A chi mi dice che voglio impore il testamento biologico o il suicidio assistito a tuti i costi si sbaglia di grosso . In quanto ciascuno di noi è libero di fare , come la storia sotto riportata la propia scelta in merito . E come tale va rispettato che sceglie di vivere e far vivere in coma
o stato vegetativo una persona chi invece sceglie e chiede di morire o sceglie ( qui c'è solo la comprensione etico \ morale ma non la giusificazione perchè si tratta di omicidio nel primo caso ) di non voler soffrire nel vederlo cosi e quindi gli da l'eutanasia o decide di non tenerlo in vita spegendo le macchine da la stama del 5\10\2025.
Gli amici hanno lasciato da poco l’appartamento di Concordia Sagittaria, nel Veneziano, ricavato all’interno della casa dei genitori di Luca Romanin. Michela Florean, la compagna, è sola, «forse per la prima volta, da quando Luca non c’è più». Intorno, ogni cosa parla di lui: dalle promesse del suo passato da sportivo, fino ai ricordi degli ultimi 26 anni, aggrappati a qualsiasi speranza di un ritorno a una parvenza di normalità.Nella loro vita di ragazzi, è cambiato tutto nell’inverno del ‘99. Luca, 23 anni, era andato a sciare con il fratello Marco e un cugino sulla pista della Gran Risa, in Alta Badia. «Io non ero andata con loro» ricorda Michela. Che, di quella giornata, ricorda tutto. Ricorda l’ultima telefonata al suo Luca, prima che inforcasse gli sci e si lanciasse giù a valle, sfrecciando sulla pista nera. E ricorda la telefonata successiva, dal contenuto drammatico: Luca era caduto, aveva sbattuto la testa e loavevano trasferito con l’elicottero all’ospedale di Bolzano. «I successivi 7-15 giorni li ha trascorsi in prognosi riservata. Sembrano pochi, in realtà non passavano più», ripercorre ora. Dopo due anni, Luca Romanin esce dall’ospedale su una sedia a rotelle. Non cammina e non parla. Una vita stravolta, ma con Michela ancora accanto. È giovanissima, come lo è il suo amore per Luca, sul quale però ha già deciso di investire il suo futuro: Michela lascia il lavoro e si trasferisce in un appartamento ricavato all’interno della casa dei genitori di Luca. Si prende cura di lui. Lo fa per 26 anni, fino a sabato scorso, quando Romanin, a 49 anni, è morto.Eravate ragazzi - 22 anni lei e 23 Luca - quando ha deciso di lasciare ogni cosa, per dedicarsi completamente al suo compagno…«In realtà non l’ho deciso.Perché, quando si prova unamore così grande, non si sceglie.Semplicemente si vive la situazione, e poi gli eventi fanno il loro corso.Con questo non voglio dire che sia stato facile, tutt’altro. E io non volevo fare la crocerossina. Semplicemente, io per Luca ho provato,provo e proverò sempre un amore immenso».Marco, il fratello di Luca, ha detto che in un tempo attraversato dalle storie di violenza, la vostra è una boccata d’ossigeno, per mostrare che esiste anche tanto altro.
«Sono rimasta colpita dalla sorpresa della gente. In questi 26 anni, le difficoltà sono state tante, ma i sentimenti ci hanno fatto superare discese erisalite.Del resto,le difficoltà fanno parte di qualsiasi vita. Vedo famiglie che sisgretolano per nulla, e per me è incomprensibile. Io sono contenta della persona che sono e di tutte le scelte che ho fatto. Luca è ancora accanto a me, miguida.Sento la sua forza, che ormai non è più terrena».Che cosa vi ha fatto innamorare?«Sono passati talmente tantianni.Diciotto anni io,diciannove lui.Ci siamo conosciuti perché era venuto a giocare a basket nella palestra del mio paese,ed è stato il classico colpo di fulmine. Anch’io giocavo a basket, pure a un livello discreto, e lavoravo in un negozio di articoli sportivi. Mentre lui, a 23 anni,era il più giovane istruttore di sub italiano. Era bellissimo,ed è la prima cosa che mi ha colpito. Ci siamo conosciuti e il mese dopo eravamo già inseparabili. Stavamo iniziando a pianificare la nostra vita futura».
Dopo l’incidente, come è stata la vostra quotidianità?«Dopo un po’, io ho smesso di lavorare e sono andata a vivere con lui. Luca non camminava e non parlava: il nostro era un linguaggio empatico, fatto di sguardi ed energie molto più sottili.Ma così siamo andati avanti.A livello di terapie,abbiamo provato di tutto:medicina salvavita, farmaci, fisioterapia,computer col puntatore oculare, osteopatia. A volte, prendevo la macchina per andare in giornata a Firenze, dall’omeopata, e tornare la sera a Concordia.Qualsiasi cosa, per fargli fare una vita il più normale possibile.Ho cercato di avere fede nel futuro, dedicandogli tutto il mio amore,sperando che piano piano i tasselli si mettessero aposto».
È stata aiutata?«Le persone che restano, inqueste situazioni, sono poche.È stata una vita scandita dagli orari,dalla routine,dalla dedizione. Però le poche persone che sono rimaste, e quelle che si sono aggiunte, sono straordinarie.Ho conosciuto terapisti che sono diventati amici sinceri».Michela, cosa farà ora?«Non voglio fare progetti,ma vivere il presente. Io so che il dolore va attraversato,metabolizzato, e che dopoun po’ inizia a scemare. E io questo voglio fare ora, senza pensare al domani. Vivere come ho sempre fatto finora,Luca è accanto a me».