La Crocifissione è un inno alla vita, alla vita vera. Non semplicemente quindi all’esistenza, ma l’urlo disperato e potente dell’uomo che, nell’istante estremo, implora e pretende giustizia. Non c’è vita vera senza giustizia.
Il grido estremo di Gesù, variamente interpretato, per me significa proprio questo: “perché mi hai abbandonato” è certo un salmo, scritto peraltro da un uomo braccato (dal figlio) e in pericolo, ma è, soprattutto, la protesta estrema contro il disordine del mondo, la tensione a emergere dal caos che non è creatività ma non-senso e assurdo. L’universo geme e tende alla vita vera e, anche quando si vota al suo contrario, la morte, può farlo per questa sete estrema, paradossale,insoddisfatta di vita piena, cioè a dire giusta.
In questi giorni abbiamo assistito, in Italia e nel mondo, a un’infinità di crocifissioni. Qualcuno le ha definite impropriamente suicidi, perché i crocifissi attuali si sono inchiodati da sé su quel legno, dandosi fuoco, impiccandosi, rivolgendosi un’arma contro, lanciandosi dal balcone di casa come è accaduto alla pensionata di Gela cui avevano decurtato la già misera pensione. “Così non posso più vivere”, ha lasciato detto. Non solo esistere, ma vivere: dignitosamente, umanamente. È morta di giustizia (o meglio, per mancanza di giustizia), non di stenti.
Ma il gesto più possente, il grido più titanico per la vita vera è stato lanciato dal farmacista greco, un vecchio di 77 anni, che ha scelto di uccidersi davanti alla sede del Parlamento. Un ribelle. Una fine per il futuro, non per sé. Lui, forse ce l’avrebbe anche fatta. Era giunto al capolinea del suo percorso terreno, avrebbe potuto concludere gli anni che gli restavano come – si dice – fanno spesso gli anziani: consapevoli che il mondo non ha da mutarsi, rassegnati e aggrappati a quel filo estremo di fiato, già fuori del tempo, divenuto a un tratto eterno e circolare, venato di rassegnato cinismo. Lui no. Lui guardava al futuro. Dei suoi figli, della sua patria, forse dell’uomo intero. Ha dovuto urlare “basta” per rivendicare la sua umanità. Emersa nel momento in cui, protervamente, l’ha lasciata. Annullandosi in una disperata vitalità.
Già lo aveva denunciato Testori, in anni remotissimi. Siamo arrivati a questo punto: per ottenere un po’ di giustizia, e preservare la propria vita vera, uno deve uccidersi.
“Deve”, non “vuole”. L’essenza stessa del suicidio, quello autentico e letterale, è pertanto annullata. Si tratta di omicidi di Stato; di moderne crocifissioni.
Crocifissioni e grida generate, come l’antica di duemila anni fa, dall’odio, dall’invidia, dall’intolleranza, dalla sete di potere.
Oggi il dio cui s’immolano gl’innocenti sacrificati e “costretti” al suicidio è un idolo creato dall’uomo, che ha soggiogato quest’ultimo: si chiama neoliberismo, mercato, denaro. Non ha volto, come recitava il salmo: “Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo: hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non ascoltano, hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano, hanno naso e non annusano; dalla gola non emettono suoni”.
Esso procede silente nella sua marcia verso il dominio assoluto. In questo suo potere non è contemplata la vita, men che meno la vita umana; anzi, questa lo annienterebbe. Oggi, per salvarsi, il sistema procede impassibile sulle vite vere, dietro la sua facciata scintillante mostra il suo vuoto assoluto di giustizia, una violenza impermeabile: e allora l’uomo, improvvisamente, si riscopre nudo, e solo, e protesta, e grida, all’estremo.
Il sistema incarnato dall'idolo è morte e silenzio e non sopravvivrà a sé stesso. Annullando l’uomo cancellerà la sua propria esistenza, ma non se ne cura, non essendo mai stato vivo. Non ha sentimento. E oggi, pur di mantenere in piedi quel simulacro d’esistenza, quell’idolo nato morto, i responsabili delle nazioni, quegli stessi che hanno creato e si sono prosternati all’idolo, propongono aggiustamenti, ricuciture, tagli, senza accorgersi che il sistema è irreformabile, è già imploso. Ma crocifiggerà ancora.
L’irrisione nietzscheana dovrebbe pertanto essere così corretta: non Dio, ma l’idolo è morto, ma il mondo, o forse il potere, ancora non lo sa.
Lo devono denunciare con la loro debole forza i crocifissi, quegli stessi cui ci si prosternerà nel momento stesso in cui esaleranno l’ultimo respiro strozzato: nel momento, cioè, in cui morendo sveleranno la loro dignità ferita, la loro sublime, strappata dignità.
Potrebbe essere Dio, allora, anzi lo è, come esclamò il centurione di fronte alla morte ignominiosa di Gesù. Potrebbe essere Dio, anzi lo è, quell’uomo abbattuto e sterminato, soggiogato all’idolo senza nome né volto. Dio è l’uomo che si umanizza, che reclama, e vuole, e attua la giustizia. Son tre giorni, appena tre giorni, poi si risorge. Perché la risurrezione è dovuta. È reale. È giustizia, già qui, adesso.
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