A Freddie Mercury
Vitalità? Tanta. Frenesia? Ancor di più. Innocenza? Forse. Ma un'innocenza ambigua, sfuggente e arcana come il San Giovanni di Leonardo. Quindi, magari, in ultima analisi. Non tanto innocente. Ma nel contempo bella, forte, barocca, icona dei nostri tempi sommossi. Eccessiva, sicuramente. Eri tu, Freddie, quello delle tutine sgargianti, perché così mi apparisti, in un televisore ancora in bianco e nero, malgrado fossi l'emblema dei colori. Colori forti, senza contrasti, aggressivi, perché simbolo di un'età svagheggiante, neopagana e divertita. Un uomo sexy, finalmente, che non temeva la fisicità; e che del suo corpo aveva fatto il veicolo per trasmettere, semplicemente, gioia e piacere. Dicevi che i Queen erano i Cecil B. De Mille del rock, per me eravate il liberty eclettico d'una stagione dove queste commistioni erano possibili. Dove il cielo sembrava raggiungibile, anzi, si era steso sulla terra con la sua fantasmagoria di astri. E noi potevamo srotolarci sopra, allegri e spensierati.
Il messaggero degli dèi, col suo agglomerato di citazioni (allucinazioni?) pittoriche, letterarie, cinematografiche e più smaccatamente pop (News of the world, che contrasto: nome d'una rivista e livida copertina alla Fritz Lang!), aveva in realtà un compito prometeico: portare il fuoco agli uomini. Tu ce ne hai regalato veramente tanto. Lo hai reso vulnerabile, e noi fiammanti. Eri inglese? Armeno? Persiano? Rock? Disco? Classico? Etero o gay? Oh, che noia, avresti tagliato corto, e lo dicesti anche. "Definirmi? Tutti commenterebbero: pure Freddie che si dichiara, per avere un po' di titoli sui giornali". Eh no, malgrado tutto non eri proprio uomo da titoli urlati. Perché soffrivi il peso d'un universo rotante che contenevi tuo malgrado. Avevi tante cose da dire e da cantare ancora, è vero; ma chissà come ti saresti trovato qui e ora, in questi anni, non più semplici ma facili, troppo cinici per la malizia e l'ambiguità. Forse, per te, non ci sarebbe stato più spazio. Non è tempo d'artisti, questo.
Ma, sparendo, ci hai costretti a un risveglio penoso. Siamo stati obbligati a crescere senza il tuo aiuto. Senza la tua compagnia, i tuoi giochi. Che, come tutti i giochi, sottendevano un cupo rimpianto. Una tragica melodia. Ma di piccole, carnali tragedie è trapunto il cammino umano. Rimasti così, in preda a fantasmi amorfi, diventati adulti senza esser stati grandi, ci siamo sentiti privare dell'aria. Come bimbi in un campo giochi vuoto. In periferie grigie della nostra debole fantasia. Però la tua musica, quella è rimasta, quella c'infonde ancora rabbia, e voglia di mandare al diavolo l'ingiustizia che ti ha strappato a noi. L'ingiustizia, l'ingiustizia. Questo sentimento è ancora, pertinace, uno sguardo oltre la periferia, oltre il vuoto di quel campo. E' un grido di riappropriazione. Tu eri eccezionale, insostituibile. Ma ci hai insegnato che ciascuno di noi può esserlo, e rinunciare a questa speranza, allora sì, sarebbe tradirti e dimenticarti per sempre.
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
24.11.09
Maggiorenni senza te
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