Parla il professore-ideologo condannato per il complotto separatista .«Meglio non allearsi coi partiti italiani, il voto rischia comunque di essere inutile» .«Una rivoluzione culturale per ’indipendentismo»
Un sogno intatto Una Sardegna sovrana è possibile anche ai tempi della globalizzazione
di Pier Giorgio Pinna
SASSARI «Il mio sogno resta intatto: l’indipendenza dell’isola è ancora possibile, non è un’utopia». A 79
anni Bainzu Piliu conserva la grinta di un ragazzo. Non l’hanno piegato né le condanne né il carcere né le amarezze della vita. «Ma non credo nel voto, meno che mai per le regionali, e ai movimenti dico: indipendentisti, non pensate alle urne, ma alla rivoluzione culturale», incalza il professore-ideologo. E per lui il tempo sembra non passare. Occhi vivacissimi, fisico asciutto, neppure una ruga, dimostra 20 anni di meno e non è mai stanco di nuove esperienze. Come la recente laurea in psicologia e la stesura di un’autobiografia. Perché ritiene che il voto sia inutile per gli indipendentisti sardi?
«Temo che gli eletti si facciano blandire, condizionare. Che alla fine possano corrompersi. E ho paura che l’idea di fondo si sbricioli nelle ambizioni individuali o di gruppo». Quale appello si sente di lanciare, allora? «Direi, state attenti: così rischiate di amplificare le divisioni. Alla Sardegna Nuova occorre piuttosto un’azione di penetrazione nella coscienza del nostro popolo». Invece, mai come in quest’occasione si sono presentate tante sigle indipendentiste. «Non do giudizi. Ma io non mi sarei schierato né a sinistra né a destra. Allearsi con i partiti italiani significa che queste forze cercheranno, più che di combatterci, di lusingarci con proposte economiche». Come mai questa convizione? «Mi riallaccio al passato. Non sempre chi si dichiara sardista lo è sino in fondo: in ogni caso resto scettico sull’utilità di queste intese per la nostra causa». Eppure ci sono anche movimenti che non si sono schierati da una parte o dall’altra. «È vero. Per esempio Progres, che si presenta in lizza con Sardegna Possibile di Michela Murgia. Ma nel caso dei suoi candidati quel che so l’ho appreso dai giornali. Posso quindi riferire soltanto un’impressione». Quale? «Sono contento ne facciano parte persone che hanno studiato e girato il mondo. Che insomma non siano degli sprovveduti». Che cosa pensa del Fronte Unidu? «So che “unito” in sardo di solito si dice “aunidu”. Ma può darsi che in qualche parte dell’isola esista quest’accezione e che sia io a sbagliarmi. Al di là delle disquisizioni lessicali, comunque, per aver seguìto alcuni loro incontri, mi paiono persone oneste, animate da ideali sinceri». Ma più in generale qual è il suo pensiero sull’area politica che nell’isola le sta più a cuore?
«Parlare d’indipendentismo oggi sta diventando quasi di moda. È il segno che non si corrono più molti rischi. Se si esclude l’inchiesta giudiziaria su “A manca pro s’indipendentzia”, mi sembra che lo Stato si limiti a osservare, senza più intervenire. Ma certamente posso sbagliarmi». E quindi qual è la sua valutazione? «Vedo polloni nati in perfetta buona fede, ma un indipendentismo ancora agli albori. Le vere domande che ci potremmo porre sono altre. Perché lo Stato italiano ci dovrebbe concedere l’indipendenza? E oggi ha intenzione di farlo più di ieri?» Lei che ne pensa? «Dico che una situazione del genere si verificherebbe solo se la Sardegna costasse troppo allo Stato, e non è questa la condizione attuale. E poi penso che la nostra isola sia ancora di grande utilità per la Nato e per gli Stati Uniti: quindi, anche se volesse, l’Italia non sarebbe in grado di garantire l’indipendenza alla Sardegna». Tutto è perduto per la vostra causa, allora? «Neanche per sogno. Bisogna essere cauti e intelligenti, certo, ma determinati. Io non ho cambiato idea. Il mio pensiero resta identico a quello che avevo nel momento in cui sono stato arrestato. Oggi si può fare quel che io facevo ieri: aiutare l’Italia a commettere errori e nel frattempo fare opera di convincimento sulla popolazione». Crede che misure come la zona franca o il riconoscimento di altri vantaggi fiscali possano contribuire al benessere dell’isola? «No. Sono semplicemente strumenti che servono a snervare il movimento. E non sono io l’utopista: la vera utopia a suo tempo è stata quella di dar vita all’Unità d’Italia». Che cosa ribatte a chi le rimprovera di essere anacronistico, a chi le contesta una mancata aderenza rispetto alla realtà storica contemporanea? «Rispondo con una domanda: nel secondo dopoguerra chi avrebbe mai pensato che gli ebrei riuscissero a ottenere un proprio Stato?». Ma non pensa che la politica finanziaria internazionale e i mercati globalizzati oggi esercitino più potere degli Stati? «Com’è naturale, vedo il cambiamento. Ma il processo non è lineare come appare. In realtà, a Est come a Ovest, gli Stati vogliono ancora tenersi strette le loro prerogative. Lo dimostra il fatto che nessuno in Europa pensa a cedere neppure un millimetro dei suoi apparati per la Difesa a favore di un unico potere centrale Ue». Come mai ha scelto, dopo la laurea in farmacia, di studiare psicologia? «Una delle principali ragioni è di carattere politico: capire
meglio il nostro popolo». Che cosa ha ricavato da queste nuove esperienze? «Ne ho dedotto che tutti i sardi, anche quelli che mascherano i loro sentimenti, hanno un fortissimo desiderio di esercitare il proprio potere sulla loro terra». E poi? «Beh, un altro aspetto di rilievo è l’importanza del dialogo: chiunque, se ti confronti davvero con lui, potrà illuminarti». Che idea si è fatta delle forze in campo alle regionali? «Ritengo che vincerà il centrosinistra». Per quale motivo? «In questi anni il centrodestra ha fatto troppi errori. Presto ne pagherà le conseguenze in termini elettorali». A che cosa si riferisce? «Al Piano paesaggistico proposto da Cappellacci, per esempio. Io ho sempre pensato che andasse bene quello di Soru. Quando il territorio della Sardegna viene consumato e distrutto, che cosa resta? Più in generale sono convinto che il centrodestra non abbia operato abbastanza per salvaguardare l’interesse generale». Lei ha ultimato in questi giorni l’autobiografia: c’è qualche retroscena inedito sui processi a suo carico? «Viene svelato un enigma sul nostro ipotetico mandante, una sorta di Grande vecchio. Preferisco però non fare anticipazioni: meglio lasciare un po’ di mistero». Nel raccontare la sua storia fa valutazioni analitiche su tutta la vicenda? «Una la posso fare anche adesso. In origine eravamo 30 accusati. Siamo stati processati in 27. Alla fine però siamo stati condannati in pochi, e non alle dure pene che imputazioni tanto pesanti avrebbero richiesto secondo l’ordinamento italiano. Come si dice in questi casi: poche prove, poca pena». Come mai questa certezza? «Perché in definitiva l’onore di aver cospirato contro lo Stato italiano ce lo siamo divisi in 4: Salvatore Meloni, io e altri due compagni. È uscito subito di scena persino quell’esponente libico che non si è mai capito quale ruolo avesse avuto». A proposito di Meloni che cosa pensa di Meris, la lista esclusa dalle regionali? «Salvatore si è sempre presentato come un appassionato indipendentista. Oggi preferisco non aggiungere altro». Ma dopo tanto tempo che idea si è fatta sul processo a vostro carico? «La stessa di allora: ritengo che già prima degli arresti siano state esercitate pressioni perché le cose prendessero una certa direzione». C’è qualcosa di cui si pente? «Nulla. Ho commesso un unico errore: essere stato troppo disponibile con gli altri».
per i non sardi e per coloro che non ricordano o hanno dimenticato ecco un sunto su di lui sempre dalla nuova sardegna
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