dalla nuopva sardegna del 5\9\2009
Infatti su LIBERO d'oggi 5\9\2009 si legge questo articolo di Gianluigi Nuzzi
Boffo, mistero sul dossier segreto sparito
Questura: non esiste. Belpietro: "C'era"
La storia di Dino Boffo sembrava chiudersi con le brusche dimissioni del direttore dell’Avvenire. Fino al giorno prima ha sparato pagine di autodifesa, raccogliendo consensi, per poi abbandonare la trincea così, come se si sentisse colpevole, oppure, peggio, solo o indifendibile. Non sappiamo se esistano altri motivi oltre a quelli indicati nel commiato, inviato al cardinale Angelo Bagnasco prima di lasciare la direzione. La domanda diventa concreta quando si apprende che in Questura a Milano da tempo esiste un fascicolo personale intestato “Boffo Dino”. Prima che si alzasse la buriana, il carteggio era custodito in archivio. Ora, non c’è più. Tecnicamente è “in trattazione”, ovvero un ufficio l’ha richiesto per “lavorarci” sopra. Per consultarlo, compiere verifiche o, magari, accertamenti. L’ufficio in questione è quello della Digos. Il dirigente, Bruno Megale, quello che aveva “gestito” la vicenda delle inchieste sulla rendition di Abu Omar, è in ferie. Impossibile saperne di più: nessuno dice nulla. Segreto. Se la Digos ha preso quelle carte quando la vicenda Boffo è finita sui giornali, quindi già una settimana fa, ci possono essere solo tre motivi. O si è voluto “blindare” il fascicolo. Impedire quindi che qualche “manina” passasse le informazioni ai cronisti. O gli investigatori su indicazioni del ministro Bobo Maroni hanno voluto verificare che all’interno non ci fossero informative, note, appunti sulla presunta omosessualità del direttore dell’Avvenire. Un dettaglio che ci avrebbe portato ai tempi bui del Sifar. Oppure, ipotesi remota, ci sono delle indagini in corso. Sapere perché questo fascicolo è finito sotto chiave sarebbe interessante. Ancor più interessante conoscerne il contenuto. Di certo né raccomandate, né multe della polizia municipale o verbali dell’annonaria ma documenti forse rilevanti, magari capaci di dare l’impronta a quanto accaduto e che oggi all’istante sono finiti lontani dagli scaffali degli archivi. Non c’era nessun anomalia sulla presenza di questi documenti. Boffo è residente a Milano e il fatto solo di aver subito una condanna determina l’apertura di un fascicolo personale. Cosa diversa è se da quel fascicolo dovessero uscire altre o diverse storie tali da posizionare Boffo in un inedito contesto. Non necessariamente negativo. L’ex direttore dell’ Avvenire poi potrebbe persino risultare parte lesa di un’attività informativa non legittima ma già smentita dal ministero dell’Interno.
In questo scenario si inseguono le indiscrezioni che in mancanza di un quadro certo alimentano solo, al momento, confusione come quella che vede nel “recupero” e nella “sparizione” del fascicolo un’iniziativa sì della Digos ma dettata da uffici esterni ovvero dall’Aisi, l’ex Sisde. Gli 007 avrebbero quindi voluto aver contezza di quanto era stato raccolto in Questura sul direttore del quotidiano della Cei? Difficile, improbabile anche perché non rientrerebbe nelle loro competenze. Di certo quel fascicolo dov’era non c’è più. E questo solleva interrogativi, dubbi che andrebbero chiariti. Anche perché della vicenda di Terni, di quelle molestie, di quella sentenza ancora oggi si conosce poco, pochissimo. Dettagli che non dicono abbastanza di quest’uomo che a un certo punto, proprio quando la Chiesa spende parole dure contro chi lo critica, mezza stampa lo eleva a martire, la redazione lo sostiene, la storia dell’informativa vacilla aprendo varchi insperati, ecco proprio adesso getta la spugna e si dimette. Non si può legare la storia del fascicolo alla scelta di Boffo, che può essere benissimo dettata solo dal peso della situazione. Né, ribaltando lo scenario, si può indicare nel fascicolo la causa delle mosse felpate del Vaticano, di quei segnali trapelati, delle parole di Vittorio Messori che scandivano la distanza gelida che stava creandosi. Ma considerare che questo carteggio nulla c’entra con tutta questa storia, che non offre chiavi prospettiche, ci porterebbe con ogni probabilità su una strada sbagliata.
Questura: non esiste. Belpietro: "C'era"
La storia di Dino Boffo sembrava chiudersi con le brusche dimissioni del direttore dell’Avvenire. Fino al giorno prima ha sparato pagine di autodifesa, raccogliendo consensi, per poi abbandonare la trincea così, come se si sentisse colpevole, oppure, peggio, solo o indifendibile. Non sappiamo se esistano altri motivi oltre a quelli indicati nel commiato, inviato al cardinale Angelo Bagnasco prima di lasciare la direzione. La domanda diventa concreta quando si apprende che in Questura a Milano da tempo esiste un fascicolo personale intestato “Boffo Dino”. Prima che si alzasse la buriana, il carteggio era custodito in archivio. Ora, non c’è più. Tecnicamente è “in trattazione”, ovvero un ufficio l’ha richiesto per “lavorarci” sopra. Per consultarlo, compiere verifiche o, magari, accertamenti. L’ufficio in questione è quello della Digos. Il dirigente, Bruno Megale, quello che aveva “gestito” la vicenda delle inchieste sulla rendition di Abu Omar, è in ferie. Impossibile saperne di più: nessuno dice nulla. Segreto. Se la Digos ha preso quelle carte quando la vicenda Boffo è finita sui giornali, quindi già una settimana fa, ci possono essere solo tre motivi. O si è voluto “blindare” il fascicolo. Impedire quindi che qualche “manina” passasse le informazioni ai cronisti. O gli investigatori su indicazioni del ministro Bobo Maroni hanno voluto verificare che all’interno non ci fossero informative, note, appunti sulla presunta omosessualità del direttore dell’Avvenire. Un dettaglio che ci avrebbe portato ai tempi bui del Sifar. Oppure, ipotesi remota, ci sono delle indagini in corso. Sapere perché questo fascicolo è finito sotto chiave sarebbe interessante. Ancor più interessante conoscerne il contenuto. Di certo né raccomandate, né multe della polizia municipale o verbali dell’annonaria ma documenti forse rilevanti, magari capaci di dare l’impronta a quanto accaduto e che oggi all’istante sono finiti lontani dagli scaffali degli archivi. Non c’era nessun anomalia sulla presenza di questi documenti. Boffo è residente a Milano e il fatto solo di aver subito una condanna determina l’apertura di un fascicolo personale. Cosa diversa è se da quel fascicolo dovessero uscire altre o diverse storie tali da posizionare Boffo in un inedito contesto. Non necessariamente negativo. L’ex direttore dell’ Avvenire poi potrebbe persino risultare parte lesa di un’attività informativa non legittima ma già smentita dal ministero dell’Interno.
In questo scenario si inseguono le indiscrezioni che in mancanza di un quadro certo alimentano solo, al momento, confusione come quella che vede nel “recupero” e nella “sparizione” del fascicolo un’iniziativa sì della Digos ma dettata da uffici esterni ovvero dall’Aisi, l’ex Sisde. Gli 007 avrebbero quindi voluto aver contezza di quanto era stato raccolto in Questura sul direttore del quotidiano della Cei? Difficile, improbabile anche perché non rientrerebbe nelle loro competenze. Di certo quel fascicolo dov’era non c’è più. E questo solleva interrogativi, dubbi che andrebbero chiariti. Anche perché della vicenda di Terni, di quelle molestie, di quella sentenza ancora oggi si conosce poco, pochissimo. Dettagli che non dicono abbastanza di quest’uomo che a un certo punto, proprio quando la Chiesa spende parole dure contro chi lo critica, mezza stampa lo eleva a martire, la redazione lo sostiene, la storia dell’informativa vacilla aprendo varchi insperati, ecco proprio adesso getta la spugna e si dimette. Non si può legare la storia del fascicolo alla scelta di Boffo, che può essere benissimo dettata solo dal peso della situazione. Né, ribaltando lo scenario, si può indicare nel fascicolo la causa delle mosse felpate del Vaticano, di quei segnali trapelati, delle parole di Vittorio Messori che scandivano la distanza gelida che stava creandosi. Ma considerare che questo carteggio nulla c’entra con tutta questa storia, che non offre chiavi prospettiche, ci porterebbe con ogni probabilità su una strada sbagliata.
Se cosi fosse perchè non citano la posizione nell'archivio dove 'era contenuto ?
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