IL DOVERE di © Daniela Tuscano


Una notte parigina e nulla di romantico. Sei giunto tu, privo di storia. Hai ucciso un poliziotto (disarmato), violato l'intimità della sua casa, trovato sua moglie, anch'essa poliziotta, anch'essa disarmata. Tutori dell'ordine che non custodivano arsenali.Ovviamente l'hai sgozzata. Era una donna, e francese. Più che sufficiente e poco conta fossi francese pure tu. Tu non sentivi d'appartenere a nulla e a nessuno, se non a un dio sanguinario con cui t'eri illuso di dare un senso - uno sciagurato senso - alla tua vana esistenza.
 L'hai ammazzata freddamente, sventatamente, urlando, forse. Poi è seguito il silenzio. Di fronte a te c'era il figlio di quella donna, di quella coppia. Un bimbo di tre anni, l'età in cui si esce dal giardino di Eden, l'età in cui tutto si conosce. Ma tu non eri il Tentatore. No, non illuderti. Non meriti neppure la patente di diavolo. Terrorista? Non scherziamo. Tu eri e rimarrai, nella fissità eterna, un miserrimo ladruncolo.
Hai rubato la vita a quei genitori e la voce a quel figlio. 
L'hai spento senza preavviso. E sempre con l'ossessione del tre. Sì, perché hai trascorso con lui tre interminabili ore, prima che la polizia irrompesse nell'appartamento e ti finisse. Tu, il macellaio di sua madre. Gli sei rimasto accanto, ne hai avvertito il palpito tiepido, forse un vacuo odore di nido.
Non sapevi che fare di lui, hai confessato nell'ultima telefonata all'aguzzino capo. In realtà, non sapevi far nulla da te. Avevi sempre bisogno di ordini. Non sapevi che fare della tua vita, e per quello ti trovavi lì, e lì rimanevi, sul palco del tuo massacro, rifinito e stupido. Di quell'abominio eri responsabile, non tuttavia attore. Già il cielo te l'eri giocato ai dadi, anni fa. Nei furtaccioli brutali, nell'untuosità dei fast food, nel culto imbelle d'una violenza mascherata da religione, tu che della religione te n'eri sempre infischiato.
Di te non rimarrà nulla. Ma le macerie disseminate dal tuo folle gesto, quelle sì, peseranno grevi nell'anima. Quanto occorrerà, ancora, a quel bimbo per volare. Chi restituirà, ora, voce al suo silenzio. Ci sentiamo, d'un tratto, minimi, di fronte alla vastità di quel silenzio. Perché i bambini non tacciono mai invano. E sono gli unici a comprendere l'eternità.
Il bimbo che hai strappato così atrocemente alla famiglia, cui hai fatto assistere al rituale nero della morte della madre, ora appartiene a tutti noi. Ha vissuto la violenza perfetta, è stato fianco a fianco a essa nel deserto di tre spaventose ore. Forse gli basterà, e gli deve bastare, e scongiuriamo gli basti, l'imperfezione del nostro amore, la vicinanza d'un sorriso semplice ma continuo.
All'amore la perfezione non serve. La sincerità può spezzare la più limpida e spietata ferocia. In questo sta la sua forza.
Ma richiede d'esser cullata, nutrita da un'instancabile presenza. La dobbiamo, oggi, a quel bambino muto. Altrimenti finiremo, assieme a te, con la macina al collo, gettati nel profondo del mare.

© Daniela Tuscano

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