DIARIO DI BORDO N°30 ANN0 II (SPECIALE) Notizie, non-notizie e shitstorm il caso Giovanna Pedretti vhs selvaggia lucarelli e i media

Prima lanciava 💩🤬☠👿 su ferragnez , poi vedendo che è come sparare sulla croce rossa si defilata . Ma Poi è uscita la notizia della pizzaiola morta suicida in provincia di Lodi dopo che un suo post social (vero? Falso?) era diventato virale ed era stato fatto oggetto di verifiche . Si chiamava Giovanna Pedretti.  Prima  di mettere     in rete ( ma non solo  )      e  prima  di   fare  debbunking   bisogna  chiedersi     cosa distingue il vero dal falso? Cosa separa un blogger da un bullo, uno chef da un opinionista, una gattara da una giudice dell’universo mondo? Meglio restare ai fatti. E i fatti dicono che una povera donna è morta. Ha ragione ( anche se in parte in quanto   si   sminuisce  le responsabilità  della famosa  blogger  essendo     giornalista  del loro  giornale    )     : << [...] Stare sui social è diventato un mestiere usurante e pericoloso, talvolta mortale. Chi li usa senza precauzioni non è attrezzato a sopportarne le conseguenze e non capisce che il web è come un sifone a U: se ci fai i tuoi bisogni, questi ti ritornano in faccia. E non di rado accade lo stesso anche con gli escrementi altrui.I personaggi pubblici sono sempre sotto i riflettori e, volenti o nolenti, ci fanno il callo. Ma le persone comuni spesso non reggono all’esposizione, soprattutto quando passano in mezzo minuto dagli altari alla polvere, da famosi a famigerati. [...] >> l'editoriale marco travaglio sul FQ del 16\1\2024 .
                 Giovanna Pedretti, striscione contro i media: “Siamo esasperati”  da   
https://www.thesocialpost.it/2024/01/16/giovanna-pedretti-striscione-contro-i-media-siamo-esasperati/


Infatti  come   dice   Giulia  Blasi nella  sua  ultima NW  : <<  Questa settimana cominciamo a parlare di un argomento di cui dovremmo parlare di più, e non solo quando succede qualcosa di terribile.>>
Dei suicidi (lo spiegava bene Tiziana Metitieri in un articolo uscito su Valigia Blu nel 2020) bisogna parlare il meno possibile e nel modo più attento possibile, per tanti motivi. Il primo, e forse più importante, è che non sappiamo mai davvero perché qualcuno sceglie di uccidersi. Anche chi lascia un biglietto con le motivazioni del gesto sta in realtà descrivendo un trigger, una causa scatenante, non le ragioni vere e profonde per cui ha deciso di farla finita. Cosa passa nella testa di chi si toglie la vita, nessuno lo sa e nessuno lo saprà mai: dovremmo astenerci dalle speculazioni, o peggio ancora, dal colpevolizzare singoli individui. Anche quando il collegamento ci sembra evidente.


Se ne parlo oggi, dedicando un numero speciale  della mia  riubrica  diario di bordo  , quindi, non è per fornire la mia opinione sull’esito del caso specifico, ma perché il caso specifico ci obbliga a riflettere sui meccanismi che regolano la comunicazione e, in ultima istanza, i rapporti umani.  << Ogni contenuto,---- come   giustamete  fa notare   Giulia  Blasi   ---- anche il più trascurabile, ha una funzione o un messaggio. In un mercato editoriale basato su un modello di business fragile come quello pubblicitario, i contenuti pubblicati sulle testate sono pensati per rispondere a un bisogno umano, molto spesso di tipo psicologico. In questo caso, il bisogno a cui si risponde è quello di sentire che il mondo non è perduto, che “c’è ancora speranza”, e che anche in un paese in mano alle destre radicali ci sono persone che mettono l’inclusione al primo posto. Li chiameremo “contenuti feelgood¹, perché sono pensati per far stare bene le persone, che li fanno girare perché li trovano educativi ed esemplificativi di modelli di comportamento virtuosi. Sono la versione intellettuale e progressista dei video di animalini buffi. il contenuto feelgood potrebbe anche solo restare tale. Nessuno va a controllare se sia vero o meno, e in un paio di giorni sparisce [... ] 
¹ Il contrario del contenuto feelgood è il contenuto fomenta-rabbia: non ci entrerò qui, ma anche questo dà una risposta a una necessità psicologica, vale a dire quella di trovare colpevoli, capri espiatori e punti di sfogo per una rabbia che altrimenti rischia di incanalarsi in direzioni indesiderate, e che può invece essere sfruttata per ottenere engagement, aumentare il pubblico e i clic da rivendere poi agli inserzionisti. La tecnica del rage farming è stata ed è tuttora alla base del successo di Donald Trump e di gran parte delle destre internazionali, e si basa sullo stimolo continuo del pregiudizio di conferma: gli immigrati rubano e uccidono, la sinistra minaccia la tua libertà, le persone LGBTQ distruggeranno la famiglia, le donne trans sono stupratori travestiti, le femministe sono pazze violente, e via dicendo.

>> 

Certo,e  qui   spezzo  una   lancia  a  fare  della  Lucarelli    e del compagno le testate ufficiali \ maistream i giornali d'opposizione , i siti , i blog , i blog ( ed anche noi e qui mi riferisco anche a me stesso ) dovrebbero verificare l’autenticità di quello che pubblicano, anche quando non si tratta di una notizia . Qui la verifica è stata fatta dopo, da altri soggetti: quindi un contenuto feelgood che già non era una notizia è diventato una notizia (o meglio, si è trasformato in un altro contenuto) quando qualcuno ha sospettato che fosse basato su un contenuto originale non autentico.A cosa risponde questa seconda notizia, o contenuto, di stampo semi-investigativo? A un’altra esigenza, cioè quella di trovare sempre l’inghippo, sentirsi intelligenti e capaci di sgamare le truffe. Chi riprende il contenuto di debunking, per così dire, ce anche chi lo fa per dire: madonna quanto siete boccaloni, ci cascate sempre, vi si frega proprio con poco. Anche qua c’è della soddisfazione, eh: non dello stesso tipo, anzi, di segno opposto, ma c’è. E dove c’è la soddisfazione (quindi: la risposta a un bisogno), c’è anche la viralità.In sintesi: non solo la notizia era una non-notizia, ma pure la notizia che smontava la non-notizia era una non-notizia. Non valeva la pena di fare debunking di questa storia, e tantomeno di farlo con insistenza, come se si stesse investigando un segreto di Stato o abuso del potere . Ha ragione chi dice che se si mettesse la stessa energia nella verifica di notizie importanti saremmo un paese bellissimo e forse avremmo sconfitto la corruzione, la propaganda e le fandonie della gente di potere. Ammesso (e non concesso) che la pizzeria avesse fabbricato un commento da dare in pasto a una stampa alla continua ricerca di contenuti feelgood, quale sarebbe stato il vantaggio? Ballavano milioni? Prebende? Cariche pubbliche? No: lo scenario più ottimistico era che la pizzeria guadagnasse qualche cliente. L’energia impiegata nello scoperchiare la scomoda verità del commento fasullo sembra, ora, particolarmente mal spesa.
E qui entrano i social
Mi è capitato due o tre di volte di finire dentro una shitstorm ( chi mi segue dal mio esordio social lo sa ) generalmente di lieve entità. Di solito risolvo chiudendo tutto per 24 ore, il tempo fisiologico perché la gente si dimentichi perché si era incazzata o ti fa arrabbiare con i metodi di contenimento . Altre mie conoscenti e amiche non sono state così fortunate, e se uso il femminile è perché le donne sono molto più di frequente al centro di queste sassaiole verbali.
Photo by Nsey Benajah on Unsplash
A volte sono azioni casuali, a volte calcolate e sostenute nel tempo: c’è gente che campa, letteralmente, scegliendosi dei bersagli e dandoli in pasto ai cani. E non sono mica solo influencer o content creator: ci sono partiti politici la cui comunicazione è basata in buona parte sulla scelta di capri espiatori contro cui fomentare la sua base. Esemio La Lega ed lasjua base ha usato ( e spesso continua tuttora  )La Boldrini Michela Murgia come bersaglio per anni, anche quando era già ammalata (e la sua malattia, pur non essendo stata resa pubblica, era già intuibile dai contenuti che pubblicava sui social): la raffica incessante di insulti al suo indirizzo finì per causarle un disturbo dell’umore piuttosto grave, al punto che parlare in pubblico era diventato complesso e quasi inaffrontabile. Lei ne parlò in un articolo per Il Post che vale la pena di rileggere, perché ci dice praticamente tutto quello che dobbiamo sapere sulle conseguenze di un attacco di massa. Michela ora è morta,pace all'anima sua , e c’è ancora in giro gente che la odiava al punto di gioire per la sua morte. Per noi che la conoscevamo è un dolore incrociare questi commenti, e ci fa venire voglia di menare le mani (o almeno, a me lo fa venire). Poi passa, perché non ne vale la pena, e perché se per te la gioia è la morte di una persona che non conoscevi fai una bella vita di merda anche senza che io ti prenda a pizze in faccia. Ma dubito che ‘sti poracci avrebbero il coraggio di ripetere la stessa cosa davanti a uno qualsiasi di noi: i social - e non è una novità - ti danno la sensazione di poter dire e fare qualsiasi cosa con impunità.Altre persone che conosco e che sono state bersaglio di shitstorm massicce e continuate hanno sofferto di depressione ( come è capitato al mio esordio sui social ) e hanno dovuto smettere di utilizzare i social media (che erano un canale importante per la comunicazione e promozione del loro lavoro) o hanno dovuto ridurre moltissimo la loro presenza. Chi fa attivismo, prima o poi, se lo può aspettare: a volte l’attacco arriva da fuori, a volte è fuoco amico. La pratica del call-out, che nell’attivismo dovrebbe avere lo scopo di stimolare il dibattito all’interno di una comunità per mezzo della critica pubblica, finisce per essere strumentalizzata per vendette personali e usata senza criterio, spesso senza verificare se le accuse che si muovono alle persone siano fondate. Quando si scopre che era tutto una cazzata, è troppo tardi. La merda è dentro il ventilatore e spruzza dappertutto.
Le shitstorm fanno paura. L’accumularsi di messaggi intrisi d’odio e disprezzo generano malessere e sofferenza, e non portano alcun vantaggio o progresso nel dibattito pubblico. Chi le scatena sa benissimo che conseguenze possono avere, e no, non esistono bersagli giustificati. Giorgia Meloni o Matteo Salvini non diventano persone migliori perché vengono insultati da CosoCosetti1926 sui social, però CosoCosetti1926 si sente meglio perché ha insultato Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Le shitstorm servono solo a chi le fa, non a chi le subisce. Meloni e Salvini, tra l’altro, sono bravissimi a fare i martiri e a raccontare anche le critiche più pacate come feroci attacchi. Però Meloni e Salvini non si gestiscono i social da soli, e i commenti di merda di CosoCosetti1926 li leggono i loro social media manager.La maggior parte della gente sopravvive alle shitstorm, ma sopravvivere non è vivere. Anche chi ci sembra molto forte e strutturato ha delle fragilità di cui non siamo a conoscenza. Basta poco, basta un attimo, e la struttura viene giù. Ne valeva la pena? C’è chi pensa di sì, c’è chi pensa che la sofferenza di chi non gli piace sia giusta. Non mi interessa psicanalizzare la gente a distanza: a volte una merda è solo una merda, e la psicanalisi si paga.
Mi rendo conto di essere stato logorroico ed ancora non ho finito avrei altro da dire . Ma  per rispetto  dei familiari    della  vittima   ho già  detto abbastanza  . Facciamo così: ci prendiamo una pausa, e riprendiamo in seguito. Perché questa cosa che è successa forse non ha a che vedere direttamente con noi come individui, ma ci obbliga a fermarci a pensare a cosa postiamo, a come comunichiamo, agli effetti che quello che scriviamo nei campi di testo dei social può avere sulle persone. Anche quelle che ci stanno sul ..... l’anima.

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