12.6.16

misteri e sprechi .tour suoi luoghi dell'altra storia della repubblica italiana III puntata disastro del Vajont ed Alluvione del 1966 in particolare quella di firenze


prima puntata piazzale loreto
seconda  puntata la strage  di portella delle  ginestre  e  il  delitto di Capocotta

« Oggi tuttavia non si può soltanto piangere, è tempo di imparare qualcosa »
(10 ottobre 1963, all'indomani del disastro del Vajont, denunciato preventivamente da Tina   Merlin 1926-1991  vedere   url soto   )


Archiviamo momentaneamnte , sarà ripreso bele puntate  successive  ,   ed  affrontiamo la prima delle  due   sugli sprechi  della  nostra repubblica  . Oggi parleremo del disastro del Vajont  e  del'alluvione di firenze (  di cui a  novembre  csi celebreranno  i 50 anni  ) . Fatti  ancora  vivi  (   chi sa  fino a  quando )  nella nostra memoria  con canzoni  , film  ,  ed  opere testrali , libri  ,ecc 
La domanda è d’uopo. Cosa c’entrano le  tragedie come quella   del Vajont  e  dell'alluvione  di firenze   ed ( prossima puntata )   il  terromoto in Irpina   in un una serie  di post  dedicati  allla contro storia  dell'italia repubblicana ?
La risposta è semplice: la decisione di edificare grandi opere, la cui finalità e quella di ammodernare  \  svecchiare   un Paese, non è mai un fatto neutro. Essa dipende dal rapporto tra costo e benefici. Se una grande opera è scarsamente utile, se non inutile, e oltretutto richiede grossi investimenti allora deve scattare un campanello d’allarme. Se poi, nonostante il rapporto costo/benefici sia negativo, si intravede una forte ostinazione a volerla costruire, allora quella grande opera, come minimo, nasconde interessi innominabili: speculazioni, ruberie, tangenti. Insomma  malaffare  che incurante  di  ciò  porta   a disastri ambientali  e  a tragedie  , se  non  addirittura  ad incremento d'esse  (  vedi il tre casi  citati )
Una grande opera, infatti, non è buona o cattiva in sé, ma va sempre rapportata alla sua effettiva necessità e soprattutto alla sua reale utilità o produttività.
Solo per fare un esempio paradossale: nessuno penserebbe di costruire un costosissimo mega cannone per disinfestare una zona lacustre dalle zanzare, ma se qualcuno insistesse per farlo allora è evidente che oltre che un cattivo progettista, quel qualcuno nasconderebbe pericolosi interessi.7 Infatti concordo  con quanto dice  la sezione   Grandi  opere  del sito   http://www.misteriditalia.it << (...)
Questa sezione di Misteri d’Italia intende dimostrare che, come è già accaduto in passato (lampante l’esempio dell’alta velocità ferroviaria Roma – Napoli), molti dei progetti relativi alla costruzione di grandi opere (alta velocità Torino-Lione, Ponte sullo stretto, Mose di Venezia in primo luogo) sono non solo inutili, ma anche dannosi. La loro progettazione è spesso legata solo a mera propaganda politica, la loro realizzazione a mega affari sporchi, smascherabili in toto, purtroppo, quando sarà troppo tardi ed immense risorse saranno state depredate.
Prima di credere, quindi, all’alibi dell’ammodernamento del Paese, è meglio documentarsi su quanto è già accaduto >> per evitare   se  è possibile che  davanti  a  tragedie   naturali  come nel caso  dei terremoti si ripetano  e  roori e cattiva  gestione per  non andare troppo indietro nel tempo   si veda il sisma  dell'Abruzzo e dell'Emilia  Romagna  .



  tratto da http://www.misteriditalia.it/cn/?page_id=4623 con ulteriori  url  d'approfondimento    e  da  https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont


Vajont 9 Ottobre 1963, ore 22,39: una enorme frana, una massa rocciosa pari a circa 270 milioni di metri cubi, composta da rocce e detriti, comincia a scivolare lungo il versante settentrionale del longarone-disastromonte Toc, su un fronte di 1.800 metri.
Un enorme boato risuona nella valle sottostante. In pochi istanti la gigantesca frana precipita nel lago artificiale, formato da una diga, nella vallata del Vajont, tra le province di Belluno (Veneto) e Udine (Friuli), sollevando una massa d’acqua di circa 40 milioni di metri cubi, alta oltre 100 metri, contenente massi del peso di diverse tonnellate.

Longarone prima e dopo il disastro del Vajont
. da  https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont

La frana, precipitando, sviluppa un’energia pari a 172 milioni di Kwh e la massa d’acqua genera uno spostamento d’aria due volte superiore a quello provocato dalla bomba atomica lanciata su Hiroshima alla fine della seconda guerra mondiale.
La massa d’acqua si divide in due ondate. Mentre la prima spazza via le frazioni più basse che sorgono sulle rive del lago artificiale, la seconda – decisamente più violenta – si infrange sulla diga alta 265 metri – che resiste all’urto – ed in buona parte la scavalca, riversandosi con furia inaudita sulla sottostante valle del Piave. La stretta gola del Vajont la comprime ulteriormente e le permette di acquistare un’incredibile energia distruttiva. Un’onda alta più di 70 metri si abbatte sulla valle. Una biblica inondazione travolge il comune di Longarone e le frazioni vicine i cui abitanti percepiscono il mortale pericolo, ma non hanno neppure il tempo di fuggire.
Longarone viene totalmente rasa al suolo.
I morti sono 1.917: 1450 a Longarone, 109 a Castelvazzo, 158 a Erto e Casso, oltre a 200 tecnici ed operai della diga, con le loro famiglie. I feriti sono pochissimi.
Mera fatalità, disastro naturale oppure una tragedia prevedibile e prevista e che poteva essere evitata?
Studi approfonditi e diverse sentenze processuali hanno dimostrato che la tragedia del Vajont poteva essere evitata. Ma che diverse sottovalutazioni tecniche, la logica del profitto applicata ad ogni costo ed il cinismo dei dirigenti della SADE, la società elettrica che la ideò, la progettò e la costruì furono alla base di un disastro di enormi proporzioni che poteva non accadere.
Alle fondamenta della tragedia una semplice constatazione: la zona scelta per la costruzione della diga del Vajont era una zona franosa da secoli e da tre anni il versante montuoso che sovrastava il bacino idroelettrico, ancora in fase di collaudo, aveva cominciato a muoversi.

La tragedia oltre a  quello che avete letto nlle righe precedenti   e  nei sito sotto  fu molto scomoda e  dura  da  ricordare   come dimostra il video sotto riportato   ( specie  il dopo ) se  la giornalista  Tina  merlin   che  con  i suoi articoli   pre  tragedia    in cui  contestava  la  costruzione  della   diga ,  tentò di pubblicare un libro sulla vicenda, Sulla Pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont,  che tuttavia trovò un editore solo nel 1983.


La frana, precipitando, sviluppa un’energia pari a 172 milioni di Kwh e la massa d’acqua genera uno spostamento d’aria due volte superiore a quello provocato dalla bomba atomica lanciata su Hiroshima alla fine della seconda guerra mondiale.
La massa d’acqua si divide in due ondate. Mentre la prima spazza via le frazioni più basse che sorgono sulle rive del lago artificiale, la seconda – decisamente più violenta – si infrange sulla diga alta 265 metri – che resiste all’urto – ed in buona parte la scavalca, riversandosi con furia inaudita sulla sottostante valle del Piave. La stretta gola del Vajont la comprime ulteriormente e le permette di acquistare un’incredibile energia distruttiva. Un’onda alta più di 70 metri si abbatte sulla valle. Una biblica inondazione travolge il comune di Longarone e le frazioni vicine i cui abitanti percepiscono il mortale pericolo, ma non hanno neppure il tempo di fuggire.
Longarone viene totalmente rasa al suolo.
I morti sono 1.917: 1450 a Longarone, 109 a Castelvazzo, 158 a Erto e Casso, oltre a 200 tecnici ed operai della diga, con le loro famiglie. I feriti sono pochissimi.
Mera fatalità, disastro naturale oppure una tragedia prevedibile e prevista e che poteva essere evitata?
Studi approfonditi e diverse sentenze processuali hanno dimostrato che la tragedia del Vajont poteva essere evitata. Ma che diverse sottovalutazioni tecniche, la logica del profitto applicata ad ogni costo ed il cinismo dei dirigenti della SADE, la società elettrica che la ideò, la progettò e la costruì furono alla base di un disastro di enormi proporzioni che poteva non accadere.
Alle fondamenta della tragedia una semplice constatazione: la zona scelta per la costruzione della diga del Vajont era una zona franosa da secoli e da tre anni il versante montuoso che sovrastava il bacino idroelettrico, ancora in fase di collaudo, aveva cominciato a muoversi.

La tragedia oltre a  quello che avete letto nlle righe precedenti   e  nei sito sotto  fu molto scomoda ( specie  il dopo ) se  la giornalista  Tina  merlin   che  con  i suoi articoli   pre  tragedia    in cui  contestava  la  costruzione  della   diga ,  tentò di pubblicare un libro sulla vicenda, Sulla Pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont,  che tuttavia trovò un editore solo nel 1983.  Quindi è  una ferita  ancora  aperta  come   si vede  da  questo video    qua  sotto
  


L'alluvione  di Firenze   3-5  novembre  1966  
Oltre  alle  due  foto    meno note   rispetto a quelle classiche   che  si vedono   ( e  si vedranno  visto che quest'anno   si celebra  il  50 anni  )  in tutti i documentari di storia  e   giornali   , essa  ha   avuto un notevole    evento e ricordo mediatico   tanto da  far passare  in secondo  piano   i danni  imponenti   che  il maltempo  (  le bombe d'acqua    come le  chiameremo oggi )   ha  arrecato in ma in gran parte della Toscana e, più in generale, in tutto il paese.
Altezza di una delle targhe che ricordano il livello raggiunto
dall'acqua nel '66 in via Isola delle Stinche
La targa che ricorda la scomparsa di Elide Benedetti, via San Giuseppe

Infatti alluvione non colpì solo il centro storico di Firenze ma l'intero Bacino idrografico dell'Arno, sia a monte sia a valle della città. Sommersi dalle acque furono anche diversi quartieri periferici della città come Rovezzano, Brozzi, Peretola, Quaracchi, svariati centri del Casentino e del Valdarno in Provincia di Arezzo, del Mugello (dove straripò anche il fiume Sieve), alcuni comuni periferici come Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, Lastra a Signa e Signa (dove strariparono i fiumi Bisenzio ed Ombrone Pistoiese e praticamente tutti i torrenti e fossi minori) e varie cittadine a valle di Firenze, come Empoli e Pontedera. Dopo il disastro, le campagne rimasero allagate per giorni, e molti comuni minori risultarono isolati e danneggiati gravemente. Nelle stesse ore, sempre in Toscana, una devastante alluvione causò lo straripamento del fiume Ombrone, colpendo gran parte della piana della Maremma e sommergendo completamente la città di Grosseto.
Nel frattempo, altre zone d'Italia vennero devastate dall'ondata di maltempo: molti fiumi del Veneto, come il Piave, il Brenta e il Livenza, strariparono, e ampie zone del Polesine furono allagate; in Friuli lo straripamento del Tagliamento coinvolse ampie zone e comuni del suo basso corso, come Latisana; in Trentino la città di Trento fu investita pesantemente dallo straripamento dell'Adige.
Fa parte di una serie di straripamenti del fiume Arno che hanno mutato, nel corso dei secoli, il volto della città di Firenze.
Avvenuta nelle prime ore di venerdì 4 novembre 1966 a seguito di un'eccezionale ondata di maltempo, fu uno dei più gravi eventi alluvionali accaduti in Italia, e causò forti danni non solo a Firenze ma in gran parte della Toscana e, più in generale, in tutto il paese.
.  (  continua  qui  su wikipedia   )

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