19.9.09

ITALIANI e italiani

La morte è sempre dolorosa. Ancor più se ti sorprende giovane, nel pieno delle forze. E a maggior ragione quando è insensata (pur se, finora, non sono riuscita a trovare un vero senso a qualsiasi morte). I nostri sei parà, vittime di un crudele attentato a Kabul, erano giovani, erano "solidi professionisti" (M. Serra), consapevoli del loro destino.

Li rispetto, ma provo disagio quando OGNI GIORNO muoiono (e non in "missioni di pace") quattro operai sul lavoro e nessuno ne parla. Quando c'è chi perde quel lavoro e lo grida dai tetti, e in tv ci rabboniscono con fandonie sulla crisi "ormai alle nostre spalle". Quando ai precari incatenati sui provveditorati, e alcuni sono tali da vent'anni, giungono irrisioni e sputi, e nessuno ne parla. Quando ascolto un ministro affermare "noi non intendevamo esportare la democrazia" mentre invece era proprio questa la missione "salvifica" di cui si erano riempito la bocca Bush e i suoi vassalli, coi risultati che si sono visti. I talebani ci sono ancora, più forti di prima, Osama non è mai stato catturato, l'"economia" principale del Paese è data dal traffico d'oppio e non mi pare che i "nostri" l'abbiano fermato e/o garantito una maggior sicurezza alla popolazione, soprattutto femminile, di quei luoghi. E nessuno dice mai, oltretutto, che la maggior parte delle vittime di quell'assurdo conflitto sono civili, in particolare bambini. Se realmente si vuole aiutare quel paese, occorre ripensare a centottanta gradi alle "missioni". Non dico nemmeno di andarcene. Ma dico che, così com'è stata concepita, la missione è FALLITA ed è inutile fingere di non rendersene conto. "La chiamano missione di pace - denuncia un pulpito insospettabile come quello di Gioacchino Illiano, vescovo di Nocera Superiore, il paese di uno dei caduti - ma è una guerra vera e propria, per cui il governo dovrebbe assicurare maggiore tutela a questi ragazzi".



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