25.8.09

Modugno "dannunziano"


Premetto che, per me, non è stata una grande estate: non di quelle indimenticabili, insomma, nemmeno da rimpiangere, eccezion fatta per una seducente settimana che un giorno o l'altro rievocherò. Un'estate, come tante, che va via; e già questo, comunque, basta a caratterizzarla, nel fluttuare dei giorni leggeri, che con gli anni diventano ancor più sciolti, inconsistenti e lontani, prima ancora che vi abbiano accarezzato. E' il mare, che perde e si perde. Trascorsi gli anni delle feste in spiaggia, resta il sapore dell'avvoltolarsi nella natura, d'una vita che sguscia via sfarinandosi, trillante come un lungo canto d'amore. Solo il grande Mimmo poteva permettersi di sbilanciarsi in vocalizzi sospirosi, non vergognandosi di quei vocativi, che nella sua ugola non suonano mai retorici ma profumati, stillanti (argento dal cielo, appunto). E' il sole notturno della sua Puglia, ma a me ricorda l'antica Calabria, le arcate di firmamento che ricoprivano le mie oscurità blu: notti di magi, di deserti.

Ancora intatti e vergini, e il mondo pareva immenso. Note come vento: quella citazione così aperta da O falce di luna calante, anch'essa musicata, anch'essa odorosa non di sensualità, ma di sospiri, ha una sacertà arcana. I versi si contrappuntano, s'inseguono l'un l'altro in altre liriche, sotto svariate forme: "Fresche le mie parole ne la sera...", a me cullavano vapori e veli, di pura consolazione. Ma la canzone di Modugno è un addio; come nei più classici stereotipi; dietro, però, si nasconde un paesaggio verista, spietato nell'apparente impassibilità. C'è stato prima, lo intuiamo, un coinvolgimento così totale, da lasciare senza fiato. E poco importa quanto sia durato. In questo brano, l'ancor giovane Mimmo confessa di aver (troppo) vissuto, in una primordialità immacolata e stravolta che non può che essere sana, leale, riconoscente.


Daniela Tuscano

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