13.6.15

la 194 va potenziata non riformata o abolita la storia di Michela Napolitano che sceglie di non abortire e di tenersi il 4 figlio




MICHELA NAPOLITANO
AVREI DOVUTO ABORTIRE,
MA NON ME LO SAREI MAI PERDONATA

Di Alina Rizzi

La notte che scoprii di essere incinta del mio quarto figlio, tutti i sogni e i progetti che avevo mi caddero addosso. Erano le due del mattino quando lanciai un grido che svegliò non solo i miei bambini, ma anche qualche villeggiante attorno alla nostra casa. Mi sentii precipitare in un abisso senza uscita. Non ce l’avrei mai fatta a portare avanti un’altra gravidanza, dopo aver avuto Edoardo, il maschietto, e poi le gemelline Silvia e Alessandra, in soli quattro anni.
Mi sentii sopraffatta al pensiero dei problemi economici che avrebbe comportato quella nascita, ma
soprattutto sapevo che sarebbe stato molto rischioso per la mia salute. Ricordavo bene quanto era stato faticoso portare avanti le gravidanze precedenti, il vomito continuo, i malesseri, il deperimento fisico. Per mio marito fu subito evidente che non potevo avere un altro bambino. Si prospettò l’idea di un’interruzione di gravidanza, che mi lasciò incredula e abbattuta.
Il giorno dopo, il mio ginecologo, volle farmi una prima ecografia. Lo vidi scuotere la testa, davanti alla probabilità di due embrioni.
“ Hai tre bambini piccoli, sei reduce da gravidanze difficili e parti cesarei, come credi di potercela fare?” mi domandò in tono serio.
“ Il tuo corpo è debole, non può reggere il trauma fisico che si prospetta.”
Mio marito era d’accordo. La decisione più saggia sembrava già presa. Eppure non riuscivo a darmi pace.

UNA SCELTA DEVASTANTE
Avvolta in un abito di cotone scuro sgualcito, sorretta dal braccio confortevole di mio marito, varcai l’atrio dell’ospedale, dove mi attendeva una seconda diagnosi clinica embrionale.
Dopo una breve attesa, fu il mio turno di salire sul lettino appena lasciato libero da una mamma più fortunata di me, che si allontanava raggiante di gioia e autostima.
Una grande tristezza mi invadeva mentre scoprivo l’addome per l’ecografia. Subito avvertii il cuore del piccolo che portavo in grembo e ricordai quando quell'evento aveva rappresentato uno dei momenti più belli della mia vita. Strinsi gli occhi che bruciavano di lacrime.
Il medico sorrideva, sembrava ignorare i motivi reali della mia visita.
“ Signora, è davvero precoce questo bambino, guardi come la sta salutando”, disse, mostrandomi la manina sinistra che si muoveva come un’onda, forse per salutarmi davvero.
Mi sentii scoppiare il cuore e dentro di me sussurrai: “Quanto sei bello, amore mio”.
Seppi che non si trattava di una gravidanza gemellare e per un attimo immaginai di portarla avanti: per quanto rischioso era ciò che desideravo davvero.
Nessuno però mi sostenne in questo mio irrazionale desiderio. Mia madre e i miei fratelli, preoccupatissimi, volevano convincermi che non dovevo dubitare, che era la scelta migliore per tutti. Al consultorio incontrai molte altre donne che stavano prendendo quella stessa strada, eppure, io mi sentivo quasi estranea tra di loro. Perché?
Una mattina si fece avanti una donna dall'aspetto spartano, proponendoci dei colloqui individuali. Persi la pazienza e scattai in piedi colma di rancore.
“ No, voglio parlare davanti a tutte loro,-“ dissi con voce dura.
“ Non ho nulla da nascondere, niente di cui vergognarmi!”
L’operatrice annuì e iniziò a parlarci delle emozioni che provavamo, del senso di colpa, del dilemma morale, ma anche dell’importanza dell’evento che stava accadendo nel nostro corpo.A quel punto sbottai come una furia. Detestavo la sua verità assoluta. Chi credeva di essere? Una santa? Una missionaria? Aveva idea del dolore che stavo provando?
Urlai davanti al suo sguardo incredulo e poi la tensione mi fece scoppiare in lacrime. Altre donne piansero insieme a me. Allora l’operatrice si avvicinò e ci legò tutte in un unico abbraccio. Per la prima volta dall’inizio di quella vicenda provai una sensazione di autentico conforto e condivisione, e mi sentii un po’ più forte. Purtroppo mi bastò tornare a casa, da mio marito e i bambini, per rendermi conto che non potevo farmi trascinare dalle emozioni, dovevo pensare al bene di tutta la famiglia e fare il mio dovere. 
HA DECISO IL CUORE
Era il giorno dell’intervento. Mi trovavo in ospedale, dopo venti giorni di sofferenza fisica e morale. La nausea era già fortissima e a volte vomitavo sangue. Non mangiavo più. Non riuscivo a dormire. Mi ero rinchiusa in duro bozzolo di dolore. Ero intenzionata a fare la cosa più giusta, ma mi sentivo come una condannata a morte. Sapevo che non avrei mai superato l’aborto.
Prima di entrare in sala operatoria mio marito si chinò sulla barella per baciarmi e inaspettatamente sussurrò: “Michela, ricorda che fino all’ultimo momento puoi decidere quello che vuoi”.
Era un uomo meraviglioso, prostrato dalla sofferenza, ma ancora capace di sostenermi fino alla fine.
Mi portarono via e chiusi gli occhi. Singhiozzavo senza neppure accorgermene, mentre gli infermieri trafficavano attorno a me.
D’un tratto sentii una mano che mi accarezzava il braccio sinistro e aprii gli occhi. Era il medico dagli occhi chiari che avevo visto poco prima.
“ Perché lei piange tanto? “ mi chiese dolcemente.
Le parole mi strariparono dalle labbra come un torrente in piena.
“ Piango perché credo che sto facendo la cosa più brutta della mia vita,” gli dissi.
“Perché signora, non è convinta?” insistette.
“Oh no! Io non sono mai stata convinta di lasciare qui una parte di me. Ma temo sia troppo tardi!” esclamai.
Calò un profondo silenzio e non sapevo proprio cosa aspettarmi. Il medico mi strinse più forte il braccio poi si voltò verso gli infermieri dicendo:
“ Ragazzi, fermate tutto, la signora va via.”
Grandi lacrime di sollievo mi rigarono le guance, mentre intorno avvertivo sospiri, complimenti sussurrati, parole di conforto.
Il medico afferrò la barella e mi portò fuori di persona, senza nascondere l’orgoglio che provava.
Le altre donne in attesa dell’intervento mi guardarono incredule e commosse. Mio marito mi abbracciò tremando, non aveva bisogno di spiegazioni.
“Va bene così, tesoro,” sussurrò.
Non posso descrivere la gioia con cui tornai a casa, impaziente di dare la bella notizia a tutti.
E non importa se ho avuto la gravidanza difficile che mi avevano prospettato, un altro cesareo e un successivo intervento. Mia figlia Elvira è nata in perfetta salute, splendida, e con i suoi tre fratelli è il sole della mia vita.























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