- preclusione ad alcune professioni, fra cui quella di giudice (fino al 1963), per tendenza all'emotività e debolezza di pensiero o, per dirla con la descrizione lombrosiana del prof. avv. Orfeo Cecchi dell'Università di Milano: "La donna è a uno stadio intermedio tra il bambino e l’uomo, come si rileva anche dalla fisionomia, dalla mancanza di peli sul viso, dal tono della voce, dalla debolezza organica e dalla psicologia a base istintiva, sentimentale e spesso capricciosa… Ha, soprattutto quando è giovane, scarsissimi scrupoli e freni morali. Ha spiccatissime attitudini per l’intrigo, per la simulazione, per il mendacio e per lo spionaggio… E’ tremenda nell’odio e nella vendetta. E tutto giudica dal lato sessuale… Orbene, è a un essere simile, dominato e sopraffatto della simpatia o antipatia sessuale, che si vuole affidare… anche le difficilissime e delicate funzioni di magistrato?”;
Penso che uno dei primi errori di fronte alla cosiddetta "emergenza stupri" sia, appunto, quello di considerarla un'"emergenza" cioè, come suggerisce il vocabolario, una difficoltà imprevista o, comunque, qualcosa d'eccezionalmente grave; mentre nello stupro, o anche nelle semplici molestie, d'imprevisto o eccezionale non c'è proprio nulla, anzi, si tratta d'una tragica normalità, che da millenni si perpetra sulle donne.
Si è giunti a reputarlo "emergenza" per la sensazione d'un limite ormai intollerabilmente superato. Ma è un altro errore, non meno serio del primo. Nessuno stupro, infatti, è "tollerabile". Non esistono limiti, perché non c'è nulla da moderare; la violenza contro le donne va considerata per quel che è, uno dei più disgustosi crimini contro l'umanità, secondo, e nemmeno sempre, solo all'assassinio.
La domanda vera è: ma ne siamo convinti?
UN ESSERE SIMILE. Davvero ci rendiamo conto della portata d'uno stupro? Se scorriamo la giurisprudenza la risposta non può che essere negativa. Già in passato ho messo in risalto la spaventosa disparità di trattamento della legge italiana verso uomini e donne. Qui la ricordo sommariamente:
- mancato riconoscimento del diritto di voto fino al 1946;
- ius corrigendi (abrogato nel 1968);
- diritto di famiglia con l'uomo capo indiscusso (riformato nel 1975);
- adulterio punito col carcere solo per la donna, mentre riguardo all'uxoricidio la pena prevedeva l'ergastolo per la moglie, ma non sempre per il marito, anche grazie all'attenuante del famigerato "delitto d'onore" (abolito nel 1981);
- ed eccoci alla legge sulla violenza sessuale, annoverata, fino al 1996, fra i reati contro la morale, cioè alla stessa stregua degli spettacoli inverecondi e degli atti osceni in luogo pubblico.
Ovviamente, durante i processi per stupro, la vera imputata risultava la donna, provocatrice per antonomasia. E poiché le leggi riflettono la cultura, sembra possibile che un essere simile fosse sufficientemente tutelato?...
FEMMINISTA SARÀ LEI. Nella programmazione scolastica poco o nessuno spazio viene dato alle donne nelle varie discipline: la letteratura, la storia, le scienze, le religioni si declinano esclusivamente al maschile e le poche figure femminili cui si elargisce un minimo cenno, spesso distratto e lasciato alla discrezione dell’insegnante, non fanno che rafforzare lo stereotipo: eccezioni che confermano la regola. L’appellativo “femminista” viene usato nella stragrande maggioranza dei casi a sproposito e quasi a mo' d'insulto, quando una docente tenta di ristabilire un minimo d'equità dedicando maggiore attenzione all’apporto delle donne negli ambiti del sapere (non va dimenticato, infatti, che il 90% dei professori delle scuole medie di primo e secondo grado sono di sesso femminile; percentuale che si capovolge in ambito universitario, l’unico a godere di prestigio sociale... ed economico).
Il femminismo insomma, l’unica rivoluzione del Novecento riuscita senza degenerazioni dittatoriali o spargimenti di sangue, viene ignorato, deriso o ritenuto espressione di gruppuscoli d’esagitate virago. Sullo sfruttamento del corpo femminile da parte dei mezzi di comunicazione di massa abbiamo già speso fiumi di parole; a esso, di recente, si sono aggiunte nuove forme di reificazione di stampo neoliberista – dalla prostituzione “volontaria” e persino “umanitaria”, come l’assistenza sessuale ai disabili, alla compravendita d’organi, dalla deprivazione della maternità alla coercizione di donne povere - le quali, in nome dell’individualismo più spinto, si presentano sotto l’aspetto di diritti e non sono altro che manifestazioni inedite del vecchio patriarcato.
IPOCRISIA. Il “grido di dolore” s’è levato, all’improvviso, a causa dei recenti episodi di violenza commessi da immigrati. Ma è un grido che somiglia più a una canea, a un farneticare strozzato, a un gorgoglio d’umori ancestrali, sub-umani (o, forse, pre-umani). È un grido, ancora una volta, inutile, un bronzo che risuona di disonestà intellettuale, razzismo, strumentalizzazione. È un ennesimo grido contro le donne, incurante della loro dignità.
Possiamo permetterci di respingerlo, quel grido, perché lo conosciamo bene. In precedenza abbiamo gridato noi, ma nel deserto; senza tuttavia perdere, parafrasando Testori, il nostro proprio latino.
Non occorrevano le sciagurate frasi d’un Abid Jee (il quale, vogliamo sperare sia espulso dall’Italia al più presto) per rendersi conto del violento sessismo di cui sono impregnate molte tradizioni non occidentali; un vero e proprio jihad di genere. Uso il termine non in senso tecnico, ma in quello popolarmente inteso; i seviziatori di Rimini possono infatti essere sia musulmani sia cristiani o altro.
A stupire e indignare, semmai, dovrebbe essere la miopia della sinistra liberal, la sua frusta retorica terzomondista, il senso di colpa infantile, e capriccioso, verso i popoli ex-coloniali che in nulla ricorda la vera solidarietà. Quell'idealizzazione regressiva del politicorretto, ipocrita e priva di basi filosofiche, artistiche, religiose.
ALLE RADICI. Questa miopia, anzi, cecità, ha impedito un dialogo maturo e paritario coi rappresentanti di culture diverse (ma non sempre, e non necessariamente, opposte). L'edonismo neolaico preconizzato da Pasolini - "ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane" - di cui la nuova sinistra s'è ammantata, non è in grado di produrre una cultura che non sia meramente tecnologica e pragmatica, e impedisce all'uomo autentico di svilupparsi; ne consegue, conclude il poeta, "una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali".
E una confusione in primo luogo linguistica. In tal senso, la democrazia viene svuotata di significato per coincidere esclusivamente col benessere materiale, la soddisfazione immediata dei piaceri dei singoli - o dei solitari - che fanno massa ma non società; e i diritti, da comuni e condivisi, diventano pretese individuali. E siccome ognuno ha le proprie, il neolaico le accoglie all'ingrosso, in nome d'un malinteso rispetto dell'altro che cela goffamente un altezzoso e irritante paternalismo - o, per dir meglio, indifferenza -. Essendo privo di cultura e avendo rinnegato in primis la propria (questi liberal sono tutti profondamente anticristiani), non è in grado di comprendere quella altrui e non sa distinguerne i momenti umanisti dalle degenerazioni fondamentaliste e intolleranti. La democrazia così intesa si presenta quindi come il non-luogo dell'edonismo amorale, dove tutto è lecito perché nulla ha senso.
Soprattutto i maschi provenienti da esperienze estreme recepiscono tale devastante messaggio. E l'apparente libertà di cui qui gode la donna, da essi disprezzata, viene facilmente interpretata come spudoratezza perché, l'abbiamo visto, nemmeno il neoliberismo le riconosce una vera dignità. La "libertà" femminile nelle nostre contrade è strumentale al consumo e non intacca quindi i pregiudizi profondi. Non combatte, in particolare, il maschilismo, causa prima d'ogni violenza. Come acutamente annota Wael Farouq, "esclude la persona a vantaggio della forma".
Sorvoliamo poi, per amor di patria o meglio di matria, sulle vetero-laiciste secondo cui la causa d'ogni sfascio è sempre e solo delle religioni e l'ateismo militante la necessaria palingenesi; teoria, questa, ampiamente smentita dai fatti ancor prima che dalla storia (gli uomini dei paesi ex-comunisti non brillano per galanteria).
NON SOLO ABID JEE. Chi accusa gl'immigrati di particolare efferatezza mente sapendo di mentire. È stato forse meno truculento il femminicidio perpetrato da Vincenzo Paduano, l'assassino non pentito (non si pente nessuno) di Sara Di Pietrantonio? O quello di Raimondo Caputo, aguzzino della piccola Fortuna? O di Saverio Nolfo, che trucidò la moglie Marianna malgrado quest'ultima l'avesse denunciato (invano) ben 12 volte? O di Francesco Mezzega, cui sono stati subito concessi i domiciliari? O dello stupratore pedofilo e incestuoso di Manfredonia? E ci limitiamo agli ultimissimi casi poiché, da inizio anno, sono morte o brutalizzate da maschi italiani più di cinquanta donne; la narrazione dei mass-media, sempre indulgenti coi criminali, le ha poi uccise due volte.
Non risulta che la politica se ne sia preoccupata. La destra, che adesso riesuma una pubblicistica da Ventennio e invoca stermini, vendette sommarie e deportazioni ad Auschwitz, è la stessa che un paio di mesi fa ha bloccato il ddl sugli aiuti agli orfani di femminicidio, sdoganato le Olgettine e incitato a sua volta a violare le parlamentari avversarie. Ciò che le importa davvero non sono le vittime, ma la legge della tribù (gli "stranieri" non devono permettersi di toccare le "nostre" donne: sono nostra esclusiva proprietà). Quanto ai Cinque Stelle... risultato non pervenuto. Evidentemente, hanno altre priorità.
Raffrontare il numero di delitti commessi da extracomunitari con quelli italiani è dunque un'operazione, se non peregrina, certo insoddisfacente. Non per giustificare i primi a scapito dei secondi. Al contrario. Non si tratta di giustificare, si tratta di giustizia. Si tratta di capire che, fin quando il patriarcato non verrà sconfitto a ogni latitudine, episodi come quelli di Rimini sono destinati ad aumentare.
QUALE PROGRESSO? Una democrazia vera non può tollerare al suo interno il proliferare di idee antidemocratiche. Fra i suoi capisaldi c'è l'uguaglianza tra i sessi; chi non la rispetta perde il diritto di cittadinanza e va perseguito con la massima severità.
Ma è un principio che deve valere per tutti. E lo si instilla con l'educazione sistematica, ontologica, fattiva, con gli esempi concreti, dai primi anni alla vecchiaia. Perché, per un Abid Jee che si è esposto, ci sono dieci Mario Rossi che sotto sotto, ma non sempre, ne condividono l'impostazione mentale. Perché troppe volte i tribunali italiani hanno scarcerato gli stalker, condonato gli uccisori, stabilito che i jeans sono un alibi per lo stupro. Perché nelle scuole italiane il genio femminile non trova accoglienza. Perché le religioni devono essere purificate dalle incrostazioni patriarcali. Perché la stessa laicità viene vanificata se sconfina nel laicismo, dove qualsiasi persona - e, quindi, ogni donna - è ridotta a oggetto. Perché proprio le donne possono e devono essere il terreno d'incontro di tradizioni diverse. Perché dove le donne stanno meglio, non sono gli uomini a perdere, ma l'umanità a progredire.
© Daniela Tuscano
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