava soprattutto i muscoli."
(Vincenzo Cerami)

infatti  ha ragione  Vittorio  Zucconi




DA   http://sport.panorama.it/olimpiadi-londra-2012/ 09-08-201218:06







Giuliana Salce, felice, in una foto scattata a casa sua




Per me ha significato vivere con il peso di dover essere costretta a dimostrare ogni volta di essere ancora la numero uno, vincere una gara e dopo dieci minuti pensare già a quella successiva, fare il record del mondo e sapere di doverlo battere. Quando indossavo la maglia della Nazionale, sentivo di avere lo Stivale sulle spalle. Ero oppressa dal senso di responsabilità, dal giudizio degli altri. Ho iniziato a gareggiare da bambina e mi sono presto ammalata di bulimia e anoressia. Eppure nessuno si è mai accorto di nulla.Giuliana, cosa significa per un atleta essere il più forte di tutti?

Tanto allenamento fisico, nessuno mentale?

Il problema di molti atleti è proprio questo: a forza di allenarti diventi una macchina da guerra, un robot, e spesso chi ti sta intorno si dimentica che sei un essere umano. Nessuno si accorge, o vuole accorgersi, della tristezza, della malinconia che hai negli occhi. Così finisce che tutto il malessere che accumuli inizi a sfogarlo nel mondo più sbagliato, nel mio caso prima nel water, poi facendomi di Epo.

Nel 1988 Giuliana Salce dice addio alla marcia. Una decisione maturata in seguito al salto truccato diGiovanni Evangelisti ai Mondiali di atletica di Roma dell'anno prima quando si scoprì che la misurazione del salto che gli aveva regalato la medaglia di bronzo era stata truccata da alcuni giudici. Insieme ad altri atleti, la Salce aveva sottoscritto un documento pubblico con cui prendeva le distanze da tutti gli illeciti sportivi, compreso il doping. Convinta che qualcuno l'avrebbe fatta desistere dalla sua intenzione, decise di non gareggiare più fino a quando le cose non fossero cambiate. “Invece smisero pure di salutarmi. Per la Federazione ero diventata il diavolo”.

Nel 1999, a 44 anni, Giuliana Salce riceve dalla Federciclismo la proposta di provare con la bicicletta. Nel giugno dello stesso anno corre la sua prima gara nella categoria over 30. Ad agosto è sesta ai campionati europei. Nel 2001 un dirigente della Federazione le comunica che nelle sue analisi c'è qualcosa che non va: è troppo anemica e rischia di ammalarsi. La soluzione? Doparsi.

E' a questo punto che avviene il suo incontro con l'Epo?

Sì. Io non ho nessuna scusante, perché a 46 anni, ancor più che a 20, devi avere la forza di dire di no. Ma io posso testimoniare che nessun atleta, per conto suo, decide un bel giorno di iniziare a doparsi. No, c'è sempre qualcuno che goccia dopo goccia ti mette nella testa che se tu “ti curi” – perché nessuno ti dice che ti devi dopare – sicuramente starai meglio e le salite ti peseranno di meno finché, a un certo punto, anch'io ho trovato quasi normale dire di sì.

Per quanto tempo ha assunto Epo?

Per 4 mesi, quelli che mi separavano dai mondiali di master che si svolgevano in Austria. Tenevo la sostanza in frigo, avvolta nell'alluminio e nascosta nella scatola del tubetto della pasta di acciughe, dove nessuno, mi dicevano, sarebbe andato a vedere. Mi sono fatta tutti i giorni, un giorno di Epo e un giorno di Gh, l'ormone della crescita. Dopo un mese le mie gambe erano cambiate, le salite non mi pesavano più.

Chi le forniva l'Epo?

So che ci sono persone che vanno su internet e fanno acquisti, io non c'ho mai nemmeno provato. Le sostanze le ho avute da un dirigente della Federazione ciclistica italiana. Una dose me la diede lui stesso nel suo ufficio, un'altra me la fece recapitare da un altro atleta corredata da una ricetta in codice. Funzionava così.

Quand'è che ha deciso di smettere?

Dopo la gara. Quando ho capito che per rimanere in quell'ambiente avrei dovuto continuare con quella roba. Allora ho preso la bicicletta e l'ho buttata sul prato.

E ha raccontato tutto.

Sì, nel 2003 con un'autodenuncia anonima al Nas di Padova. L'anno dopo pubblicamente.

Cosa l'ha spinta a farlo?

Il suicidio di Marco Pantani. Una fulminata. Era febbraio, ricordo che ho preso mio figlio, che allora aveva 16 anni, e gli ho detto: la madre che ti ha sempre proibito di drogarti, di bere, è quella che per 4 mesi si è dopata. Adesso ho deciso di denunciare tutto. Ma sappi che ci renderanno la vita difficile. Stai con me? E lui mi ha abbracciato.

E' stato davvero così? Le hanno reso la vita difficile?

Difficile? Impossibile. Tutto quello che ho raccontato ha trovato riscontro nelle intercettazioni telefoniche e da allora mi è stata fatta di nuovo terra bruciata intorno. Nessuno mi ha più fatto lavorare nemmeno in palestra. Mi sono ritrovata a vivere con 200 euro e la pensione di mia madre. Ho chiesto aiuto alla Federazione di atletica e quello che mi hanno offerto è stato di andare ad attaccare i manifesti del Golden Gala sul litorale romano. Mi sono messa a fare le pulizie, oggi faccio la spazzina, l'operatrice ecologica all'Ama.

Che effetto le fa oggi la vicenda di Alex Schwazer?

Se si trattasse di mio figlio pretenderei che mi dicesse “chi” ce l'ha portato, e dopo averlo saputo pretenderei che lui stesso dicesse al mondo “chi”, perché fino a quando avremo paura di denunciare “chi”, “chi” continuerà sempre a fare danni. Perché io avevo 46 anni, ma ci sono ragazzini di 15 anni che si dopano e che non sono assolutamente in grado di dire di no, come non ce l'ho fatta io alla mia età.

Non crede che, al di là della gravità della colpa di cui si è macchiato, sia pericoloso sottoporre a una gogna tanto severa una persona che, come Schwazer, si sta dimostrando psicologicamente ed emotivamente così fragile?

Ho molta tristezza, io non sono una psicologa, ma gli occhi di Alex mi ricordano tanto quelli di Pantani, e i miei di quando stavo male. Io a un certo punto sono stata davvero a un passo dal baratro. E se sono qui oggi devo ringraziare solo mio figlio.

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