Per capire la nostra epoca meglio evitare i romanzi ?




su Zanzibar  ho letto   questo interessante  articolo   pur venendo da una fonte lontana dal mio modo di pensare l'articolo che trovate sotto

 
Il Giornale 18 aprile 2012
Il caso
La giuria del Pulitzer rinuncia a premiare la fiction
Per capire la nostra epoca meglio evitare i romanzi
Ridotti a intrattenimento o a pura «trama», hanno perso autorevolezza Oggi la narrativa è meno vitale di saggistica e arte contemporanea

Luca Doninelli



Hanno ragione quelli del Pulitzer, che hanno deciso di non assegnare il premio alla narrativa, ritenendo non ci fosse­ro titoli capaci di rappresentare l’età in cui viviamo. Tra i bocciati, c’è anche The Pale King, il romanzo postumo di David Foster Wallace, accanto a Train Dreams di Denis ]ohnson e Swamplandia! di Karen Russell. L’America, e - aggiun­go - il mondo anglofono in genera­le, non hanno prodotto ultimamente una narrazione capace di af­ferrare la complessità del tempo presente. Lo stesso vale per molte altre letterature, compresa secondo me quella che si esprime nella lingua di Dante, e di cui faccio par­te anch’io. 
Da qualche anno, pur conti­nuando ad amare la letteratura narrativa, le mie abitudini di letto­re si sono spostate sempre più deci­samente verso le opere saggisti­che. Leggere romanzi si è trasfor­mato per me, insensibilmente, in un’attività specialistica, professio­nale, non più in una passione incondizionata dell’anima. Non parlo, va da sé, di tutti i romanzi, ma so­lo dei romanzi che si producono og­gi, perché quanto a Guerra e Pace lo potrei rileggere fino alla fine dei miei giorni (credo anche che lo fa­rò). Certo, continuo a scrivere nar­rativa (anche se in modo meno esclusivo di un tempo), e soprattutto continuo a crederci. C’è però qualcosa che non va, una rotellina dev’essere uscita dalle guide. E non riguarda soltanto le mie sensa­zioni personali. 
Dico subito che di romanzi belli ce n’è anche oggi. Recentemente ho letto La trama del matrimonio di Jeffrey Eugenides, e l’ho trovato molto bello. Ma il mio modo di leg­gerlo è cambiato rispetto a quando lessi- per rimanere sullo stesso au­tore - Le vergini suicide. Benché sia un romanzo, lo leggo come se fos­se un saggio. Lo stesso mi è accadu­to, un anno fa, con Libertà di Jona­than Franzen. Franzen, com’è no­to, scrisse negli anni Novanta un ca­polavoro, Le correzioni, cui seguì un periodo di relativo silenzio. Da questo silenzio lo scrittore è uscito, appunto, con Libertà che io ho let­to fino in fondo con curiosità non per l’esperienza letteraria che (non) mi dava, ma solo per la cono­scenza che ne ricavavo sul mondo di cui il romanzo parla. In sostan­za: ho l’impressione che in questi anni la produzione saggistica, in tutti i campi, superi di gran lunga per qualità quella narrativa. Nes­sun romanziere italiano ha scritto ultimamente un libro che si avvici­ni, per potenza di idee e follia di scrittura, a II capitalismo (Marsi­lio) di Geminello Alvi. 
Qualcuno mi dirà: il romanzo non si occupa di idee, ma di fatti. In­vece no: il romanzo moderno è na­to esattamente per non decapitare i fatti in un’epoca in cui le storie si compromettevano con la comples­sità sociale, con la forza delle idee e con quella del potere. Niente idee, niente romanzo: con buona pace dei paladini dell’intrattenimento. Più precisamente: ho l’impressio­ne che il romanzo, di cui abbiamo mantenuto i contorni, non sia più in grado di fornirci una narrazione del tempo in cui viviamo. 
C’è «rac­conto», ma non«narrazione»: que­sto è il problema. 
Per racconto in­tendo un'affabulazione centrata su uno o più avvenimenti legati tra loro, in modo da delineare un destino. Un racconto è tanto più bello quanto maggiore è la forza lingui- stico-emotiva con cui viene fatto circolare. Per narrazione intendo, invece, la capacità del racconto di trasmetterci una certa immagine del mondo, del tempo presente, at­traverso un apparato simbolico che conferisca al racconto un valo­re universale. La narrazione si av­vale del racconto ma il suo obbietti­vo va molto oltre il racconto: dob­biamo poter scoprire nelle vicende narrate un punto di congiunzio­ne tra il tempo, la storia e il senso (o la mancanza di esso) che balena dietro di esse. La narrativa di oggi è ricca di racconti ma povera di nar­razione. Dev’essere la condizione post-moderna, come diceva Lyo­tard. O qualcos’altro. In questo modo, sia quello che sia, il romanzo perde autorevolezza, ed è forse per questo che, non potendo fare espe­rienza, per suo mezzo, del tempo presente, ripiego sugli aspetti co­noscitivi che il racconto mi può for­nire (società, caratteri individuali, abitudini di vita, geografìa, geopoli­tica, paesaggio urbano ecc.), ossia sull’aspetto intellettuale della let­tura che io preferisco in ogni caso a qualunque emozionalismo acefa­lo. 
Va detto che, ro­manzi a parte, la nar­razione continua a esistere. La si può trovare, sparsa qua e là, per esempio nel cine­ma, o nelle arti figura­tive e performative. 
Alcune opere dei controversi Damien Hirst o Maurizio Cattelan-per non parlare dei maggiori, come Kiefer o Richter -possiedono la forza di un emblema universale, di un grido capace di attraversare il mondo. Al cospetto di certe loro opere possiamo dire: sì, è proprio così. È ciò che Aristotele chiamava verosimiglianza. Non so perché tutto questo sia accaduto, so che è accaduto. 
Alcuni anni fa il compianto Giovanni Raboni sentenziò in tono burbanzoso che il romanzo era morto. Io non arriverei a tanto. Tuttavia è vero che il romanzo odierno non è più una luce accesa sul mondo: nei casi peggiori è un prodotto industriale per l’intrattenimento, in quelli migliori svolge una finzione lunare, troviamo cioè in esso un «riflesso» del mondo, non «il» mondo. Secondo me dire che, semplicemente, i tempi sono cambiati non è sufficiente. Chi ha a cuore il romanzo - mi riferisco in primis, ovviamente, ai narratori e in particolare a me stesso - deve cercare una via per ricucire lo strappo tra racconto e narrazione, o se vogliamo, tra emozione e conoscenza. Non è un problema di teoria letteraria, ma di antropologia. Il romanziere deve tornare, come Diogene con la lanterna, a cercare l’uomo. O - come il folle di Nietzsche che tiene la lanterna accesa in pieno giorno - a cercare Dio. Che è lo stesso.

In  parte lo condivido perchè ( per la maggior parte degli scritti attuali ) i romanzi e la narrativa in genere si va sempre più conformando o trasformando in un nuovo genere artistico letterario ad esigenze cinematografiche per lo più di pessima qualità vedi la maggior parte delle fiction tv . In parte no perchè ovviamente è soggettivo ci posso anche essere , come dicevo prima romanzi attuali ( non solo classici ) che come le canzoni non ti tradiscono mai . Ma  soprattutto  non condivido quello  che dice   dei racconti e delle  storie perchè  esse descrivono benissimo la realtà.  Vedere   questi due  siti     soprattutto il primo  (  da me  provato direttamente  in quanto  ci  ho  scritto pure  )   dove  si trovano racconti  di buona  fattura   e  promettenti:  1) scrittori emergenti.it , 2) poesieraconti.it

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