14.9.15

SUCCESSO COMPLETO di © Daniela Tuscano

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Di sport non capisco nulla, nel senso che ne ignoro le tecniche; ma il colpo di genio, l'arte, il cuore, quelli sì, arrivano a tutti, pure ai profani. Dietro ogni "gioco" c'è una sacralità (si pensi alle antiche Olimpiadi) e una storia, la storia d'un paese. Incisa nelle facce, negli sguardi dei protagonisti. Quelle di Flavia Pennetta e Roberta Vinci, le trionfatrici dell'U.S. Open, le due Eva contro Eva senza malizia, son vere e, dunque, raccontano molto. Di se', di noi. Due facce normali. Di femmine normali, che incroci per strada e saluti, che escono con gli amici, si divertono e studiano e però coltivano un
grande sogno. Più spigolosa Roberta, con quegli occhi senza cigli, indice d'una spontaneità ossuta, più morbida Flavia, ma entrambe simili, fin nello chignon, che se ne infischia della seduzione per consentire la praticità, la corretta visione del gioco. Perché in quei momenti non sei femmina o maschio, sei aria e vento e tattica e fatica.
Hanno vinto entrambe senza retorica, comunque andasse era un successo, e adesso si sprecano termini come leggenda, impresa, prodigio. Storia, l'abbiamo detto; e storia sia, non solo dello sport ma dell'Italia, delle donne, della civiltà e... della discriminazione. Sì: hanno vinto malgrado la spocchia e la noncuranza dei media importanti, che non si sono degnati di dedicare allo "storico" incontro uno straccio di diretta (trasmesso solo da Dj TV); malgrado l'ipocrisia tignosa della politica, soprattutto della destra, per quel volo di Renzi a New York "coi soldi degli italiani" mentre non ricordiamo levate di scudi dopo contratti da capogiro (con immancabili passerelle di pavoni) a calciatori di serie Z o cospicue regalie di sedicenti "statisti" a donnine di ben altre qualità, anch'esse pagate dal popolo italico. Hanno vinto, Flavia e Roberta, per la loro bravura e professionalità pur se una legge del 1981 continua a relegarle, in quanto donne, nella categoria "dilettanti". Hanno vinto contro un lessico, una filosofia, un pensiero unico, che non vuol saperne di sparire, se perfino un quotidiano "progressista" come "Repubblica" ha l'impudenza di scrivere (ma non è la prima volta), tramite la penna di Paolo Rossi: "...quando fece arrabbiare papà Oronzo, detto Ronzino, che desiderava un maschio e alla notizia imprecò contro l'amico ginecologo. Si sarebbe molto più tranquillizzato se avesse saputo - anni dopo - cosa avrebbe detto Potito Starace di Flavia: 'ragiona come un uomo, si comporta come un uomo'. ALTRIMENTI non sarebbe sopravvissuta..." (maiuscolo mio), e via con altre amenità senza dimenticare un dettagliato reportage sulla vita intima di Pennetta degno d'un rotocalco popolare. Insomma, il solito, frusto, intollerabile stereotipo della "donna con le palle", che vince nonostante l'"handicap" del sesso sbagliato, debole, bisognoso di riscatto. Per questo, anche, Rossi e i maschi come lui chiacchierano di "annuncio shock" riguardo alla decisione di Flavia d'abbandonare il tennis. Per quella faccenda dell'amore, ch'essi non possono capire. Non solo verso il futuro marito Fabio Fognini, ma della vita, dello stesso sport. Flavia Pennetta non vuol diventare una macchina da guerra, sacrificarsi per quell'antico sogno che l'ha fatta volare ma, se l'assorbisse completamente, diventerebbe un incubo. Nessuno di noi si esaurisce in un'unica aspirazione, per quanto magnifica. Flavia (e la sua amica-rivale Roberta) hanno insegnato che la massima ambizione per una ragazza non è trovare il principe azzurro e prendersi cura della casa e dei bambini; che si può accarezzare un futuro assai più avvincente e variegato, non rinunciando alla propria femminilità come insinua Rossi ma, al contrario, conservandola; esaltando quella normalità, quella banalità diremmo, fisica, morale, intellettuale, così semplicemente elevata da non escludere nulla. Poi, ben venga il principe azzurro...
E non occorre alcuna militanza femminista, basta aver limpida coscienza del proprio valore, non concepirsi mai parziali: esseri umani prima che donne, e donne perché umane.

© Daniela Tuscano

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