Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta medicia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta medicia. Mostra tutti i post

6.10.25

Non tutta la scienza nasce dal dolore. Ma parte della sua storia è scritta sul corpo di chi non ha potuto scegliere. di Elisa Lapenna

 Anarcha ci ricorda che la conoscenza, se perde l’etica, smette di essere progresso e diventa potere.Non è un’accusa alla scienza, è un promemoria per l’umanità.Perché anche oggi, quando non servono più corpi ma consensi, la responsabilità resta la stessa: ricordare, rispettare, comprendere.Ricordare Anarcha non significa guardare indietro con rabbia, ma avanti con coscienza.Perché la scienza migliore non dimentica mai da dove viene.

da AnimaMente 5 h

Il suo nome era Anarcha. Un nome che la polvere della storia ha cercato di nascondere. Un nome che oggi merita di tornare alla luce, carico di rispetto, di dolore, di verità. Anarcha era solo una ragazza. Diciassette anni. Un’età che dovrebbe profumare di sogni, non di catene.Ma per lei, il mondo era una prigione. Era schiava. Quando arrivò il momento di partorire, lo fece da sola. Senza mani che la accarezzassero.Senza parole che la rassicurassero.Senza nessuna dignità. Il parto la lacerò nel corpo e nell’anima. Avrebbe avuto bisogno di cure, di conforto, di umanità.Ma le fu negato tutto. Fu portata da un medico. Non per salvarla, ma per essere usata.Il suo nome era J. Marion Sims.Un nome celebrato dai libri, dalle statue, dalla medicina ufficiale.“Il padre della ginecologia moderna”, lo chiamano ancora.Ma dietro quel titolo si nasconde un orrore.Un orrore fatto di bisturi, di sangue, di grida soffocate.Sims non vide in Anarcha una persona.Vedeva solo un corpo.Un corpo da sezionare, da sperimentare, da sfruttare.Le praticò più di trenta interventi chirurgici.Trenta.Senza anestesia.Perché lui credeva — o voleva credere — che le donne nere “non sentissero dolore come le bianche”.Trenta volte il suo corpo fu violato.Trenta urla.Trenta ferite.E nessuno che ascoltasse.Anarcha gridava. Piangeva. Resisteva.Ma era una schiava. E il dolore di una schiava, per molti, non valeva nulla.Intanto, la medicina avanzava.Le sue sofferenze diventavano scienza.Il suo corpo, un manuale vivente.Sims, un eroe.A lui: statue, onorificenze, nomi incisi nella pietra.A lei: l’oblio.Eppure, il suo corpo ha parlato.Anche se nessuno voleva ascoltarlo.Il suo sacrificio ha lasciato un’impronta.Profonda. Indelebile.Oggi possiamo fare ciò che ieri è stato negato:Restituirle il nome.La voce.La memoria.Anarcha non fu solo una vittima.Fu una giovane donna con sogni negati, con la forza di sopportare l’insopportabile.Una vita spezzata, usata, dimenticata.Ma non più.Oggi, ricordarla non è solo un gesto di giustizia.È un dovere.Perché la medicina che cura non può più permettersi di ignorare il dolore che l’ha costruita.Perché senza memoria, il progresso è solo una menzogna elegante.Ricordiamo Anarcha.Non come un caso clinico. Ma come una donna.Non come uno strumento. Ma come una storia.Una storia che ci guarda dritto negli occhi e ci chiede:“Che cosa state costruendo, se dimenticate da dove venite?”E forse, proprio lì, tra le sue ferite mai curate,possiamo ritrovare un pezzo della nostra umanità perduta.

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...