23.6.20

ricordo ancora il primo giorno scuola .... un pensiero assopito e la nostalgia si fa avanti leggendo la storia di Mimi Salis alias Su Mastru Salis: un vero maestro, non solo di scuola.

sulle  note     della   sigla  del famoso  cartone  Libro cuore Leggo questo storia trovate  sulla  home  di facebook

  da  Diego Ibrahim Manca  Ieri alle 00:29

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Su Mastru Salis: un vero maestro, non solo di scuola.
Oggi voglio raccontarvi la storia di un uomo che, negli anni 60, in un piccolo paese del centro Sardegna riuscì a dare una svolta decisiva alla lotta all'analfabetismo innescando un processo di cultura del bello e della responsabilità che ancora oggi si respira profondamente. La fortuna di averlo conosciuto, di aver potuto assistere alle sue narrazioni, di aver potuto condividere anche se per poco, una passione comune (l'amore per la propria terra) e aver avuto il privilegio di poter godere della sua fiducia, mi danno forza e speranza nell'inseguire i miei sogni. Il patrimonio enorme 
L'immagine può contenere: una o più persone, occhiali_da_sole, vestito elegante e spazio all'apertodi testi, scritti, appunti, lavori di studio vari, i millemila reperti raccolti, schedati, organizzati e presentati nel museo della tecnologia contadina di Santulussurgiu che oggi porta il suo nome, sono ben poca cosa in confronto allo straordinario esempio di vita che ha lasciato ad un'intera comunità. Molti di noi che oggi non si arrendono al ruolo di semplice spettatore passivo ma si impegnano in prima persona per quello in cui credono, è anche merito suo.

SU MASTRU
di Diego Manca

Sono un uomo fortunato: nella mia vita ho avuto buoni maestri, anche se la parola “maestro” per gran parte della mia vita era legata a una sola immagine, a quella del Maestro Salis, Franziscantoni come talvolta lo chiamavano scherzosamente i suoi ex allievi e i tanti amici.
Per tutti, a Santulussurgiu, era però, inequivocabilmente, “Su Mastru”, il Maestro per antonomasia.
Sono andato via dal mio paese all’età di 14 anni, per frequentare la scuola alberghiera di Alghero e un giorno me lo vidi davanti, sul lungomare, con il suo sorriso buono e scanzonato, i suoi capelli a spazzola, il viso paonazzo perché si era messo a correre per abbracciarmi; lui così alto si doveva chinare molto per potermi abbracciare e subito mi domandò come stavo e come andava la scuola e se mi piaceva la città. Ah, era così curioso di tutto e io mi sentivo così importante che Su Mastru si interessasse a me. Era lì per un convegno dell’UNLA, acronimo di Unione Nazionale per la Lotta all'Analfabetismo.
Da allora sono sempre vissuto fuori dal mio paese, all’estero e poi in continente, ma ho sempre mantenuto i contatti con lui, informandolo di ciò che facevo e a volte chiedendogli un consiglio, non come a un padre, ma come a un fratello maggiore. Una delle ultime volte che l’ho visto, alla festa dei cinquantenni leva 1949; ero andato a casa sua insieme a compare Michele Ardu, anche lui suo allievo e amico, per convincerlo a venire alla festa, alla quale non poteva mancare, poiché i festeggiati erano quasi tutti suoi ex allievi delle elementari. Venne e fece felice tutta la compagnia e, soprattutto, noi lo vedemmo felice, circondato dall’affetto e dalla stima di tutti.
Un paio di mesi fa, mentre cenavo con compare Michele Ardu, che finalmente dopo tanti anni era venuto a trovarmi a Firenze, squilla il telefono e compare Niccolino Migheli, anche lui suo allievo e amico, con la voce rotta dalla tristezza, ci informa che il maestro Salis è morto. In quel momento abbiamo capito che eravamo diventati orfani non solo di un padre spirituale, ma di un amico, di un fratello, di un vero maestro.
Francescantonio Salis è stato il mio maestro alle scuole elementari, dalla prima fino all quarta, quando lasciò l’insegnamento per dedicarsi completamente al “Centro di Cultura”. Allora sapevo poco di quello che realmente faceva per il nostro paese, per i giovani e per gli anziani, sapevo solo che il Centro di Cultura Popolare era stato fondata dall’Unesco per combattere l’analfabetismo e che al maestro Salis era stato assegnato il premio Unesco per l'Educazione degli adulti.
Ricordo ancora una comica conversazione nel mio vicinato, in un assolato pomeriggio d’estate: Tia Niccolina, una mia vecchia zia che frequentava la scuola serale per imparare a leggere e a scrivere insieme a tanti altri adulti del paese, appoggiata allo stipite della porta di casa gridava alla sua compagna di scuola Tia Vittoria:
“Ittoria, cun cantas emmes s’iscriet vendemmia, duas o tres?” (Vittoria, con quante “emme” si scrive vendemmia, due o tre?)”
“Boh”, custu sero du domannamus a su mastru.” (Boh, stasera lo domandiamo al maestro).
Non scrivo queste cose per prendere in giro le mie vecchie zie, che prendevano molto sul serio il fatto di poter imparare a leggere e a scrivere. Tia Niccolina aveva in Australia suo figlio Raffaele e finalmente poteva scrivergli di proprio pugno, ma soprattutto, poteva leggere le sue lettere. Tante altre madri e padri di emigrati, che avevano i figli nella lontana Germania o addirittura in Australia, potevano finalmente comunicare con loro perché avevano imparato la magia della scrittura e non solo: stavano iniziando a fare i primi passi nella letteratura, poiché molti di loro, anche se avevano già settanta o ottant’anni, avevano incominciato a leggere libri.
Subito dopo cena scappavo per andare al “centro”, dove avrei ritrovato altri ragazzi della mia età, anche loro come me ansiosi di vedere la “televisione”, dato che lì era uno dei pochi luoghi in paese dove si poteva guardare. Naturalmente c’erano anche parecchi adulti, che spesso rimanevano dopo la scuola. Sapevamo tutti però che prima dello spettacolo, prima del “Carosello”, “Su Mastru” ci avrebbe letto qualche pagina: andava avanti e indietro con il libro in una mano mentre con l’altra mimava l’azione descritta, sudato, a volte con la voce roca, oppure sorridendo per qualche frase comica o ironica, facendo sorridere anche noi. Partecipavamo tutti alla lettura, ci faceva vivere ciò che ci leggeva e ce lo faceva amare. I libri erano “Canne al vento” di Grazia Deledda, “I figli di Pietro Paolo” di Antonio Cossu, “Sonu ‘e Taula” di Giuseppe Fiori, “Lettera ad una professoressa” di Don Milani. Tra l’altro, la figura a cui il maestro Salis assomiglia di più è senz'altro Don Milani, il priore di Barbiana. L'uno e l'altro erano consapevoli che solo operando per la crescita culturale delle comunità si poteva costruire una società migliore e più giusta. Quando alcuni anni fa andai a vivere in campagna a Vicchio, nel Mugello, a pochi chilometri da Barbiana, ho conosciuto un paio di persone che erano state allieve di Don Milani e parlando con loro mi accorsi quanto avevamo in comune: un amore e una stima immensi per i nostri maestri, che sono stati per noi dei padri, degli amici, delle guide
Quando ricordo il periodo della mia adolescenza, penso a quanto sono stato privilegiato: con altri ragazzi della mia età passavo interi pomeriggi al “centro” a giocare con Checco, una cornacchia ubriacona e chiaccherona che il “centro” aveva avuto in affidamento da Bachis Migheli, un fabbro emigrato in Australia oppure andavo a prendermi un libro alla biblioteca, che il maestro Salis aveva fortemente voluto, e nelle lunghe e fredde giornate invernali ho passato lì dei momenti indimenticabili. Spesso il maestro mi consigliava cosa leggere oppure discuteva con me di ciò che stavo leggendo in quel momento, facendomi spesso ridere con la sua ironia e senso dell’umorismo. Ecco perché per molti della mia generazione è stato un vero maestro di vita e maestro nell’arte di vivere: faceva poca distinzione tra il proprio lavoro e il gioco, tra la fatica e il divertimento; questo è uno dei motivi per cui è stato tanto amato. Il maestro Salis rimarrà immortale attraverso i pensieri, i ricordi e l’amore delle persone che, come me, gli hanno sinceramente voluto bene.


22.6.20

Storie di figlie che hanno deciso di ribellarsi alle violenze dei padri e sono diventate protagoniste di una liberazione

quello che  affermavo    nei commenti  di   questo   precedente  post



 di  cui  trovate  qui    https://bit.ly/2Bysmy0  l'intera  discussione,è errato perchè non tutte le  donne   reagiscono  allo stesso  modo  davanti  alle  brutalita  sessiste   e patriarcali del femminicidio  . Se  da  un lato ci  sono     quelle   subiscono passivamente   e preferiscono far prevalere  le loro  paure  ed  il loro pessimo  per una    giustizia    .  Ci sono   anche  quelle   di cui riporto   sotto   le  loro storie  prese  da repubblica  del   22\6\2020

Nel nome della madreSubire la violenza degli uomini in famiglia: si stima che in Italia accada a 500mila bambini Storie di figlie che hanno deciso di ribellarsi e sono diventate protagoniste di una liberazione

                                    di Maria Novella De Luca

Annie Russo, 20 anni
"Spiego nelle scuole che quello non è amore"


«Mi chiudeva a chiave nella mia stanza, nel buio più completo.
"Dormi" diceva. Oltre la porta sentivo urla soffocate, lamenti, frantumi, colpi sordi. Mio padre la picchiava senza pietà.
Ricordo notti infinite, il terrore che mi scuoteva come ventate fredde che ancora oggi mi gelano il sangue. A undici anni la prima aggressione davanti miei occhi: lui le getta in faccia un oggetto pesante, la ferisce a un occhio, quasi l’acceca. Mia madre urla, piange, si rannicchia su se stessa. Ma poi si rialza.
Copre l’ematoma. Incredibilmente usciamo tutti insieme, andiamo al luna park, come fossimo una famiglia normale, lei racconta che quell’occhio nero se l’è fatto cadendo. Subiva e pensava che fosse amore».
La violenza con occhi di figlia ha il colore della notte e le tenebre di una stanza chiusa a chiave. È l’umiliazione di ogni giorno che diventa depressione, fatica di vivere, morte del domani. Annie Russo ha 20 anni, vive a Reggio Calabria, a settembre si iscriverà all’università. Sua madre, Antonietta Rositani, da 400 giorni combatte in un letto di ospedale dopo che il suo ex marito, Ciro Russo, evaso dagli arresti domiciliari, le ha dato fuoco. (Oggi si terrà l’ultima udienza del processo. In aula, parte civile, anche l’associazione "Insieme a Marianna", in ricordo di Marianna Manduca, uccisa dall’ex). Annie dice che la sua vita si è fermata il 12 marzo 2019. Era in classe, qualcuno la chiamò, vai, tua madre è in ospedale, ha avuto un incidente, al telefono c’è lo zio, il fratello di Antonietta che grida: «L’ha bruciata, l’ha bruciata». «Davanti a mia madre sfigurata dal fuoco ho visto i miei terrori di bambina diventare realtà, le mie notti insonni per paura che l’ammazzasse. La picchiava, le sputava, la controllava con il Gps, mamma subiva, ma restava lì, in quell’inferno che era la nostra normalità. Per aggredirla cercava pretesti: una camicia non stirata e diventava una belva. Rispettava soltanto il mio fratellino Willy, forse perché maschio».
La vita fuori. la scuola, gli amici. E la vita dentro: botte, sangue.
«La violenza mi mangiava le forze. Non vali niente, mi diceva. E mi sputava. A casa non invitavo nessuno, con gli amici facevo finta che fosse tutto normale. Se cresci con la paura che tuo padre uccida tua madre, ti porti la vergogna dentro». Annie, che oggi racconta la sua storia nelle scuole, è una tra i cinquecentomila figlie e figli di "violenza assistita". «Continuava a dire di amarlo. Si è ribellata soltanto quando lui ha spaccato anche a me la faccia. Un giorno l’ho sentito dire: oggi ti ammazzo. Ho chiamato mio zio e lui ha avvertito la polizia.
Finalmente l’hanno arrestato». Annie quella volta salva Antonietta. Ma la storia è amara. Russo evade dai domiciliari, sperona l’auto di Antonietta e le dà fuoco. «Per quell’uomo provo indifferenza. Ho il cuore freddo. Voglio soltanto giustizia per tutti noi».


Giulia, 23 anni
"Così ho trascinato mio padre in tribunale"

Giulia quel padre padrone lo ha mandato alla sbarra. Ma il processo è appena cominciato. «Ho paura di lui, tutelate la mia identità». Giulia, così la chiameremo, ha 23 anni, gli occhi scuri e il cuore di una combattente. «Quando ero piccola vedevo mio padre insultare, umiliare e picchiare mia madre. Ho passato un’infanzia ad asciugare le sue lacrime, sentendola singhiozzare di giorno di notte. Mio padre cercava di inculcarmi l’idea che la mamma fosse pazza, che fosse lei a causare tutte le liti a cui assistevo. Della mia infanzia ho solo flashback di botte e grida e il suono di un pianto che non finisce più».
Giulia è una vittima di violenza assistita. Ex bambina testimone di ingiustizia. Abita in provincia di Roma, studia all’università, ha un compagno. Ma di quei traumi, elaborati oggi anche grazie al femminismo, fa ancora fatica a parlare. Giulia, che è riuscita a salvare la madre, Francesca, convincendola a separarsi, trovando i soldi per mantenere entrambe. E ha avuto il coraggio, assistita dall’avvocata Teresa Manente, di portare il padre-aguzzino alla sbarra. Un uomo con il culto della forza e delle armi. «Ne aveva di qualsiasi tipo: coltelli, pistole e fucili». «Lui colpiva e mia madre si rannicchiava su se stessa per la vergogna, i fazzoletti zuppi di lacrime, il suo pianto durava così tanto che non riusciva più a respirare. Quando avevo 8 anni tentò di denunciarlo. Ma la scoraggiarono: è una lite familiare, le dissero. Aveva rinunciato a tutto per la famiglia, non aveva niente e nessuno.
In 20 anni di matrimonio lui le aveva fatto terra bruciata intorno. Aveva solo me». Una bimba di dieci anni piccola e magra che cerca di fermare l’orco.
Si consuma in una casa di periferia questo inferno domestico.
Una matrimonio come tanti: lei pensa di amarlo, lui si trasforma in carnefice. Giulia cresce tra lacrime e sangue, aggrappata a una mamma che non riesce a reagire. «Da adolescente ha iniziato a picchiare anche me per affermare il suo potere».
Giulia si piega ma non si spezza. È un tenacissimo giunco.
Decide di iscriversi all’università. Il padre la insulta, dice che fallirà. «Gli chiesi di saldare la prima tassa. Fui massacrata».
Giulia è disperata ma caparbia. Lavora e studia.
«Volevo salvare mia madre da quell’inferno. Dovevamo liberarci di lui: la convinsi a separarsi. Non aveva mai avuto a forza di farlo». Giulia cerca aiuto. «Avevo visto la pubblicità del 1522, il numero antiviolenza». È la salvezza. «Mi misero in contatto con "Differenza donna". Psicologhe e avvocate che ci hanno aiutato prima di tutto a riconoscere la violenza. Poi, a difenderci». Ma il respiro della libertà è ancora lontano. «Prima di essere obbligato dal giudice ad andare via la aggrediva ogni giorno, senza pietà.
Registravo tutto. Mi scoprì e finii in ospedale». Giulia sente ancora il dolore di quei colpi. «Grazie a "Differenza donna" l’ho portato in tribunale. I miei occhi di bambina hanno visto l’orrore, ci vorrà tutta la vita per dimenticare».

ma  soprattutto  è questo     , vedere  foto sotto  ,  che  mi  ha  fatto più riflettere














Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...