Shoah Incontro con Beate Klarsfeld «La mia vita a caccia di ex nazisti»


unione sarda del 6\02\2014
Shoah Incontro con Beate Klarsfeld «La mia vita a caccia di ex nazisti»
« Macerto, io sono una casalinga. Sì, ho scritto qualche articolo, ma non sono una giornalista». Beate Klarsfeld   (  foto  a destra  )  sorride. In realtà la sua vita è ben
diversa da quella di una che sfaccenda tutto il giorno dentro casa: da oltre 40 anni dà la caccia agli ex criminali nazisti. Un impegno, morale e civile, talvolta anche fisico, che divide con il marito Serge, figlio di un ebreo morto ad Auschwitz, e poi trasmesso ai figli Lida e Arno, che ora indossa la divisa dell'esercito israeliano.A Cagliari per il convegno su “Shoah, Giustizia e Memoria”, la berlinese Beate, 75 anni tra pochi giorni, racconta una scelta, estesa negli anni ovunque ci siano dittature e diritti soffocati. Un filo di rossetto sulle labbra le illumina il viso e un tailleur pantalone grigio, con appuntata la Legion d'onore francese, avvolge il corpo magro e agile.Signora Klarsfeld, lei e suo marito Serge avete speso oltre 40 anni della vostra vita a cacciare gli ex nazisti. Come è nato questo bisogno di giustizia?
«Questa storia inizia con uno schiaffo, quello che ho dato al Cancelliere Kurt Georg Kiesinger».*
con  il marito  Serge  da  http://it.wikipedia.org/wiki/Serge_Klarsfeld

Come dare un ceffone.Uno schiaffo?
«Nel 1961 ho conosciuto mio marito Serge e due anni dopo ci siamo sposati. È stato lui, ebreo di origini rumene, ad aprirmi gli occhi: suo padre era morto ad Auschwitz. Tre anni dopo, in Germania, diventava Cancelliere Kiesinger, un uomo che era stato una pedina di collegamento tra il ministero della Propaganda di Joseph Goebbels e quello degli Esteri: non gli veniva contestata alcuna responsabilità, né si muovevano critiche sul suo passato. Credo che la mia generazione avesse la responsabilità di non essere in alcun modo complice del silenzio, ma fosse invece necessario ricordare. Per prima cosa, io e Serge abbiamo smascherato il suo passato: la difesa di molti ex nazisti era quella di dire di essere stati all'oscuro, di non sapere dello sterminio degli ebrei. Nel suo caso era difficile sostenerlo, e poi c'erano documenti chiari, forniti dalla Ddr. Il nostro lavoro aveva creato attenzione da parte della stampa, ma nonostante questo, nulla cambiava davvero. Bisogna fare qualcosa di più».
«Sì, un'azione simbolica, qualcosa che smuovesse le coscienze. Prima a Bonn, al Bundestag, ho urlato dalla tribuna nazista, dimettiti . Nel novembre del 1968 a Berlino, durante il congresso della Cdu, gli ho dato quello schiaffo. Fu un gesto eclatante, grazie al quale molti intellettuali come Günter Grass o Henrich Böll ci diedero il loro sostegno. Naturalmente tutto questo ha avuto per me conseguenze giudiziarie, ma poiché ero diventata cittadina francese sono stata processata e condannata da una corte in Francia».
Il suo Paese non riusciva a fare i conti con un difficile passato?
«Sono stati fatti molti passi avanti da quello schiaffo in poi. Ho compiuto un altro gesto simbolico, candidandomi con la Linke per la presidenza della Repubblica contro Joachim Gauck. Non avevo alcuna chance, ed è caduta nel vuoto anche la richiesta fatta dalla Linke di assegnarmi per il lavoro fatto una croce d'onore, onorificenza equivalente alla Legion d'onore».
C'è una letteratura fantastica sulla caccia ai nazisti. Voi li avete scovati sfogliando l'elenco telefonico.
«Erano tutti integrati nella società politica. Sembrava che la giustizia tedesca non volesse processarli. Heinrich Illers, ex capo della Gestapo a Parigi, lo rintracciammo in Bassa Sassonia, presidente di un tribunale specializzato in vittime di guerra. L'ex SS Kurt Lischka si occupava di esportazioni. Ma non era semplice portarli alla sbarra. Quando ci rendevamo conto che la protesta non bastava, passavamo ad azioni plateali: lui tentammo di rapirlo. Alla fine sono stati tutti processati da corti tedesche, e noi abbiamo visto queste persone condannate dai loro figli».
Mai chiudere gli occhi….
«C'erano tanti figli di deportati che non potevano capire perché questi criminali fossero ancora in libertà e loro non avessero ottenuto alcuna giustizia».
In Francia è esploso il caso Dieudonné. Vede segni di razzismo e antisemitismo prendere corpo?
«Non è libertà di pensiero dire che non sono esistite le camere a gas ed essere contro la memoria dell'Olocausto. A Parigi ci sono state molte dimostrazioni di estrema destra e sinistra, in suo favore. Si diceva: è cabaret, umorismo, io vedo un pericolo politico».
Lei ora è presidente onoraria dell'associazione per il Memoriale sardo della Shoah.
«Con la nostra fondazione supportiamo tutti i luoghi legati alla memoria dell'Olocausto. Dal memoriale di Berlino a quello di Wannsee. Serge è il vicepresidente del Memorial della Shoah, a Parigi. Il campo prigionieri di Camp de Milles, in Aix en Provence, è diventato il luogo della memoria, e sono moltissimi i giovani che lo visitano. L'Italia è al secondo posto per numero di studenti che visitano il lager di Auschwitz. I treni carichi di ebrei, diretti a questo lager, partivano proprio da Camp de Milles. L'errore è stato credere che in Francia gli arresti degli ebrei fosse opera dei tedeschi. Non è così. Il caso Papon ha ben messo in evidenza le responsabilità del governo di Vichy. Serge ha raccolto tutte le storie e le foto di bimbi ebrei francesi scomparsi in Francia».
Ci sono dossier ancora aperti?
«Per otto vecchi, ci lavora il centro Wiesental. È l'ultimo soffio».
Caterina Pinna

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