La nostra libertà nasce dal rispetto dei diritti degli altri

 
da  una  rivista  online  http://www.psychologies.it/rivista/gennaio_2005/

ho  trovato questo editoriale   interessante    che mi trova  perfettamente    d'accordo,






È di questi giorni una notiziola scarna proveniente dalla Corea del Nord*,
passata quasi inosservata in un momento in cui i media hanno ben più polposi
argomenti da azzannare: si tratta della feroce campagna condotta dall’ultimo
regime comunista duro e puro del pianeta attraverso giornali, radio e
televisione, per imporre al popolo un look appropriato. “Non permettete alla
vostra zazzera di raggiungere una lunghezza controrivoluzionaria!”, tuona da
Seul la tv di Pyongyang, “le persone che portano vestiti di uno stile che non è
il loro provocheranno la rovina della nazione”, fa eco il Redong Sinmun,
quotidiano organo del partito. Niente di nuovo sotto il sole: il regime talebano
di Kabul imponeva agli uomini di non tagliarsi la barba. E, senza andare
lontano, a casa nostra durante il Ventennio vigevano regole severissime,
ancorché non scritte, sul look che si conveniva a uomini che fossero veri uomini
e donne che fossero vere donne. Che i regimi (o le mentalità) totalitari, di
qualunque colore, abbiano sempre considerato normale ingerirsi in faccende che,
viceversa, dovrebbero essere del tutto private, come l’aspetto esteriore delle
persone o la loro sessualità, è cosa nota. Che in regime di libertà questo
genere di imposizioni sia intollerabile è un pensiero ampiamente condiviso.
Tantopiù da chi, come noi di Psychologies, ritiene che ciascuno abbia diritto a
cercare la propria via all’autorealizzazione, purché nel rispetto dei diritti
altrui. Ma sarebbe semplicistico fare di tutta l’erba un fascio, ritenendo che
qualunque divieto porti dritto dritto al totalitarismo. Come è stato sostenuto
da qualcuno nell’ambito del dibattito sulla legge sul fumo appena entrata in
vigore: “Dopo il nazismo e il fascismo, è crollato il comunismo. [...] Sconfitti
in campo economico i nemici della libertà hanno cominciato a cercare la
rivincita in altri settori”. La dichiarazione è nientemeno che del ministro
della difesa Antonio Martino**, inferocito dal divieto di fumare in luoghi
pubblici votato dal Parlamento. Ora, regolamentare la convivenza di un numero di
persone superiore a uno è sempre stato un affare delicato. Una sorta di slalom
tra le inviolabili libertà individuali che, più di una volta, ha portato anche
le migliori democrazie a scivoloni incresciosi. Ma qualunque sia la nostra
posizione personale in proposito, è difficile immaginare che la questione fumo
possa essere considerata alla stregua della vicenda coreana. Possiamo
comprendere le ragioni di chi rivendica il diritto a godere liberamente dei
piaceri della vita (che, per altro, pensiamo vadano ben al di là del fumo o
dell’alcol o della guida veloce). Ma è un dato di fatto che il primo dei
principi liberali afferma che tale libertà deve fermarsi laddove infrange i
diritti degli altri. Il capello lungo non ha mai fatto male a nessuno (se non ai
regimi). Il fumo, forse, sì.


lrappazzo@hachette.it

 mi piacerebeb  sentire  il vostro parere in merito 

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