UNA CAREZZA IN UN PUGNO


Le frasi pronunciate da papa Francesco durante il viaggio di ritorno dalle Filippine hanno suscitato la riprovazione di molti e il plauso di molti altri (preti di strada, artisti come Moni Ovadia...). Qualche protestatario da web è giunto poi a tuonare "Bergoglio sdogana il terrorismo", "Bergoglio fascista".
Tali affermazioni, che impegnano esclusivamente i loro autori, non trovano alcuna giustificazione, nemmeno in una ingenua e frettolosa diffidenza verso la gerarchia ecclesiastica. Anzitutto, i discorsi vanno ascoltati per intero; in secondo luogo, contano gli atti; last but not least, la persona che parla e agisce. Se Francesco è il Papa, è anche e soprattutto un uomo. E chiunque conservi un minimo di pudore intellettuale, o solo di ragione, si guarderà bene dall'affiancare la sua vicenda umana e pastorale a un ammiccamento verso il fanatismo assassino.
Eppure, ci tocca ribadire l'ovvio. All'indomani della carneficina Bergoglio (e, dopo di lui, Monsignor Vingt-Trois), ha celebrato una Messa per i giornalisti trucidati. Le sue condanne della violenza religiosa sono state reiterate, ferme, severe fin dall'inizio del pontificato. Si sono concretizzate in
La Messa di papa Francesco al Rizal Park a Manila  da © Ansa
azioni vigorose e altamente simboliche. Ha richiamato i leader islamici alle loro responsabilità molte volte, in modo chiaro e inequivocabile.

La Chiesa contemporanea esce da un Concilio in virtù del quale, sia pure con fatica e in alcuni casi a malincuore, ha accettato la democrazia. Ne andava del resto, dopo secoli di Inquisizioni, guerre, torture, roghi, della sua sopravvivenza in Occidente - e accadrà, dovrà accadere, pure all'Islam, ché le tragedie attuali manifestano non uno scontro di civiltà ma una lotta tutta interna a quella religione e al suo rapporto col mondo moderno.
Un rapporto complesso, a volte tragico e sanguinoso. L'aveva sottolineato diversi anni fa Khaled Fouad Allam da me citato in questa sede e  lo ribadiscono oggi,fra gli altri,Orhan Pamuk e Paul Bhatti
Giusto quindi non abbassare la guardia. La laicità va difesa a ogni costo. A tutela non solo dell'incolumità personale ma della stessa religione. Una laicità forte preserva quest'ultima da tentazioni teocratiche.
Parimenti: consolidare la laicità, evitarle di degenerare in laicismo, può essere una missione importante per i credenti di qualsiasi religione.
La laicità da sola è d'altronde insufficiente a costituire una democrazia. La democrazia rimane, oggi, l'unico sistema di governo adatto all'uomo perché si fonda su valori, non semplicemente su principi; valori inviolabili e inattaccabili, quali libertà di pensiero, parola, azione, libertà, certo!, di cambiare credo religioso, pari dignità fra uomo e donna e fra etnie, giustizia, reciprocità ecc.
Ciò che però caratterizza i valori democratici rispetto ad altri è la loro, diciamo così, malleabilità, la capacità di declinarsi nel rispetto della storia d'ogni paese. Ammettiamo pure sia un parto occidentale; tuttavia è esistito, presso le varie culture, un momento umanista da (ri)scoprire e coltivare affinché cresca ovunque secondo le modalità proprie di quelle stesse culture.
Per questo un modello unico di democrazia non è esportabile, foss'anche il migliore del mondo. Può persino esser vissuto come un'imposizione, secondo l'impeccabile analisi di Jean-Loup Amselle  il quale individua pure il punto debole, eccessivamente eurocentrico, di molti osservatori sulle inedite, paurose forme di antisemitismo.
"Siamo il Paese di Voltaire e dell'irriverenza - proclama Christiane Taubira, Ministra francese della Giustizia - liberi di deridere anche la religione". Queste frasi avrebbero potuto sedurre, come in effetti è successo, un algerino di cinquant'anni fa in lotta per l'indipendenza; ma, così decontestualizzate, finiscono per risultare anacronistiche, inaccettabili per certe orecchie, loro malgrado astratte; rendono cioè totalmente irreali.
È certo possibile ridere di tutto; è anche sempre lecito? È lecito sghignazzare sulla Shoah o sulla decapitazione di Foley, come ha fatto l'ex comico Dieudonné? E su quali basi glielo si potrebbe impedire, se prevale la logica dell'individualismo assoluto? Siamo tutti Charlie, d'accordo; perché allora censurare uno spot come "Dear Future Mom", malgrado gli elogi di Cannes e un prestigioso premio dell'Onu? Per "non turbare le coscienze delle donne che hanno fatto scelte di vita diverse", com'è stato dichiarato? Insomma, Charlie sì e Down no? Liberté, égalité, fraternité è una sintesi mirabile del vivere civile, non merita un approccio così riduttivo.
Ritengo invece sfugga il vero obiettivo delle controverse dichiarazioni del Pontefice. Non il diritto di satira (ma i doveri?) o la giustificazione del terrorismo, questa sì un'affermazione improvvida. Ma piuttosto il nichilismo, quell'appiattimento del pensiero secondo cui ci si può burlare di qualsiasi valore perché nulla ha valore, e di cui soffrono le società occidentali avanzate. Ciò che, in Italia, spinge alcuni professori sedicenti progressisti a censurare il presepe a scuola in nome d'un malinteso "rispetto verso gli alunni musulmani", i quali alunni musulmani, d'altronde, il problema non se lo pongono nemmeno e anzi non di rado accolgono con gioia la rievocazione della nascita del profeta Gesù [ me n'ero già occupata qui  n.d.A.]. Il vero multiculturalismo non toglie: aggiunge. Né si potrà negare - come rilevato appunto da Bergoglio - l'atteggiamento spocchioso, denigratorio e a volte apertamente ostile verso i credenti da parte di di chi si ritiene intellettuale. Ne è esempio il povero filosofo Giovanni Reale, ingegno di razza, tra i più raffinati interpreti di Aristotele. Ma emarginato dai colleghi per il solo fatto d'esser cattolico ed esegeta di Wojtyla. Per tacere di Testori, il maggior scrittore del secondo Novecento dopo Pasolini. Ma non (più) ateo, anticlericale, di sinistra; per giunta omosessuale "peccatore", quindi ben meritevole d'oblio. Quell'oblio che non
da  http://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/
denota solo pigrizia intellettuale; ha pure conseguenze pratiche; e non delle meno gravi. Esse vanno dal totale (e criminale) disinteresse per il genocidio dei cristiani iracheni al silenzio sulla tragedia di Asia Bibi, per cui non s'è udito un fiato da parte delle solitamente attivissime femministe. Le quali si sarebbero schierate senz'indugio con lei, se fosse stata una Femen nuda e blasfema (a proposito, in questi giorni dov'erano, le nostre pitonesse del libertarismo? Chi le ha viste in piazza o davanti alle moschee, e non in qualche paese europeo - troppo comodo - ma nei luoghi d'origine? Invece, nulla di nulla. Che fenomeno singolare! Eh?).

E poiché non siamo l'uno la fotocopia dell'altro, ne deriva che anche le percezioni di bene e di male variano, diventano liquide; e il politically correct cosa fa? Non sapendo più quali pesci pigliare, li piglia tutti, tranne naturalmente il proprio, cui attribuisce (esagerato!) l'origine d'ogni male. Quindi sì alla Femen ma non si sa come ribattere - si sa, le "loro tradizioni"... -, al fondamentalista che rifiuta il colloquio con l'insegnante donna, siamo tutti Charlie ma chi se ne importa della Nigeria (ma aggiungiamo il Pakistan dove sono stato trucidati cento bambini, il Sud-Sudan, il Corno d'Africa, la Siria...); infatti, sostiene la super-femminista Addis su Huffpost, i 12 morti parigini, emblema di democrazia, valgono più di duemila individui (e tre bambine trasformate in bombe umane) dalla mentalità tribale; proteggiamo le donne dall'Islam cattivo ma presentiamo una proposta di legge - rigorosamente bipartisan - affinché le prostitute/i, pardon, i/le sex-workers, siano riconosciuti lavoratori a tutti gli effetti; rispettiamo qualsiasi opinione purché in linea con la moda del momento, quindi guai a biasimare Charlie, se lo facciamo sosteniamo i jihadisti! Un Charlie misconosciuto, fino a quel maledetto 7 gennaio scorso, dalla maggior parte della popolazione e divenuto poi bandiera dell'Occidente progredito contro l'Islam fanatico e brutale, intento peraltro opposto a quello dei suoi fondatori, che non erano affatto (solo) anti-islamici ma antireligiosi; orgogliosamente sacrileghi. Un paio d'anni fa misero alla berlina la Trinità - non un semplice profeta - allo scopo di canzonare il già menzionato card. Vingt-Trois, reo d'aver biasimato il disegno di legge sulle adozioni gay. Ovviamente nessuno lo ricorda, forse addirittura lo si ignora.
Era la sciatteria comunicativa (e, quindi, etica) il vero bersaglio della critica di Francesco. Doveva tacere? O, per fare il simpatico, buttarla in caciara? E ciò non implica alcuna censura; invita semmai a un dialogo coscienzioso, soprattutto in determinati momenti. Che gli atti comportino conseguenze (e sempre succede) è un dato di realtà, non un'indulgenza verso la barbarie. Ogni tanto non farebbe male rileggere Kant. Sul serio, però.
  

                                                   

                                     Daniela Tuscano

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