31.10.11

la libertà laicità possono può convivere con la fede ? secondo me si


Leggendo la  2  e la  4  di  copertina mi chiedevo  la libertà  può convivere  con la fede ? un credente può essere laico  come  sostengo ascoltando  questa  canzone  




domande  che  trovano  risposta  in :

1)  << (...) Mancuso  ci prende per mano e  ci fa percorrere  la strada   delle  riflessioni  , di dubbi  , delle scoperte .Il suo è un libro  che ho letto con curiosità e piacere >> Dacia Marini
2) da  questa recensione Gustavo Zagrebelsky in "la Rebubblica" del 9 settembre 2011
Ma  soprattutto  da questa   intervista   di Mancuso presa dall'unione sarda  di Domenica 30 ottobre 2011
 
E'un mistero. Un mistero tutto italiano. Mentre infuria il dibattito sulla strategia a lungo termine del partito della gnocca e quello sulle prove di esistenza in vita della sinistra, c'è un signore che scrive libri di teologia e li vende a botte da centomila copie. Gli è accaduto già tre volte di scalare le classifiche con saggi che parlano di Dio e dell'anima. O, se preferite, del senso dell'esistenza. 

Centomila copie sono un record che fa pensare: nell'irresistibile corsa al declino del mondo globalizzato c'è evidentemente qualcuno (più di qualcuno) che si ferma a riflettere. Vito Mancuso, due figli e quarantanove anni a dicembre, è un caso nazionale che ha varcato le Alpi. In Germania è stato addirittura pubblicato un tomo che illustra ed esamina la sua teologia. Non ci sono precedenti. 

Cosa racconta di così straordinario, cosa c'è nelle sue pagine che giustifica un boom editoriale di questa portata? In fondo, nulla. C'è solo, spiegato al popolo, il tormento e i dubbi di un credente, la requisitoria sulle nefandezze di Santa romana Chiesa, la ricetta per vivere con dignità, rispetto di se stessi e degli altri. 

Nato in Lombardia da genitori siciliani, ha conquistato il dottorato accademico con 90 novantesimi summa cum laude. Allievo del cardinal Martini, s'è fatto prete giovanissimo ma, appena presi i voti, ha chiesto la dispensa. Concessa. Concessa perché continuasse a studiare. 
Che sapesse parlare di Dio senza narcotizzare la platea lo ha scoperto per primo Giuliano Ferrara che l'ha voluto editorialista nel suo quotidiano, Il Foglio. Da lì però Mancuso se n'è andato presto, inseguito da un addio rancoroso, per passare a Repubblica, dove scrive attualmente. Sempre su Dio e dintorni.
A far finire di recente il suo nome sui giornali è stata tuttavia un'altra vicenda. Anziché chiedere la dispensa come aveva fatto da sacerdote, è uscito dalla Mondadori sollevando un polverone di polemiche. Ha scelto la strada della lettera aperta per spiegare il caso di coscienza che lo attanagliava: non se la sentiva più di lavorare per la casa editrice del premier, uomo che ai suoi occhi rappresenta esattamente l'opposto del cosiddetto buon cristiano. 
Comunista, l'ha subito bollato qualcuno. Ma proprio da sinistra, se vogliamo dirla tutta, partono contro di lui bordate feroci. Teologia da supermarket, hanno scritto del suo ultimo libro Io e Dio. Altri non gli perdonano di stare in mezzo al guado: cattolico sereno e praticante ma contemporaneamente vicino a tutti quelli che ancora cercano, che s'interrogano. Il suo pubblico, insomma.


Mancuso, che vive a Bologna e insegna all'università San Raffaele-Vita di Milano, ha la timidezza di un docente alle prime armi. Non trasuda fama e successo. Nessuna domanda riesce ad alterargli il tono, neanche il minimo segnale di boria mentre spiega la sua linea. Dai genitori ha certamente imparato sobrietà e riservatezza, dalla Brianza - dov'è cresciuto - la capacità di sorridere ogni tanto. I suoi saggi sono tradotti in molti Paesi ma evita con cura di parlarne. Vuole che siano gli altri a scoprire un piccolo miracolo.
Che segni ha lasciato l'esperienza da sacerdote? «Ricordo poco, è durata appena un anno. Ricordo bene invece i cinque anni da seminarista. Bellissimi».
Ha lasciato perché pensava che non sarebbe stato un buon prete? «No. Ho lasciato perché ho sentito che se non lo avessi fatto non sarei stato un buon uomo. Sentivo la mia umanità venire meno».
Meglio un ateo felice e onesto, dice lei, che un credente felice e disonesto. «Certo, perché ciò che distingue il valore d'un uomo è l'onestà interiore. La sincerità è il fondamento della vita spirituale».
Sbagliato dire che lei è il teologo della sinistra afflitta da dubbio permanente? «Non ne ho idea. So di rivolgermi a persone che pensano. E constato che tra le persone che pensano sono di più quelle politicamente a sinistra».
Sbagliato dire che lei è un teologo libero ma non della Liberazione? «Secondo me un teologo veramente libero dev'essere per forza anche un teologo della liberazione. Se per Liberazione si intende parlare di teologia politica, io non lo sono. Se per Liberazione si intende invece un movimento spirituale, beh, spero di esserlo».
Insomma, da che parte sta? «All'opposizione».
Il metodo Boffo nasce nella Curia di Roma e rimbalza fino a Vittorio Feltri. Giusto? «Non lo so. So che nella Curia romana circolano ogni tanto personaggi abbastanza loschi e quindi non mi sorprenderei se fosse vero».
L'esenzione Ici al Vaticano configura un voto di scambio? «Può configurarlo, sì. S'io fossi il papa, mi batterei per essere totalmente uguale agli altri cittadini».
Tarcisio Bertone, segretario di Stato a San Pietro, è un ministro segreto del Governo? «Ogni tanto certe mosse danno l'impressione che lo sia. Da qualche settimana tuttavia pare si stia un po' smarcando».
Ha aspettato anni e anni. «È la politica di un colpo al cerchio e uno alla botte».
Ha scritto: per la gerarchia ecclesiastica non conta la vita concreta ma la professione esteriore di obbedienza. «Purtroppo talora è così. Anche ai preti viene detto pensate quello che volete, magari ditelo pure in confessionale ma mai in pubblico. Per l'istituzione la fede deve essere ufficialmente vissuta in conformità al potere centrale. Vietato esternare certe perplessità».
Ha scritto: la mia Chiesa ha commesso crimini orrendi. Oggi come se la passa? «Ha commesso anche opere di carità meravigliose. L'intelligenza di ciascuno di noi ha il dovere di saper distinguere. La Chiesa non è un'associazione a delinquere ma neanche il paradiso in Terra. Ha fatto cose terribili, ha fatto cose bellissime. Questa dialettica esisterà sempre finché ci sarà l'umanità. La comunità di don Ettore Cannavera a Serdiana, che tempo fa mi ha ospitato per una conferenza, è uno straordinario esempio che sgorga dalla fede. Allo stesso modo ci sono esempi che pongono inquietudine in chi ama il Vangelo».
Qual è l'inquietudine peggiore che avverte? «L'incapacità di legare il senso del bene e della giustizia, che è presente negli uomini fin da bambini, con il senso del mondo d'oggi».
I suoi rapporti con le gerarchie ecclesiastiche? «Variano. Ci sono vescovi e cardinali coi quali i rapporti sono buoni, altri coi quali i rapporti sono inesistenti. Altri ancora che, se potessero, mi scomunicherebbero».
Nomi non ne facciamo? «Posso parlare del mio padre spirituale: il cardinale Carlo Maria Martini. Un uomo straordinario».
Il pontificato di Ratzinger. «È contrassegnato dalla stessa ambiguità che ha caratterizzato quello di Karol Wojtyla. Ci sono dei gesti positivi (per esempio, le due visite alle sinagoghe) e alcuni discorsi interessanti sulla libertà religiosa. Ma ci sono anche segnali problematici, che io ritengo prevalenti, di non apertura alle vere riforme. Nonostante siano impellenti per il mondo cattolico».
Parola di Ratzinger: gli atei meglio di certi cristiani. «Lo dicevo prima: ciò che contraddistingue un vero uomo è l'onestà intellettuale, la sincerità, l'inquietudine, il desiderio della ricerca. Questo e solo questo peserà sul nostro cuore alla fine del mondo».
Ammesso che esista, un buon ateo può dunque andare in Paradiso? «È stato lo stesso Gesù di Nazareth a dire in maniera molto chiara qual è il criterio di giudizio: non sarà certo il catechismo che uno ha tenuto a mente ma la carità che ha sviluppato durante la vita».
Senza Dio la vita è arida, dice lei. Ci spiega perché. «Io non dico senza Dio ma senza un Assoluto verso cui la nostra libertà tende, verso cui la nostra libertà si orienta. La libertà può essere un mostro ambiguo: da essa traiamo ciò che ci pone al di sopra di qualunque animale ma anche ciò che ci fa peggiori di qualunque animale».
E quindi? «Per uscire dal terreno ambiguo della libertà sento il bisogno di avere un punto di riferimento, un Assoluto che possa indicarmi la rotta. E questo non è altro che il divino».
L'accusano di demolire fragili verità della Chiesa per tornare, alla fine, sempre a Dio. «Cos'altro dovrebbe fare un teologo quale io sono? Certo che voglio rimanere e tornare in Dio. Non ho nessun desiderio di abbattere la fede. Semmai quello di criticare affermazioni che ritengo non vere, non valide. Sono credente da quando ho la coscienza e spero di mantenere questa fiducia nel senso ultimo della vita (che chiamo Dio) fino alla fine dei miei giorni».
Però non riconosce l'autonomia del pensiero laico. «Lo afferma il professor Rusconi dell'università di Torino nel recensire il libro Io e Dio . Lo contesto, non ho mai sostenuto una tesi così e sono pronto a confrontarmi in pubblico con lui, com'è accaduto altre volte, su questo argomento».
Cercare la verità, a qualunque costo. Come la mettiamo coi dogmi? «Perché si possa cercare la verità occorre sostituire al principio di autorità (me lo ha detto la Chiesa e quindi obbedisco) il principio di autenticità. Che è cosa ben diversa».
Lei dice che la spiritualità ci insegna a morire senza paura. È questa la ricetta del buon credente? «Ci sono grandi uomini che sono morti tremando (penso a Gesù: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? ) e altri che sono morti del tutto sereni, Socrate ad esempio. Credo sia fortunata la persona che riesca ad avere fiducia nella vita anche nell'ultimo momento».
Per salvarsi, dice lei, l'uomo deve essere raggiunto dalla Grazia. «Non sono io a dirlo, è il concetto-chiave della dottrina cristiana. Per quanto mi riguarda, ho criticato semmai una certa impostazione che lascia pensare alla Grazia come a qualcosa di magico, che colpisce qualcuno e qualcun altro invece no. Non condivido questa visione».
Allora? «È pur vero, conoscendo il legno storto dell'umanità (come direbbe Kant), che gli uomini agiscono esclusivamente per il loro tornaconto. Tuttavia quando si vede qualcuno che agisce per il bene e per amore della giustizia non si può fare a meno di pensare che dietro la sua azione ci sia, come dire?, una sorgente diversa da quella che solitamente alimenta gli altri».
Tre suoi libri hanno venduto oltre centomila copie parlando di teologia. «È una risposta che viene dal basso. Il primo di quei libri era stato stampato inizialmente in cinquemila copie».
C'è fame di spiritualità? «Certo. Vuol proprio dire che c'è fame di spiritualità. Vuol dire anche che l'offerta religiosa tradizionale non è in grado di soddisfare questa fame e che i lettori apprezzano il mio modo di scrivere: chiaro, esplicito. Quello che devo dire, lo dico; quello che non so, non lo dico e non faccio finta di saperlo».
E poi? «Analizzo questi temi raffrontandoli con la filosofia e con la scienza. Porto insomma certe problematiche dalle stanze della Chiesa alla piazza del mercato».
Sempre in assoluta libertà, unico o quasi in Italia. «Non è colpa mia. I teologi laici e cattolici sono sotto sorveglianza: se non seguono la linea gerarchica perdono la cattedra. Sa quanti colleghi mi dicono di condividere ciò che scrivo? Tanti. Ma non possono andarlo a dire in giro».


                                    pisano@unionesarda.it

30.10.11

discussione sull'ergastolo


dal mio account  di facebook

 

che ne pensi ' mi farebbe piacere sentire il tuo parere a questo mioo post
http://cdv.splinder.com/post/25708078/lergastolo-e-una-vendetta
 ·  ·  ·  · Vedi dettagli amicizia · 23 ore fa · 
  •  
    • Franca Bernardis ho letto tutto e penso alle loro vittime ..certo che potrebbero rimodernare le carceri per farli vivere un pò decentemente ..per il resto non e una vendetta...chi la detto non capisce niente..
      21 ore fa · 
    • Giuseppe Scano perchè non è vendtta il carcere a vita o ergastolo ?
      18 ore fa · 
    • *****
      no se hai ammazzato...
      3 ore fa · 
    • Giuseppe Scano secondo me . Lo è anche in quel caso perché oltre i 30 pena massima è vendetta e accanimento . xke non lo si rieduca ma lo si punisce solamente . Facendoli la stessa cosa che lui ha fatto alla vittima o forse peggio
      3 ore fa · 
    • Franca Bernardis dovrebbero dargli la medaglia?
      2 ore fa · 
    • Giuseppe Scano no bastano 30 anni senza permessi salvo gravi problemi familiari
      2 ore fa · 
    • Franca Bernardis quanti sono quelli usciti di galera che reiterano...la cronaca e piena..scarcerano quelli che hanno ammazzato Borsellino e la sua scorta ...ti sembra giusto? avevano l'ergastolo...quelli che uccidono per soldi,per cattiveria .. non cambiano...sono cattivi di animo e devono stare lontani dalla società...
      2 ore fa · 
    • Giuseppe Scano vuole dire che il sistema giudiziario e penale / carcerario va riformato . Così tali situazioni si riducano fino a scomparire . Invece con un sistema solo repressivo e solo punitivo aumentano e peggiorano .
      46 minuti fa · 
    • Franca Bernardis ok riformato ...ti rendi conto di quanti reati rimangono impuniti ...tu come pensi di condannare uno che uccide,uno che violenta,un pedofilo,un ladro che ti entra in casa...cosa faresti..
      39 minuti fa · 
    • Giuseppe Scano chiederei giustizia ma non vendetta e pena certa .
      32 minuti fa · 
    • Franca Bernardis certi reati richiedono l'ergastolo e mi sembra l'abbiano tolto...chiedi la vendetta quando fanno del male a chi vuoi bene...
      13 minuti fa · 
    • Giuseppe Scano la incanalri nella giustizia e nella legalità
      2 secondi fa · 


Le due   storie (  e  ce  ne  sono tantissime  di situazioni del  genere )  che  voglio raccontare   oggi   sono tratte  da    http://urladalsilenzio.wordpress.com/category/sullergastolo-ostativo/ 

La  prima 
  è quella  di  Salvatore Liga raccontata con le parole di Carmelo Musumeci.detenuto nel carcere di Spoleto in Alta Sicurezza, 80 anni compiuti l’estate scorsa, vecchio malato e stanco. E destinato con certezza a  morire in carcere perché è stato condannato alla pena dell’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio,  se al suo posto non ci mette un altro. L’ultima volta che l’ho visto era questa estate e si muoveva a malapena nel cortile del carcere con due stampelle sotto le ascelle.Stava sotto il sole seduto in una panchina di cemento armato tutto l’orario del passeggio a prendersi l’ultimo sole della sua vita Poi un giorno non l’avevo più visto. In seguito avevo saputo che gli avevano trovato un tumore maligno allo stomaco e l’avevano trasferito d’urgenza in un centro clinico carcerario. Proprio l’altro giorno ho saputo che era ritornato, l’avevano operato,  ma che adesso non riusciva più a camminare e gli hanno dato una sedia a rotelle. Oggi, da un suo paesano, ho saputo che per Salvatore Liga le disgrazie non sono finite perché gli hanno applicato un residuo d’isolamento diurno. A che serve e a chi serve applicare ad un povero vecchio in fin di vita una misura così sadica e vessatoria?Molti forse non sanno che l’isolamento diurno è una pena che si dà normalmente quando si è condannati alla pena dell’ergastolo e che ti costringe a non fare vita comune con i tuoi compagni. Che altro aggiungere, se non che il carcere non dovrebbe essere uno strumento di tortura, mortificazione, un luogo di violenza istituzionale e una fabbrica di emarginazione. E se siete dei credenti, aggiungo solamente che Gesù nelle sue predicazioni non chiedeva giustizia ma perdono.Visto però i risultati, credo che Gesù abbia perso solo tempo a venire su questa terra.
La   seconda  
 di  Mario Trudu, un pastore sardo condannato all’ergastolo e in carcere dal 1979. Quella di Mario Trudu è una delle storie più emblematiche, più drammatiche, che, esclusi i 10 mesi di latitanza tra ’86 e l’87, vive in carcere da 32 anni. Senza nessuna prospettiva di non morire lì dentro. Mario Trudu è un uomo rassegnato, ma non abbastanza, forse è la rabbia a tenerlo ancora vivo. Eppure anche lui ha chiesto la morte al posto dell’ergastolo  ostativo e ha chiesto di essere fucilato in piazza a Spoleto (città dove sta attualmente scontando l’ergastolo) per dare soddisfazione a tutti coloro che i delinquenti li vogliono vedere morti, anche dopo 32 anni di carcere… Invece il Tribunale gli ha risposto che la pena di morte non è prevista dall’Ordinamento Penitenziario, nè dalla Costituzione. Bel Paese il nostro,  ci battiamo per abolire la pena di morte negli altri Stati ma nelle nostre prigioni ci si suicida e si muore come mosche e se sei ergastolano e non scegli di usare la giustizia per tirarti fuori, morirai di sicuro  in carcere. Ma  lo Stato non vuole la parte del boia: o lo fai da solo o muori ogni giorno in attesa della fine dei tuoi giorni. 
Vi lascio a questa drammatica testimonianza di Mario Trudu
A scrivere è Mario Trudu. Nato l’undici marzo del 1950 ad Arzana. Mi trovo in carcere dal maggio del 1979 con una condanna all’ergastolo. Scrivendo questo testo non lo faccio pensando di poter ottenere qualcosa, ma per informare, perché qualcuno in più venga a conoscenza della situazione in cui si trovano le persone che sono recluse, come me,  con una condanna all’ergastolo ostativo. Siamo coloro che ogni giorno affrontiamo la nostra tragedia, la nostra vita senza speranza, eppure, lottiamo e combattiamo per una vita migliore. Mi preme dire a coloro che si trovano nella mia medesima situazione, e verso coloro che eventualmente vi si troveranno in futuro, che bisogna fare qualcosa.
Troppo spesso si sente parlare di certezza della pena, ma occorrerebbe parlare di certezza della morte, perché in Italia chi è condannato alla pena dell’ergastolo ostativo può essere certo che la propria morte avverrà in carcere. Spesso si sente nei salotti televisivi qualche politico che batte i pugni sul tavolo inneggiando alla certezza della pena. A questi vorrei gridargli in faccia che la mia pena è talmente certa da giungere fino alla morte. Solo certe menti malate e distorte possono riuscire a superare l’insuperabile. Non si può introdurre come è stato fatto nel 1992 la norma dell’art. 4 bis O.P. (che nega i benefici penitenziari se non metti un altro in cella al posto tuo) e renderla retroattiva, applicarla cioè a reati commessi diversi lustri prima. Lo stesso vale per l’art. 58 ter O.P.(persone che collaborano con la giustizia),  uno scempio per uno stato che si definisce di diritto. Da quando nell’Ordinamento Penitenziario è stato introdotto questo articolo, se vuoi ottenere i benefici penitenziari, sei obbligato a “pentirti”, lasciando in questo modo che si dimentichi che rieducarsi (se errori ci sono stati in passato) non significa accusare altri, ma cambiare dentro di sé. Il pentimento che pretendono loro è l’umiliazione. Per loro collaborazione significa perdita di dignità, fuoriuscire dalla sfera umana. Come può collaborare chi ha è stato vittima di processi compiuti con la roncola nei cosiddetti periodi di “emergenza” in cui contava solo la parola dell’accusa e dove i testimoni della difesa venivano sistematicamente arrestati e processati anche loro? L’Italia, dagli anni ottanta ad oggi, pare essere un paese in emergenza perenne.
Si può negare ad un condannato all’ergastolo,  dopo che ha scontato già trent’anni di carcerazione, la possibilità di ottenere un permesso? Il due settembre del 2009 il Tribunale di Sorveglianza d Perugia, a una mia richiesta di tramutare la mia condanna all’ergastolo in pena di morte (da consumarsi con fucilazione in piazza Duomo a Spoleto) ha risposto così: “Poiché la pena di morte non è prevista dall’Ordinamento né ammessa dalla costituzione, si dichiara inammissibile l’istanza in oggetto”. All’ergastolano, viene dunque proibito anche di scegliere di morire perché si vuole che affronti la vendetta dello Stato fino all’ultimo dei suoi giorni.
Io ho sempre creduto che gli unici che avrebbero potuto pretendere vendetta nei miei confronti fossero la famiglia Gazzotti, l’uomo che ho sequestrato e che a causa di quella mia azione quel povero uomo morì. Solo loro credo che possano fare e dire tutto ciò che vogliono nei miei confronti, ne hanno tutti i diritti. Sicuramente trent’anni di carcere formano un altro uomo, perché oltre ai valori ed abitudini che già possiedi, ne assorbi altri e rielaborandoli ne ricavi una ricchezza. La pena dell’ergastolo per chi la vive come me, è crudele e più disumana della pena di morte, perchè quest’ultima dura un istante ed ha bisogno di un attimo di coraggio, mentre la pena dell’ergastolo ha bisogno di coraggio per tutta la durata dell’esistenza di un individuo, un’esistenza disumana che rende l’uomo “schiavo a vita”.
Occorre prendere coscienza che l’ergastolano ha una vita uguale al nulla e anche volendo spingere la fantasia verso previsioni future,  resta tutto più cupo del nulla. Si parla spesso del problema delle carceri, ma non cambia mai nulla (o forse qualcosa cambia in peggio e il problema del sovraffollamento delle carceri lo dimostra). I suicidi nelle carceri sono proporzionalmente in numero maggiore di diciassette volte rispetto a quelli che avvengono nel “mondo esterno”. I “signori” politici dovrebbero pensare veramente per un attimo al disgraziato detenuto che non può morire in carcere per vecchiaia. Parlo dei politici perché la responsabilità è loro, perché se la legge del 4 bis non viene cambiata siano consapevoli che noi ergastolani ostativi dal carcere non potremo uscire mai: che diano risposta a questa domanda questi “signori”!.
Sto sognando, lo so! Purtroppo un ergastolano può solo sognare.
Fino ad oggi la mia trentennale carcerazione è stata interrotta da soli dieci mesi di latitanza ( periodo che va da giugno del 1986 ad aprile del 1987). Venti anni fa entrai nei termini per poter usufruire dei benefici penitenziari e da allora ho iniziato a presentare diverse richieste per poterli ottenere, ma sono state respinte sistematicamente tutte fino a quando nel2004 mivenne concesso un permesso con l’art- 30 O.p. (otto ore libero, senza scorta) per partecipare alla presentazione di un CD-ROM sulle fontane di Spoleto,  realizzato in carcere da noi alunni del quarto anno dellIistituto d’arte. Trascorsi quelle ore di permesso a Spoleto insieme ai miei familiari venuti appositamente dalla Sardegna,  ed in compagnia di alcuni professori. Nel novembre del2005 mifu concesso un altro permesso, questa volta di sette ore, per la presentazione di una rivista sui vecchi palazzi di Spoleto,  che avevamo prodotto in carcere. Trascorsi quelle ore a Perugia sempre con i miei familiari. A questo punto mi ero convinto che il fattore di pericolosità sociale attribuitomi fosse oramai decaduto e di conseguenza mi illusi che, di tanto in tanto, mi sarebbe stato concesso qualche permesso utile a curare gli affetti familiari. Purtroppo non fu così, perché dopo quell’ultimo permesso tutte le mie richieste furono respinte. Inizia a questo punto a chiedere con insistenza un trasferimento in un carcere della mia regione di appartenenza, affinché i miei familiari potessero avere meno disagi ad ogni nostro incontro, ma nulla da fare: la prima richiesta fu rifiutata e le successive non ebbero mai risposta. Ho presentato a più riprese richieste di permesso necessità per poter andare a far visita a mia sorella Raffaella che non vedo dal 2004 e che non si trova in condizioni per poter affrontare lunghi viaggi, ma anche queste vengono negate motivando che lei non si trova in pericolo di vita. Sono contento che mia sorella non sia in pericolo di vita. Sono state tante le mie richieste per un avvicinamento a colloquio al carcere di Nuoro, dove mi sarebbe stato possibile incontrare mia sorella, l’ultima l’ho presentata il due maggio 2011. Ma non mi hanno ancora risposto.

                              Mario Trudu



con  queste  due storie   spero  di promuovere ( sperando  che non degeneri in scazzi e discorsi forcali  che poi  come spesso  accade  allontanino  dall'argomento in questione )un dibattito riflessione  sulla  condizione  carceraria che a causa   dell'inerzia ( paura  d'impopolarità   perdita  di voti  da  familiari  dell  vittime  ) pr  non dire peggio   di nostri  governanti  legislatori  porta  a quei processi  di  disumanizzazione, disperazione   e di suicidi.
Concludo  , rispondendo  in anticipo alle  eventuali  repliche prevedibili  quanto scontate  d'eventuali forcaioli ,  che qui  non voglio  tutti liberi  o  tutti assolti ,  perchè  chi  è colpevole  è  giusto che paghi   sconti la  sua pena , ma  che  tale  condanna    non sia  vendicativa  e solo punitiva , ma serva  al rieducamento e alla reintegrare  il condannato nella  società  Infatti s'è davvero questo (  anzi mglio dovrebb ma  in realtà non lo  è  ) è lo scopo della reclusione, oltre alla pena di morte andrebbe abolito anche il carcere a vita,perché non è vita quella che trascorre in celle dove in pochi metri quadrati sono ammassate troppe persone che trascorrono le loro giornate nell’inedia, con conseguente degrado delle proprie capacità intellettuali, emotive e sentimentali, dimenticate non solo da Dio e dagli uomini, ma anche dalla speranza di poter uscire un giorno da quelle mura  potersi rifar  una vita  . 
<>, sostiene  il discusso Umberto  Garimberti ,<< dopo la condanna di reclusione, dei carcerati più nessuno si occupa, e alle loro richieste, anche modeste, dettate dall’assenza di speranza e quindi dalla disperazione, si risponde  con un linguaggio burocratico, dietro il quale si fatica a pensare che ci sia un uomo che abbia ancora qualche tratto di umanità? >>
Ovviamente non tutte le prigioni versano in questa situazione. In alcune i carcerati possono studiare e anche laurearsi, in altre apprendono un lavoro che un domani possono esercitare, ma troppi sono ancora i luoghi di reclusione in cui tutto questo non accade, e i giorni trascorrono nell’inedia, nel degrado, nella disperazione che, quando si fa troppo acuta, conduce al gesto estremo come a una liberazione. Non ho alcuna difficoltà a chiamare questi suicidi “delitti”, determinati non dalla ferocia della legge, ma dall’ignavia, dall’inerzia dei legislatori, la cui indifferenza per queste situazioni, più crudele della ferocia,non li esonera dalla colpa di creare condizioni di vita tali da rendere la vita stessa impossibile. 
 Ma  ora  basta  altrimenti finisce  tutto io  . Adesso  tocca  a voi 

Questo nostro amore


Questo nostro amore
è fatto di deserti
di case insanguinate
di filtri di persiane
di chicchi di caffè.

Questo nostro amore
fiorisce sorpassato
nel cuore di città
spossate, informi,
in spenti meriggi
d’un rosa futurista.

Questo nostro amore
si pasce di silenzi,
d’albe ricreate,
di carezze di lino.

Delicato, suadente
nella lieve fralezza,
un fremito commosso
nel buio del mondo.

28.10.11

un politico sardo , miracolo rinuncia a 3884 euro d'indennità Altolà degli uffici contabil della regione i: "Non si può"


mario bruno, vice presidente del consiglio Regionale
18.10   |  CRONACHE DALLA SARDEGNA - Rinunciare all'indennità di carica, anche per chi ne fa richiesta, non sembra possibile almeno nel Consiglio regionale della Sardegna, dove da settembre scorso è stato avviato il percorso per dimezzare le indennità con una proposta che sembra essere rimasta nei cassetti e dove il Governatore Ugo Cappellacci, con una delibera, ha azzerato la propria di indennità. 

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...