MORTE D’UN CAMMINATORE



Issato fra le braccia possenti d’una guardia costiera, fra Turchia e Grecia, sembra un povero fantolino spenzolato. Un pupo che ha perduto il suo Mangiafuoco, e giace immemori in soffitta. Riverso sulla battigia, il corpo del piccolo profugo siriano ha una sua raggelata compostezza. La gravità della testa, sferica come la Terra, lambita dallo stesso mare che poco prima l’ha inghiottito, ne rammenta la dignità di persona. Nella foto vediamo le scarpe.
Così umane e inutili. Così poveracce, anteguerra. Simboli del camminatore, di chi non rimane inerte, di chi esplora e fugge: l’uomo. Quelle gambe hanno marciato fin troppo, le hanno trascinate, hanno visto il secco del deserto e il gelo dell’acqua, sole e placenta, elementi vitali, che invece l’hanno ucciso. È morto così il piccolo camminatore, finendo in un porto sepolto, in un respiro che non è giunto. Non so perché non lo pubblico. Forse perché voglio conservare una pietà un po’ mia, perché quello è stato anche un mio figlio, e non voglio consolazione.

                   © Daniela Tuscano

L'intelligenza non avrà mai peso, mai
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai
da uno dei milioni d'anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,
di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l'ha mai liberato.
Mostrare la mia faccia, la mia magrezza -
alzare la mia sola puerile voce -
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.

(Pier Paolo Pasolini)

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