sono i migliori quelli che se ne vanno quello si che era vero calcio



Quando  , io che   dopo  calciopoli e  la sua  vicenda  giudiziaria   appena  scoperchiata e parzialmente  insabbiata  (  vedere mani  sporche  di Barbacetto Gianni; Gomez Peter; Travaglio Marco  . coipertina  a destra    )   e non approfondita   come sarebbe  stato opportuno sarebbe  stato opportuno e doverso moralmente ,ho smesso d'interessarmi   di calcio  ,  mi  sono messo a piangere  (   perchè  mi ha  riportato alla memoria  i  ricordi diretti ed indiretti della mia infanzia e  adolescenza      da ex  tifoso  cagliari e  juventus  o di tifare accanitamente quelle due squadre , e di vedere trasmissioni come  contro campo o processo , ecc o festeggiare se una squadra perdeva o in europa fare il tifo per la squadra contro ad es liverpool milan tifavo milan ) quando  ho appreso  prima dall'Ansa  : <<  CAGLIARI, 5 AGO - E' morto Mario Tiddia, difensore del Cagliari con cui conquisto' la prima promozione in A nel 1964. Aveva 73 anni. Chiusa la carriera di giocatore (gioco' 203 partite col Cagliari, di cui 58 in A), Tiddia intraprese quella di allenatore: fu chiamato dal Cagliari per la prima volta nel campionato 1975-76 poi nel '77-78 e nel 1987-88. Rimase per 3 anni consecutivi sulla panchina rossoblu', dal 1978 al 1981, disputando le ultime due stagioni in serie A.  >>
E poi  dalla lettura del   giornali  in particolare    dala prima  pagina 
dell'unione  sarda   di oggi   questo triste  evento  di cui riporto sotto    gli  artiicoli  del  giornale   in quanto preso  dale emozioni   non riesco a trovare le  parole adatte 




 Si è spento a  Sarroch (  Cagliari  )  dopo 10  dieci anni di malattia  Addio Mario Tiddia, il ct di Sardegna







uilla, alla mano, con la quale si poteva scherzare senza problemi. Ci lasciava liberi di gestirci, non amava mettere pressioni addosso ai suoi giocatori. Un aneddoto? Ce ne sarebbero tanti. Il primo che mi viene in mente è l'urlo “Forza Paris”, prima di entrare in campo, per caricarci».

Francesco Casagrande è stato il mediano del Cagliari che ritornò in A nel '79: «Ho di Tiddia un ricordo bellissimo. Una persona umile, di poche parole, ma che sapeva infonderti serenità. A livello tecnico mi ha insegnato tanto: in modo particolare, uno stop d'interno che ancora oggi insegno ai ragazzi della Sampdoria».


Con lui in panchina il Cagliari arrivò sesto in A senza stranieri dall 'unione sarda del 6\8\2009 (  da  cui  sono  tratte anche  le  foto invi riportate  )

Amava la terra e il calcio alla stessa maniera e i giocatori che ha allenato si sentono ancora suoi figli
Vedi le foto Vedi le altre fotoVedi le altre foto M ario Tiddia era un uomo genuino, che amava la terra, che amava coltivare con lo stesso affetto con il quale faceva l'allenatore. «Quest'anno avremo un bel raccolto», ti rispondeva quando gli chiedevi conto di una sconfitta, quasi a volerti ricordare che le radici contano più delle foglie, che una stretta di mano vale più di una firma, che uno sguardo più di tante parole. Mario Tiddia è stato uno dei grandi del Cagliari: a memoria, e con gli occhi lucidi, è difficile ricordare un altro rossoblù bravo sia come giocatore che come allenatore.

Il suo Cagliari era fertile come la terra, non solo quella della sua Sarroch dov'era nato nel 1936: sesto in serie A, senza stranieri, al fianco di Mariano Delogu (presidente) e di Gigi Riva (direttore sportivo). Nonostante la malattia che lo aveva colpito privandolo di una buona fetta della memoria, ricordava alla perfezione quel gruppo di giovanotti che con lui hanno scritto la storia del Cagliari. Una storia che sembra un romanzo. Mario Tiddia aveva preso la squadra sull'orlo della serie B ma non era riuscito a salvarla: aveva pianto come una fontana il giorno della retrocessione accucciato sulla panchina del Sant'Elia, ma aveva goduto come non mai quando due anni dopo l'aveva riportata in serie A arrivando fino al sesto posto, uno dei traguardi più prestigiosi ottenuti dal Cagliari, dopo lo scudetto di Manlio Scopigno e la Uefa di Carlo Mazzone. Eravamo a cavallo del 1980 e quel Cagliari aveva proprio la faccia contadina di Mario Tiddia, troppo frettolosamente classificato (ma è successo anche a Giovanni Trapattoni) come un audace difensivista, amante dei pareggi. Il suo Cagliari, costruito con pochi mezzi e tanta fantasia, innervato dall'esperienza di un intramontabile Brugnera, da giovani di talento come Bellini e Quagliozzi, da qualche scarto di grandi club come Marchetti e Longobucco, qualche altro sottovalutato altrove come Corti, Casagrande e Gattelli, e poi quei due irripetibili gemelli sardi del gol, Luigi Piras e Pietro Paolo Virdis, che il “barricadero” Tiddia non aveva esitato a schierare insieme con Franco Selvaggi, creando uno dei più fertili tridenti della storia del calcio italiano. Negli occhi dei tifosi rossoblù c'è ancora il ricordo di quel fantastico 3-0 alla Sampdoria al Sant'Elia, nel giorno in cui la Sardegna ritrovava la serie A per la seconda volta e Mario Tiddia c'era stato anche nella prima, da giocatore. Nessun altro ha fatto altrettanto. Uomo leale e sincero: spesso ti lasciava carta bianca. «Scrivi quello che vuoi, tanto sai come la penso» e sapeva anche che tu non lo avresti mai tradito. Era leale e sincero soprattutto con i suoi calciatori. Che lo amavano. Mai una polemica. E quando con gli anni andavano diffondendosi notizie sempre meno rassicuranti sul suo stato di salute il dispiacere di ragazzi come Quagliozzi, Bellini e Piras (che andavano spesso a trovarlo) non era quello di semplici ex giocatori. La mente, in quelle serate, andava inevitabilmente, ma senza retorica, a quel Cagliari. Splendido, anche perché era un'epoca in cui i giornalisti entravano negli spogliatoi, sapevano custodire un segreto e il rispetto era reciproco.

«Mario Tiddia era soprattutto un uomo semplice», è il ricordo di Gigi Riva che proprio in quei giorni al suo fianco aveva compiuto i primi passi da team manager, ruolo che da vent'anni ricopre con successo in Nazionale. L'uomo di Sarroch non è mai arrivato fin lassù: il grande calcio lo ha sempre tenuto, anzi, ai margini. Ma è stato proprio lui, insieme con Gustavo Giagnoni, il commissario tecnico di una Sardegna che adesso lo piange. Dopo avergli voluto bene. Con un pizzico di invidia: perché Mario era uno dei tanti che andavano allo stadio, ma i tifosi pagavano il biglietto e andavano in tribuna, lui si era invece conquistato il privilegio di sedersi su quella panchina.


                          NANDO MURA


sempre nell'unione mnel secpndo articolo scritto  IVAN MURGANA   si legge che   << aveva combattuto la malattia con lo stesso spirito con cui da gioc

atore affrontava un avversario difficile da marcare . >> . Ma  c.....  non possono dire  che aveva il cacro  o un tumore  invece  di usare    il solito   gioro di   parole   e d  tabu  inutili   .
Esso  , sempre  secondo il giornale     << Con grinta e coraggio si è battuto contro quel male incurabile, che solo dopo dieci anni è riuscito ad avere la meglio su di lui. Mario Tiddia è morto ieri mattina alle 10,30 nella sua casa di via Cagliari, dove viveva con la moglie Mari a Concetta. Parenti, amici, tifosi, sono tante le persone che ieri hanno voluto rendere omaggio al protagonista di tante battaglie sportive del Cagliari: in campo come in panchina. «Il calcio era il suo mondo - racconta la moglie - era incredibile come da allenatore non riuscisse a godersi le vittorie, perché la partita più importante era quella che doveva arrivare». Poi il ricordo di Mauro, il figlio che per alcuni anni ha seguito le orme del padre. «Per me e mia sorella il momento più bello era la domenica sera, quando lui tornava a casa: per tutti era l'allenatore del Cagliari, per noi era semplicemente il nostro papà ».
L'intero paese oggi alle 17 si stringerà attorno ai familiari per l'ultimo saluto a una delle ultime bandiere del Cagliari.>
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Ecco un  ricordo di alcuni protagonisti dell'epoca  che hanno avuto a che fare   con  la  squadra del  Cagliari 
Delogu: «Competente e umano, mi mancherà». Casagrande: «Mi insegnò uno stop che ancora adesso mostro ai miei giocatori»
«Urlavamo Forza Paris e poi in campo»
Fu il primo a teorizzare una squadra per reparti, ordinata, precisa, corale». Il ricordo di Mariano Delogu per Mario Tiddia va dritto alla fine degli anni Settanta, quando Tiddia, che allora guidava la Primavera del Cagliari, rilevò Toneatto, portando quella squadra in serie A. «Era un uomo per bene, ed è stato uno dei pochi tecnici sardi a Cagliari. Mi dispiace», sottolinea l'ex presidente rossoblù, «sapevo dal figlio che stava poco bene, conservo dell'uomo e del tecnico un grande ricordo: la promozione in serie A alla fine della stagione 1978-1979, quando ero l'uomo di fiducia di Rovelli nella Sir, e accettai la presidenza della società». Grintoso da giocatore, attaccato a quei colori, serafico ma duro da allenatore: Mario Tiddia è una delle bandiere del Cagliari. In campo nella prima storica promozione in serie A, faceva parte di una difesa granitica. Da tecnico, invece, si rivelò nelle giovanili del Cagliari, da cui pescò a piene mani per la prima squadra: «Per me è stato come un secondo padre», ammette Gigi Piras , allora centravanti di un Cagliari che faceva grandi cose all'inizio degli anni Ottanta. «Mi allenò nella Primavera ed ebbe il merito di lanciare tanti ragazzi, da me a Leschio, passando per Copparoni e Lamagni. Era un uomo di poche parole, ma è stato un grande allenatore. Con me aveva un ottimo rapporto, oserei dire privilegiato: quando il Cagliari riprese Virdis dalla Juve, la mia preoccupazione fu immediatamente spazzata via da una sua frase: “Gigi gioca, gli altri non so”. Una frase che mi diede una grande spinta».
Calcio ma anche umanità e passione: «Un tecnico molto diverso da quelli attuali», precisa Franco Selvaggi , altro grande attaccante di quel Cagliari, «molto semplice e diretto, con pochi fronzoli. Come il suo calcio, del resto. Adesso non andrebbe di moda. Anche per questo motivo penso non sia riuscito, da tecnico, ad andare oltre il Cagliari, ritornando subito in Sardegna dopo quella sua esperienza a Pescara. Come allenatore era l'ideale: ti dava serenità e personalmente mi ha aiutato a giocare con più semplicità». Selvaggi si commuove quando parla di quello che è stato uno dei suoi maestri: «Giocavamo un calcio eccezionale, uno dei migliori in serie A. Senza stranieri e con un gruppo di giovani arrivammo a ridosso delle prime e quei risultati mi aiutarono a conquistare la




Nazionale». Selvaggi, poi, vinse, anche se da riserva, il Mondiale in Spagna e al momento della partenza, lo stesso Tiddia lo incoraggiò nel modo più semplice e giusto: «Dopo avermi fatto i com plimenti e gli auguri mi disse: “Se dovessi giocare, fai quello che sai fare. Non sbaglierai”. Fu un grande consiglio, che tenni a mente anche successivamente».
Lontano dal campo era un uomo innamorato della sua Sarroch, un paese in trasformazione, mare e campagna cedevano spazio alla raffineria, ma Tiddia dopo una partita, dopo un allenamento, non smetteva mai di passeggiare nei suoi campi, nei suoi orti: «Ci regalava sempre cassette di arance squisite», ricorda Gigi Riva , che lo volle in prima squadra nel Cagliari, «era un uomo d'altri tempi, di una semplicità e di una correttezza straordinarie. Mi mancherà».
Anche il Cagliari ha ricordato Tiddia nella home page del sito ufficiale, dove sono riportati i ricordi di




grandi ex, come Roberto Quagliozzi , altro suo allievo: «Era una persona tranquilla, alla mano, con la quale si poteva scherzare senza problemi. Ci lasciava liberi di gestirci, non amava mettere pressioni addosso ai suoi giocatori. Un aneddoto? Ce ne sarebbero tanti. Il primo che mi viene in mente è l'urlo “Forza Paris”, prima di entrare in campo, per caricarci».
Francesco Casagrande è stato il mediano del Cagliari che ritornò in A nel '79: «Ho di Tiddia un ricordo bellissimo. Una persona umile, di poche parole, ma che sapeva infonderti serenità. A livello tecnico mi ha insegnato tanto: in modo particolare, uno stop d'interno che ancora oggi insegno ai ragazzi della Sampdoria ».


    con questo  è tutto  a presto gente 


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