CORPUS DOMINAE di © Daniela Tuscano

musica  in sottofondo  Nothing man-Pearl Jam

Secondo lo psicoterapeuta Alberto Pellai ("Famiglia Cristiana", 19 giugno 2014) ad armare la mano assassina di Carlo Lissi è stata "la cultura dell'onnipotenza narcisista". 

da   Pagina di I libri di Daniela Tuscano

Quella per cui "io posso tutto e l'altro non vale niente, quello che sento io ha valore e quello che sentono gli altri non vale niente". Ma "onnipotenza narcisista" è un ossimoro. Il narciso è per sua natura un impotente, un incompiuto, uno che ha bisogno dell'altro pena la cancellazione della propria identità/umanità. E una società individualista, costituita da tanti Io che non diventano Noi, perde i connotati di societas per corrompersi in massa di singoli incapaci di comunicare fra loro. I desideri scadono a pretese, le volontà a velleità. Tutto diventa liquido: privo cioè di forma, centro, passato e futuro. Esiste solo un indeterminato presente, o meglio una contingenza, per la quale consumare le energie del momento; quella e null'altro. A Dio s'è sostituito l'Io: ne sono scaturiti miriadi di mondi acefali, aferesi di comunità mosse solo da un istintivo bisogno. Logico pertanto che il mancato soddisfacimento di tale bisogno porti molto spesso a reazioni distruttive, primordiali come la broda in cui bene e male si mescolano e confondono, sono anzi concetti senza senso nel magma pre- o subumano che tutto macina e inghiotte.
Tratto distintivo dei nostri tempi, si suole ripetere. Ma è del tutto vero? Non v'è nulla d'ancestrale, nulla del biblico serpente antico in questi epifenomeni?
Nella precedente riflessione abbiamo cercato di smentirlo. Carlo Lissi ha squartato la moglie e i bambini divenuti insopportabili pesi non perché pazzo, non perché capriccioso Peter Pan, non perché sadico assassino ma perché degno frutto d'una mentalità radicata nella notte dei tempi. Una perversione intellettuale talmente diffusa, persino in chi ne è vittima, che le discriminazioni, le violenze, persino i crimini commessi in suo nome non ci sembrano tali, ma li accettiamo come fenomeni di "natura": è "naturale" la donna sia debole, "naturale" le spettino minori diritti nel mondo della scuola e del lavoro, "naturale" sia meno tutelata dal punto di vista legislativo; "naturale" non possa (non debba) esser sacerdote, dirigere la preghiera, salire ai vertici della scala sociale; "naturale" sia considerata di fragile intelligenza, più dedita alla sensualità, complementare all'uomo (ma non viceversa). "Naturale" sia madre (e anatema a chi non manifesta questa sacrosanta propensione): perciò l'indegno ex-prefetto di Perugia invita cortesemente al suicidio le MADRI inette a gestire un figlio drogato, ma non fa motto alcuno sulle responsabilità dei PADRI, i quali pure, nella sua mentalità, sono i "capifamiglia".

Al disperato "perché?" urlato da Cristina Omes [nella foto con i genitori] mentre riceveva i fendenti del suo aguzzino tale mentalità non prevede risposta. La donna non può che esser muta, accettando in silenzio anche la propria eliminazione fisica. Non può, non deve capire. È una domanda, quella di Cristina, imprevista, atta solo a scatenare la furia di chi non la considera persona. E, con le coltellate, le replica nel solito, assurdo modo dei dittatori: "Perché sì!!!".
Il maschilismo è dunque fenomeno remoto; forse, addirittura, l'origine d'ogni violenza successiva. 
Tutto si spiega? Andiamoci piano.
La strage di Carlo Lissi ci pone di fronte ad altri inquietanti interrogativi e responsabilità. Lissi non è, come speravano leghisti e razzisti, un extracomunitario, magari "negro", non un talebano o musulmano (per i soggetti suindicati, i termini sono sinonimi), non un deviato sessuale ne' tantomeno una "mela da scarto" alla Stefano Cucchi, su cui poter riversare odio feroce ammantato da modi flautati. 
Carlo Lissi non era nulla di tutto ciò, bensì il figlio modello sognato dalle famiglie perbene, e anche da quelle per male: bianco, piacente, diplomato, salutista, col villino in Brianza (ah, la cara e vecchia siepe del campetto, umile e pia!), tutto casa e chiesa. Eccoci arrivati a un altro aspetto della questione: la chiesa.
Perché Lissi, fra gl'innumerevoli pregi della sua vita tutta in discesa, vantava quello di giovane devoto: oratorio, assistenza regolare alla Messa, altro che edonista perso nei suoi tatuaggi. Oddio, i tatuaggi li aveva pure lui, le sopracciglia non dimenticava di ritoccarle, l'abbronzatura alla moda non gli mancava mai, ma quella sua fede, i sani insegnamenti ricevuti, quelli l'avranno preservato dalle nefaste influenze dell'"air du temps", no?
Ebbene... no. Allora spingiamoci più in là: ferme restando le responsabilità personali, quale Vangelo è stato trasmesso a quest'anima smarrita? Interrogativo mai sollevato - e "pour cause" - da alcun giornale, osservatore più o meno accreditato, laico o cattolico che fosse.
Quale Bibbia, quale Vangelo ascoltiamo e assimiliamo la domenica? Il Vangelo delle brave persone? Il Vangelo della siepe? O quello dell'accoglienza del diverso, dell'estraneo, del perseguitato? Il Vangelo dei bianchi? Quello che si confonde con la tutela dell'ordine costituito? Quello devozionale dell'immobilismo? Che promuove non la famiglia ma il familismo, caricatura borghese contro cui lo stesso Cristo lancerebbe strali infuocati, e nasconde dietro vapori d'incenso l'ipocrisia dei rapporti interpersonali?
Quale Bibbia, quale Vangelo trasmettono i nostri pastori? Quello letterale e fondamentalista di certa gerarchia ecclesiastica, che pare talora dare avallo alla perversione intellettuale del sessismo? Quello per cui Dio è maschio? O una Bibbia e un Vangelo d'un Dio fatto carne, carne declinata nei due sessi, carne viva e benedetta e non materia da rinnegare?
È la Bibbia e il Vangelo della tradizione semitica o dell'astratto dualismo platonico? È, infine, la Bibbia e il Vangelo della differenza, dello Spirito che, lungi dall'annullare, arricchisce il corpo? Un corpo, anzi un corpus, non solo "domini", ma anche "dominae"?
"L'uomo non È Cristo e non ha il potere di distribuire i doni. [...] È una creatura con alcuni doni e molti difetti. Sarà sua somma saggezza cercare il rimedio ai propri difetti in quel membro [la donna] che lo completa", scrive Edith Stein - a lei, e non ad altre/i, si deve la prima formulazione sistematica del pensiero della differenza -. 
Amare e rispettare la donna (e, di conseguenza, ogni diversità) come corpo divino, è il cuore del Dio trinitario e relazionale, l'esatto contrario dell'onnipotenza narcisista fondata sull'idolatria dell'Io. Questo Vangelo scomodo e sovversivo, sappiamo ascoltarlo, comprenderlo, metterlo in pratica?
Se non rispondiamo a tali domande, continueremo a occuparci di questioni secondarie, a privilegiare l'ontico all'ontologico, a immergerci in rivoli di parole, perdendo di vista la Parola-carne. Ne abbiamo forse vergogna. Forse, ce ne scandalizziamo.

© Daniela Tuscano

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