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23.9.25

vendersi o non vendersi ? LETTERA APERTA - Non dimentichiamo mai chi siamo: preti. Il vangelo non è un like \ scambio d'opinioni fra Il sacerdote-influencer -- Don Alberto Ravagnani che vende integratori sui social e don Fortunato Di Noto

Ora è vero  che  senza  soldi  non  si canta  né messa né  bandiera  rossa .
Ma un conto è : fare    delle iniziative come quelle dei monaci 
trappisti  o come dice lui l'antichissima regola monastica Benedittina ora e labora ( prega e lavora ) oppure se  si vuol essere  a  passo  con i tempi   facendo   crowdfunding  o iniziative  simili  d'autofinanziamento o lasciare   sulla  propria  pagina  social \ internet  un IBAN o altro per permettere o fedeli o  simatizzanti di donare   oppure  chiedendo (  anche    se  li  ci sarebbe  da  discutere  ma  sarebbe  tropo  lunga  e  fuorviante  dal post  in questione   ma se  volete  la  riprendiamo )   l'8 per  mille o 5  per mille allo stato  ) . Un altro   è  come  Don Alberto Ravagnani arrivare  come  a vendere  integratori sui social  anche  se  lui  ha  replicato  : << [... ] San Paolo ha lavorato, Gesù ha lavorato, e c'è una regola benedettina che dice ‘Ora et labora’  [...]  qui su milanotoday  il resto   della  sua  risposta   (  ) convincendo  poco  ed arrampicandosi  sugli  specchi  . Infatti gli ha  replicato  giustamente   Don fortunato di Noto 


Caro Don Alberto Ravagnani,
la cosa che ci lega è il sacerdozio. Ho 62 anni e sono sacerdote da 34, vivo con passione la sfida di ‘abitare il web’, cercando di farlo con responsabilità, per offrire con la nostra identità cristiana e umana la via del Vangelo. Del resto, siamo preti per vocazione e per dono, non per una scelta di ripiego né per convenienza economica. La nostra missione non può mai essere vista come un lavoro qualsiasi, anche se, giustamente, riceviamo un sostegno economico dalle offerte della gente, quella gente che Gesù Cristo ha riscattato a caro prezzo con la Sua morte e risurrezione. Il sostegno economico per noi sacerdoti, soprattutto per chi come me vive in un territorio ‘povero’ e in una parrocchia di periferia, spesso ci permette a malapena di pagare le bollette e le manutenzioni ordinarie. Ma anche questo sostegno viene ri-donato a chi ce lo ha dato. È una bellezza che manifesta che nulla ci appartiene, e che tutto – ogni nostro pensiero, azione e opera – è per rendere a Lui gloria e per offrire spazi di luce a chi sta nelle tenebre. Sono certo che per te, come per tanti altri straordinari e splendidi sacerdoti, tutto questo è superfluo, poiché vivete con fedeltà il cammino che porta alla salvezza. Ma il mio cuore è sempre interrogato da quel: "lasciarono tutto e lo seguirono." Non ci viene detto che lasciarono "un poco", ma "tutto". Negli anni '90, quando avevi pochi anni, mi affacciai a Internet. All'epoca, questa nuova realtà era abitata da poche persone. Eppure, mi sentivo in ‘missione’, con la mia identità cristiana e sacerdotale, con l’associazione Meter. Da lì, Internet divenne una vera e propria terra di missione, un luogo in cui tuttora cerco di salvare i bambini dagli abusi. Nel 2010, Avvenire, ospitò una mia riflessione. Raccontai che Internet era già una terra di missione, un’occasione per annunciare con fedeltà al Vangelo un mistero d’amore per tutto il creato. Attraverso Internet, la misericordia di Dio si è concretizzata nell’aiuto a giovani che volevano suicidarsi, a bambini che subivano violenza, e in ascolto e aiuto reale, non solo virtuale. Internet è stato un terreno fertile di opportunità per evangelizzare un nuovo uomo, ricco di umanità, in cerca di sé, e con un insaziabile desiderio di comunicare. Ma è stato anche il luogo dove si è manifestato il degrado umano: schizofrenia, oscurità, criminalità, violenza, pedopornografia, orrore. Eppure, come sacerdoti, dobbiamo essere presenti anche in questi luoghi, pur senza dimenticare che il virtuale non sostituirà mai la "carne" dell'uomo, nella sua totale integrità. Con lungimiranza, la Chiesa deve immergersi e ascoltare l’uomo che cerca Dio, anche in Internet, dove spesso “sopravvive” nel silenzio assordante di voci inutili e inadeguate. E, come sempre, la certezza è che Dio non ci ha dimenticati, anche nell’era di Internet. Lui non ci abbandona, come ci ha mostrato con la croce. Nuove sfide? Credo che la risposta sia una presenza vivace e creativa, testimoniando che il Vangelo continua ad annunciare, anche nei deserti virtuali, l’amicizia di Dio con l'uomo. Virtuale o reale che sia.Caro Don Alberto, non intendo giudicare, ma ti invito a rimanere un prete e non un "venditore sulle piazze virtuali". Chiedi alle società che ti supportano nella tua missione di farlo senza fare "cassa" con la tua popolarità. Non cadere nella trappola di pensare che la parrocchia abbia bisogno di questo, perché la nostra missione non può essere un mercato. Ricorda che Gesù fu "‘venduto, consegnato, per 30 denari’ da chi, appunto, gestiva la cassa. Sei ancora giovane. La mia dicono sia l’età della "decadenza", anche se la vedo come età della maturità. E ti dico, con affetto e stima, da un “preistorico digitale” che la nostra prossimità deve essere quella di far risplendere la gloria di Dio, come ci è stato consegnato da Gesù Cristo. Il web che tu abiti diventi luogo di incontro, di prossimità, di missione evangelizzatrice autentica, senza sotterfugi né strategie psicologiche. La fede è un dono che cresce e si alimenta con l’ascolto della Parola. E fammelo dire: la fede non nasce dal miracolo, ma il miracolo nasce dalla fede. E il più grande miracolo è non abdicare mai alla vera essenza della fede stessa: l'Amore di Dio. Questo lo sai anche tu.
Con affetto, Don Fortunato Di Noto.

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