da la nuova sardegna del 10\5\2015
LA STORIA
Cagliari: «Per paura dei tatuaggi non mi hanno dato lavoro».
Tattoo e pregiudizi: il caso della modella “alternative” Alessandra Marinidi Alessandro Marongiu
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La modella cagliaritana Alessandra Marini
Tutto si sarebbe aspettata meno che un giorno i lavori tra cui si divide da oltre un lustro, quello di estetista e quello di fotomodella, sarebbero entrati in conflitto e le avrebbero tolto la possibilità di ottenere un impiego per il quale era una candidata più che referenziata. Il perché è presto detto: Alessandra Marini, venticinque anni, originaria di Pula attualmente di stanza a Cagliari, con il nome d’arte di L’Ale Sailor è una modella “alternative” (ha fatto parte della community “Sickgirl”, ha posato per affermati fotografi di tutta Italia e con i suoi scatti è già apparsa su dei magazine stranieri), e a qualcuno i suoi numerosi tatuaggi, specie quelli sulle mani, non sono andati a genio. Il lavoro in un resort dell’isola come estetista per la stagione estiva, che dopo un colloquio sembrava già esserle stato assegnato, è ormai andato a qualcun’altra: meno tatuata.
«È stato il miglior colloquio che abbia mai fatto. Hanno da subito trovato interessanti le mie precedenti esperienze lavorative, facendomi sentire davvero apprezzata. E mi hanno detto che non mi dovevo preoccupare di nulla: avevano già dei dipendenti tatuati, e in più avrei indossato una divisa; i piercing e i dilatatori nei lobi delle orecchie li avrei semplicemente tolti durante il turno di lavoro. Sono uscita dalla stanza felice e soddisfatta: si trattava a quel punto solo di aspettare una chiamata per la conferma delle date dei corsi di aggiornamento. Fino a quando, due giorni dopo, non ho ricevuto una telefonata in cui mi dicevano che il colloquio non era andato a buon fine: la spiegazione si è rivelata un lungo giro di parole a vuoto, dal quale si intuiva che il problema, contrariamente a quanto mi avevano detto di persona, erano i proprio tatuaggi»
Se prova a mettersi nei panni del datore di lavoro, trova che in nessun modo si possa capire la sua decisione o che gli si possa concedere qualche attenuante?
«Io sono una persona che non fa distinzioni né giudica dalle apparenze. Ogni cliente sceglie l'estetista in base a diversi criteri, ma il principale resta sempre la bravura professionale: di conseguenza, per me è davvero ridicolo, nel 2015, andare ancora incontro a queste situazioni».
Considera quest’episodio come un “incidente di percorso”, o trova che i tatuaggi siano ancora lontani dall’essere completamente accettati?
«Fino a quindici anni fa, chi aveva anche un solo tatuaggio veniva etichettato come un poco di buono; al giorno d'oggi c'è sempre più gente che si tatua, o almeno che rimane incuriosita e affascinata da questo mondo, quindi guardo al futuro con positività anche se, ogni tanto, mi sento ancora giudicata. Permane insomma sempre quel pizzico di pregiudizio che, soprattutto nella mia professione, non dovrebbe invece più esistere».
Quando e perché ha iniziato a tatuarsi? Segue uno stile specifico?
«Fin da piccola ho sempre avuto dei gusti particolari riguardanti la musica, il cinema, la moda, la vita stessa, e tatuarmi tutto il corpo è sempre stato uno dei miei sogni, il perché forse non lo so bene neanche io. Quando mia sorella fece il suo primo tatuaggio, avevo otto o nove anni, ero gelosissima, ne volevo uno anche io a tutti i costi; finalmente, cinque anni dopo toccò a me, e mi tatuai una piccola stella in mezzo alla schiena. Ricordo ancora tutto quello che ho dovuto fare per convince mia madre, che a tutt’oggi non approva. Attualmente ho addosso svariati pezzi di tatuatori differenti come Enrico Garau di Electric Storm Tattoo, Fema di Elegant Ink, Uomo Tigre, Pietro Sedda, Francesco Liori, Diamante Murru e di altri ancora. La maggior parte sono di stile traditional e neo-traditional, un genere di cui sono sempre stata appassionata per la storia che racconta. Il genere tradizionale o American Style è legato al patriottismo e alla cultura americani, che aveva nel marinaio Sailor Jerry il suo più famoso rappresentante. Le linee sono grosse, dalle forti sfumature e dai pochi colori contrastanti: si tratta dei tatuaggi dei marinai, in poche parole. Mio padre, che era appunto un marinaio negli anni Sessanta, mi raccontava che alcuni suoi colleghi si facevano tatuare in porto, addirittura, e chi commetteva dei crimini direttamente in galera. In precedenza i pescatori si facevano tatuare àncora e timone nelle dita come simboli di fortuna, per propiziare una buona pesca o per far ritorno a casa sani e salvi dalla navigata. Ma questi sono solo alcuni esempi. In realtà non mi sento legata al traditional per il mio cognome o per il fatto che mio padre fosse un marinaio o un pescatore (anche perché lui non ha mai apprezzato i tatuaggi proprio perché ai suoi tempi erano per la maggior parte i carcerati a farseli): è semplicemente il genere che mi piace di più»
Dopo aver saputo che non ha avuto il lavoro s’è pentita, almeno per un attimo, dei suoi tatuaggi?
«Nella maniera più assoluta. Anzi, credo che tra un po' farò proprio un nuovo tatuaggio, e lo farò proprio nelle mani».
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