28.1.15

La "lista" del liceo Manzoni e la storia di Edoarda ed Gli ebrei italiani nella Grande guerra: prima patrioti, poi discriminati

Lo so   che  sarete studi di leggere  post  sulla  giornata  della memoria   \ dela shoah  ma   certe cose  oltre  a non avere data    sono     ( primo caso    )  storie  incredibili o  smontano miti  ( nel secondo  caso )   quel del  nazionalismo fascista  e dell'esaltazione   della  grande  guerra

entrambe le cose  sono tratta da


http://www.famigliacristiana.it/ del  28\1\2015

28/01/2015  A 11 anni è stata espulsa a causa delle leggi razziali del 1938 dal ginnasio che frequentava a Milano. Insieme ad altri 70 ragazzi ebrei. Proprio oggi compie 88 anni e ieri, in occasione della Giornata della Memoria, Edoarda Flack ha ricevuto il diploma nello stesso liceo che l’aveva cacciata allora, il Manzoni di Milano.

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«Ogni anno, in occasione della Giornata della Memoria, cerchiamo di promuovere delle iniziative per coinvolgere gli studenti e insegnare loro a ricordare. Ricordare è l’unica cosa da fare».


Come aveva scritto Primo Levi in “se questo è un uomo”: Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario. Così, quest’anno, in occasione della celebrazione dei 70 anni dalla liberazione di Auschwitz, la professoressa Olivia Merli del Liceo Classico Manzoni di Milano, insieme all’ex collega Zelia Grosselli e al marito professor Gian Guido Piazza, insegnante presso un altro rinomato classico milanese, il Parini, e soprattutto insieme alla dirigente Milena Mammani, hanno pensato di invitare l’ex allieva Edoarda Flack Cavalieri per conferirle, alla presenza degli allievi della scuola, il diploma di maturità honoris causa.
Quel diploma che allora non riuscì a prendere, cacciata insieme ad altri settanta ragazzi ebrei dal ginnasio che frequentava e poi sfollata nella vicina Svizzera, per sfuggire alla deportazione. Oggi Edoarda, o meglio Dada come la chiamano le persone care, compie 88 anni. La stessa età del marito, il dottor Renato Cavalieri, anche lui ex alunno del liceo Manzoni, al suo fianco in quest’occasione speciale, emozionato nel ricordare i terribili eventi di quegli anni.
Anche gli studenti sono emozionati nell’ascoltare le loro parole, nel cogliere i loro sguardi. Felici di poter essere presenti per quel piccolo tributo, quella “riparazione” da parte della scuola che li aveva cacciati tanti anni fa.
“Non ce l’ha fatta, invece, la compagna di banco e amica del cuore di Dada, Regina Gani”, spiega il professor Piazza. “Sfollate, le due ragazze hanno continuato a scriversi, per raccontarsi la loro tristezza e consolarsi a vicenda. Edoarda conserva ancora alcune di quelle lettere. Poi, purtroppo non ne seppe più nulla. Con la sua famiglia fu denunciata e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Di loro non tornò più nessuno”. Proprio il professor Piazza con la moglie Zelia Grosselli, hanno fatto delle ricerche per anni insieme agli studenti per recuperare le storie di quei settanta ex studenti cacciati dai banchi di scuola. E ne hanno seguito le tracce. «La storia di Regina l'abbiamo ritrovata su Il libro della memoria», spiega ancora il professore. «In onore del suo nome abbiamo dedicato la biblioteca del Manzoni. C’è una targa per ricordare questa ex allieva sfortunata. Cacciata dalla scuola a 11 anni, proprio come Edoarda, morì a 18 ad Auschwitz durante le terribili “marce”»
  


26/01/2015  Una mostra al Museo ebraico di Roma racconta la partecipazione al conflitto della comunità israelitica. Partirono per il fronte in 5.000, ma il loro patriottismo non li rese immuni dalle leggi razziali del 1938

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  “ Il vostro pensiero deve essere sempre rivolto al Buon Dio, alla Cara nostra Italia, alla famiglia. Sarò contento il giorno che saprò che avete fatto il vostro dovere verso la nostra Cara Patria (e di questo ne sono sicurissimo)”. Sono parole del giugno 1915 scritte da un padre al figlio impegnato al fronte durante la prima guerra mondiale. Lo scrivente è Prospero Anticoli. Il figlio Gabriele, classe 1889, era bersagliere nel 54° battaglione. Sono parole di affetto sincero per la patria. Nel 1916 Gabriele resterà anche gravemente stordito dallo scoppio di una granata, ma riuscirà a recuperare l'uso della parola e nel dopoguerra troverà un lavoro in Comune, a Roma. Eppure anche lui, combattente di guerra, cresciuto in un famiglia di sentimenti patriottici, non avrà sconti. In quanto ebreo, nel 1938 Gabriele Anticoli verrà cacciato dal posto di lavoro e nel 1943 riuscì a fuggire in Sudamerica, salvandosi così dalle persecuzioni razziali e forse anche dalla deportazione. La sua storia, con foto, lettere e altri documenti d'epoca, è raccontata nella mostra Prima di tutto italiani ospitata fino al 16 marzo al Museo Ebraico di Roma. Così, nell'anno del centenario dell'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale, il Museo rende omaggio agli ebrei italiani che
parteciparono al conflitto. Fu una partecipazione convinta, ispirata da organi di stampa come il periodico Vessillo
il  bersagliere Gasbriele  Anticoli
Israelitico, che nel maggio 1915 titolò a tutta pagina “GUERRA!” incitando gli ebrei a partecipare. Allo scoppio della Grande Guerra la comunità ebraica italiana ammontava a circa 35.000 individui su una popolazione totale di circa 38 milioni di persone. Gli ebrei che parteciparono al conflitto furono 5.000, metà dei quali ricoprirono il grado di ufficiali. Un dato elevato, che si spiega con il fatto che gli ebrei avevano un grado di scolarizzazione più avanzato rispetto alla media nazionale. I caduti ebrei durante il conflitto furono 420 e circa 700 vennero decorati. Nonostante questo servizio reso alla nazione, gran parte dei reduci (le eccezioni furono pochissime) subirono le leggi razziali promulgate dal Fascismo nel 1938. Gran parte dei 1.600 ufficiali ebrei viventi negli anni '40, morirono per le persecuzioni durante la seconda guerra mondiale. Esemplare la storia di Mosè Di Segni, il padre di Riccardo, oggi rabbino capo della comunità ebraica romana. “Mio padre”, ricorda il rabbino Di Segni, “nel 1936 fu inviato in Spagna durante la guerra civile come medico militare, ma nel 1938, con le leggi razziste,egli fu radiato dall'esercito ”. Tornato in Italia, Mosè Di Segni riuscì a sfuggire alla deportazione del 1943 rifugiandosi con la famiglia a Serripola, nelle Marche. Lì si arruolò nelle brigate partigiane e nel 1948 fu anche insignito di una medaglia d'argento al valor militare.

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