Leggendo la 2 e la 4 di copertina mi chiedevo la libertà può convivere con la fede ? un credente può essere laico come sostengo ascoltando questa canzone
domande che trovano risposta in :
1) << (...) Mancuso ci prende per mano e ci fa percorrere la strada delle riflessioni , di dubbi , delle scoperte .Il suo è un libro che ho letto con curiosità e piacere >> Dacia Marini
2) da questa recensione Gustavo Zagrebelsky in "la Rebubblica" del 9 settembre 2011
Ma soprattutto da questa intervista di Mancuso presa dall'unione sarda di Domenica 30 ottobre 2011
E'un mistero. Un mistero tutto italiano. Mentre infuria il dibattito
sulla strategia a lungo termine del partito della gnocca e quello sulle
prove di esistenza in vita della sinistra, c'è un signore che scrive
libri di teologia e li vende a botte da centomila copie. Gli è accaduto
già tre volte di scalare le classifiche con saggi che parlano di Dio e
dell'anima. O, se preferite, del senso dell'esistenza.
Centomila
copie sono un record che fa pensare: nell'irresistibile corsa al declino
del mondo globalizzato c'è evidentemente qualcuno (più di qualcuno) che
si ferma a riflettere. Vito Mancuso, due figli e quarantanove anni a
dicembre, è un caso nazionale che ha varcato le Alpi. In Germania è
stato addirittura pubblicato un tomo che illustra ed esamina la sua
teologia. Non ci sono precedenti.
Cosa racconta di così
straordinario, cosa c'è nelle sue pagine che giustifica un boom
editoriale di questa portata? In fondo, nulla. C'è solo, spiegato al
popolo, il tormento e i dubbi di un credente, la requisitoria sulle
nefandezze di Santa romana Chiesa, la ricetta per vivere con dignità,
rispetto di se stessi e degli altri.
Nato in Lombardia da genitori
siciliani, ha conquistato il dottorato accademico con 90 novantesimi
summa cum laude. Allievo del cardinal Martini, s'è fatto prete
giovanissimo ma, appena presi i voti, ha chiesto la dispensa. Concessa.
Concessa perché continuasse a studiare.
Che sapesse parlare di Dio
senza narcotizzare la platea lo ha scoperto per primo Giuliano Ferrara
che l'ha voluto editorialista nel suo quotidiano, Il Foglio. Da lì però
Mancuso se n'è andato presto, inseguito da un addio rancoroso, per
passare a Repubblica, dove scrive attualmente. Sempre su Dio e dintorni.
A
far finire di recente il suo nome sui giornali è stata tuttavia
un'altra vicenda. Anziché chiedere la dispensa come aveva fatto da
sacerdote, è uscito dalla Mondadori sollevando un polverone di
polemiche. Ha scelto la strada della lettera aperta per spiegare il caso
di coscienza che lo attanagliava: non se la sentiva più di lavorare per
la casa editrice del premier, uomo che ai suoi occhi rappresenta
esattamente l'opposto del cosiddetto buon cristiano.
Comunista, l'ha subito bollato qualcuno. Ma proprio da
sinistra, se vogliamo dirla tutta, partono contro di lui bordate feroci.
Teologia da supermarket, hanno scritto del suo ultimo libro Io e Dio. Altri non
gli perdonano di stare in mezzo al guado: cattolico sereno e praticante ma
contemporaneamente vicino a tutti quelli che ancora cercano, che s'interrogano.
Il suo pubblico, insomma.
Mancuso, che vive a Bologna e insegna all'università San Raffaele-Vita di Milano, ha la timidezza di un docente alle prime armi. Non trasuda fama e successo. Nessuna domanda riesce ad alterargli il tono, neanche il minimo segnale di boria mentre spiega la sua linea. Dai genitori ha certamente imparato sobrietà e riservatezza, dalla Brianza - dov'è cresciuto - la capacità di sorridere ogni tanto. I suoi saggi sono tradotti in molti Paesi ma evita con cura di parlarne. Vuole che siano gli altri a scoprire un piccolo miracolo.
Che segni ha lasciato l'esperienza da sacerdote? «Ricordo poco, è durata appena un anno. Ricordo bene invece i cinque anni da seminarista. Bellissimi».Mancuso, che vive a Bologna e insegna all'università San Raffaele-Vita di Milano, ha la timidezza di un docente alle prime armi. Non trasuda fama e successo. Nessuna domanda riesce ad alterargli il tono, neanche il minimo segnale di boria mentre spiega la sua linea. Dai genitori ha certamente imparato sobrietà e riservatezza, dalla Brianza - dov'è cresciuto - la capacità di sorridere ogni tanto. I suoi saggi sono tradotti in molti Paesi ma evita con cura di parlarne. Vuole che siano gli altri a scoprire un piccolo miracolo.
Ha lasciato perché pensava che non sarebbe stato un buon prete? «No. Ho lasciato perché ho sentito che se non lo avessi fatto non sarei stato un buon uomo. Sentivo la mia umanità venire meno».
Meglio un ateo felice e onesto, dice lei, che un credente felice e disonesto. «Certo, perché ciò che distingue il valore d'un uomo è l'onestà interiore. La sincerità è il fondamento della vita spirituale».
Sbagliato dire che lei è il teologo della sinistra afflitta da dubbio permanente? «Non ne ho idea. So di rivolgermi a persone che pensano. E constato che tra le persone che pensano sono di più quelle politicamente a sinistra».
Sbagliato dire che lei è un teologo libero ma non della Liberazione? «Secondo me un teologo veramente libero dev'essere per forza anche un teologo della liberazione. Se per Liberazione si intende parlare di teologia politica, io non lo sono. Se per Liberazione si intende invece un movimento spirituale, beh, spero di esserlo».
Insomma, da che parte sta? «All'opposizione».
Il metodo Boffo nasce nella Curia di Roma e rimbalza fino a Vittorio Feltri. Giusto? «Non lo so. So che nella Curia romana circolano ogni tanto personaggi abbastanza loschi e quindi non mi sorprenderei se fosse vero».
L'esenzione Ici al Vaticano configura un voto di scambio? «Può configurarlo, sì. S'io fossi il papa, mi batterei per essere totalmente uguale agli altri cittadini».
Tarcisio Bertone, segretario di Stato a San Pietro, è un ministro segreto del Governo? «Ogni tanto certe mosse danno l'impressione che lo sia. Da qualche settimana tuttavia pare si stia un po' smarcando».
Ha aspettato anni e anni. «È la politica di un colpo al cerchio e uno alla botte».
Ha scritto: per la gerarchia ecclesiastica non conta la vita concreta ma la professione esteriore di obbedienza. «Purtroppo talora è così. Anche ai preti viene detto pensate quello che volete, magari ditelo pure in confessionale ma mai in pubblico. Per l'istituzione la fede deve essere ufficialmente vissuta in conformità al potere centrale. Vietato esternare certe perplessità».
Ha scritto: la mia Chiesa ha commesso crimini orrendi. Oggi come se la passa? «Ha commesso anche opere di carità meravigliose. L'intelligenza di ciascuno di noi ha il dovere di saper distinguere. La Chiesa non è un'associazione a delinquere ma neanche il paradiso in Terra. Ha fatto cose terribili, ha fatto cose bellissime. Questa dialettica esisterà sempre finché ci sarà l'umanità. La comunità di don Ettore Cannavera a Serdiana, che tempo fa mi ha ospitato per una conferenza, è uno straordinario esempio che sgorga dalla fede. Allo stesso modo ci sono esempi che pongono inquietudine in chi ama il Vangelo».
Qual è l'inquietudine peggiore che avverte? «L'incapacità di legare il senso del bene e della giustizia, che è presente negli uomini fin da bambini, con il senso del mondo d'oggi».
I suoi rapporti con le gerarchie ecclesiastiche? «Variano. Ci sono vescovi e cardinali coi quali i rapporti sono buoni, altri coi quali i rapporti sono inesistenti. Altri ancora che, se potessero, mi scomunicherebbero».
Nomi non ne facciamo? «Posso parlare del mio padre spirituale: il cardinale Carlo Maria Martini. Un uomo straordinario».
Il pontificato di Ratzinger. «È contrassegnato dalla stessa ambiguità che ha caratterizzato quello di Karol Wojtyla. Ci sono dei gesti positivi (per esempio, le due visite alle sinagoghe) e alcuni discorsi interessanti sulla libertà religiosa. Ma ci sono anche segnali problematici, che io ritengo prevalenti, di non apertura alle vere riforme. Nonostante siano impellenti per il mondo cattolico».
Parola di Ratzinger: gli atei meglio di certi cristiani. «Lo dicevo prima: ciò che contraddistingue un vero uomo è l'onestà intellettuale, la sincerità, l'inquietudine, il desiderio della ricerca. Questo e solo questo peserà sul nostro cuore alla fine del mondo».
Ammesso che esista, un buon ateo può dunque andare in Paradiso? «È stato lo stesso Gesù di Nazareth a dire in maniera molto chiara qual è il criterio di giudizio: non sarà certo il catechismo che uno ha tenuto a mente ma la carità che ha sviluppato durante la vita».
Senza Dio la vita è arida, dice lei. Ci spiega perché. «Io non dico senza Dio ma senza un Assoluto verso cui la nostra libertà tende, verso cui la nostra libertà si orienta. La libertà può essere un mostro ambiguo: da essa traiamo ciò che ci pone al di sopra di qualunque animale ma anche ciò che ci fa peggiori di qualunque animale».
E quindi? «Per uscire dal terreno ambiguo della libertà sento il bisogno di avere un punto di riferimento, un Assoluto che possa indicarmi la rotta. E questo non è altro che il divino».
L'accusano di demolire fragili verità della Chiesa per tornare, alla fine, sempre a Dio. «Cos'altro dovrebbe fare un teologo quale io sono? Certo che voglio rimanere e tornare in Dio. Non ho nessun desiderio di abbattere la fede. Semmai quello di criticare affermazioni che ritengo non vere, non valide. Sono credente da quando ho la coscienza e spero di mantenere questa fiducia nel senso ultimo della vita (che chiamo Dio) fino alla fine dei miei giorni».
Però non riconosce l'autonomia del pensiero laico. «Lo afferma il professor Rusconi dell'università di Torino nel recensire il libro Io e Dio . Lo contesto, non ho mai sostenuto una tesi così e sono pronto a confrontarmi in pubblico con lui, com'è accaduto altre volte, su questo argomento».
Cercare la verità, a qualunque costo. Come la mettiamo coi dogmi? «Perché si possa cercare la verità occorre sostituire al principio di autorità (me lo ha detto la Chiesa e quindi obbedisco) il principio di autenticità. Che è cosa ben diversa».
Lei dice che la spiritualità ci insegna a morire senza paura. È questa la ricetta del buon credente? «Ci sono grandi uomini che sono morti tremando (penso a Gesù: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? ) e altri che sono morti del tutto sereni, Socrate ad esempio. Credo sia fortunata la persona che riesca ad avere fiducia nella vita anche nell'ultimo momento».
Per salvarsi, dice lei, l'uomo deve essere raggiunto dalla Grazia. «Non sono io a dirlo, è il concetto-chiave della dottrina cristiana. Per quanto mi riguarda, ho criticato semmai una certa impostazione che lascia pensare alla Grazia come a qualcosa di magico, che colpisce qualcuno e qualcun altro invece no. Non condivido questa visione».
Allora? «È pur vero, conoscendo il legno storto dell'umanità (come direbbe Kant), che gli uomini agiscono esclusivamente per il loro tornaconto. Tuttavia quando si vede qualcuno che agisce per il bene e per amore della giustizia non si può fare a meno di pensare che dietro la sua azione ci sia, come dire?, una sorgente diversa da quella che solitamente alimenta gli altri».
Tre suoi libri hanno venduto oltre centomila copie parlando di teologia. «È una risposta che viene dal basso. Il primo di quei libri era stato stampato inizialmente in cinquemila copie».
C'è fame di spiritualità? «Certo. Vuol proprio dire che c'è fame di spiritualità. Vuol dire anche che l'offerta religiosa tradizionale non è in grado di soddisfare questa fame e che i lettori apprezzano il mio modo di scrivere: chiaro, esplicito. Quello che devo dire, lo dico; quello che non so, non lo dico e non faccio finta di saperlo».
E poi? «Analizzo questi temi raffrontandoli con la filosofia e con la scienza. Porto insomma certe problematiche dalle stanze della Chiesa alla piazza del mercato».
Sempre in assoluta libertà, unico o quasi in Italia. «Non è colpa mia. I teologi laici e cattolici sono sotto sorveglianza: se non seguono la linea gerarchica perdono la cattedra. Sa quanti colleghi mi dicono di condividere ciò che scrivo? Tanti. Ma non possono andarlo a dire in giro».