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28.8.25

Diario di Bordo n 145 anno III Giulia Tofana creatrice dell'acqua tofana uccise più di 600 uomini eroina contro i mariti violenti o serial killer ? anche l'italia ha i suo cammino di Santiago ., anche gli oggetti hanno una loro storia ed identità Il Mediterraneo ai piedi, storia delle espadrillas .,


fonte principale il portale msn.it poi sotto prima  di  ogi  post    i  vari  siti  portali degli articoli 

Geopop
Chi era Giulia Tofana, la donna che nel 1600 uccise circa 600 uomini grazie al suo veleno trasparente




C

Nel cuore dell’Italia del Seicento circolava un nome che ancora oggi suscita fascino e inquietudine: Giulia Tofana. Orfana e poverissima, proveniva dai bassifondi palermitani e fu Cortigiana della corte di Filippo IV di Spagna, ma era conosciuta da molte donne come fattucchiera. La sua fama nacque grazie alla sua invenzione mortale, l’Acqua Tofana, un veleno trasparente quasi insapore in grado di uccidere lentamente senza lasciare traccia. Tra il 1630 e il 1655, con questo intruglio sarebbero morti oltre seicento uomini, probabilmente tutti mariti violenti.
Le cronache la descrivono con due volti opposti: da un lato la “Vergine Nera”, spietata assassina che seminò morte nell’Europa barocca; dall’altro una sorta di alleata delle donne, capace di offrire un’arma invisibile contro un sistema patriarcale che non lasciava loro scampo. La verità, come spesso accade, si muove probabilmente tra i due estremi.
L’Acqua Tofana, il veleno che si mascherava da cosmetico
Il veleno veniva presentato come cosmetico o acqua santa, ma conteneva una miscela letale di arsenico, antimonio, belladonna e piombo. Bastavano poche gocce al giorno, versate nel vino o nella minestra, per uccidere senza destare sospetti: i sintomi imitavano malattie naturali (vomito e febbre) e lasciavano roseo il colorito del morto. Grazie alla sua intelligenza pratica e alla propensione per gli esperimenti, Giulia perfezionò la formula fino a renderla perfetta per la somministrazione discreta. Molte delle sue acquirenti erano donne intrappolate in matrimoni imposti o violenti, prive di protezione dalla legge o dalla Chiesa, e l’Acqua Tofana rappresentava per loro l’unica via di fuga.
Giulia Tofana, l'ultima strega bruciata a Roma: il suo veleno per i "matrimoni infelici" e la battaglia femminista.
Chi era
Giulia, pur agendo in modo spregiudicato, non perseguiva un diretto guadagno personale, ma creava un mezzo per consentire a queste donne di liberarsi di mariti crudeli. Non agiva mai da sola: attorno a lei ruotava una rete di farmaciste, levatrici e complici che distribuivano il veleno con discrezione. Con il tempo, anche la sua figliastra, Girolama Spana, avrebbe iniziato ad agire al suo fianco nella produzione e nella distribuzione del veleno. I flaconi erano decorati con l’immagine di San Nicola (l'immagine di un santo famoso e venerato, infatti, gli conferiva l'aria di una reliquia o di un'acqua miracolosa) circolarono per oltre vent’anni, trasformando l’attività in una vera e propria industria clandestina.






I clienti aumentavano rapidamente, consentendole di lasciare il malfamato quartiere del Papireto (inizialmente abitava infatti a Palermo) insieme alla sorella di latte Girolama. Successivamente, grazie a un frate amante, Giulia si trasferì a Roma, dove visse nel rione Trastevere, imparò a scrivere e si vestì come una dama d’alto rango.
La caduta e la condanna
Il destino di Giulia cambiò quando una cliente, la contessa di Ceri, contrariamente alle istruzioni, versò l’intera boccetta nella minestra del marito, uccidendolo subito e attirando i sospetti della famiglia. La polizia indagò, scoprendo la rete di Giulia. Durante il processo, che coinvolse anche centinaia delle sue clienti, molte spose furono condannate a morte e murate vive nel palazzo dell’Inquisizione a Porta Cavalleggeri (Roma). Tra le vittime di questa storia ci fu anche la figliastra Girolama, che finì impiccata a Campo dei Fiori il 5 luglio 1659 assieme ad altre quattro donne che la aiutavano a produrre e distribuire la pozione letale. Giulia, invece, sottoposta a tortura, sembra che sia fuggita dalla sua cella grazie all’intervento del suo amante frate, e di lei non si è più saputo nulla. La sua difesa in tribunale? Quei preparati erano cosmetici, e non era affare suo se le clienti li usavano diversamente.
L’Acqua Tofana continuò a circolare anche dopo la sua scomparsa. Pochi mesi prima di morire, nel 1791, Mozart confidò a sua moglie di sospettare di essere stato avvelenato proprio con questo veleno, testimonianza della fama e del timore che la miscela aveva suscitato quasi due secoli dopo la sua creazione. Oggi Giulia Tofana resta sospesa tra due figure: prima serial killer d’Europa o eroina silenziosa in un mondo che negava giustizia alle donne

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Runner's World Italia

È chiamato il Piccolo cammino di Santiago d’Italia e a settembre è perfetto



© Gina Pricope - Getty Images

Quante volte hai pensato di intraprendere il cammino di Santiago e poi per i più diversi motivi hai rinunciato? Ci vuole parecchio tempo, la preparazione fisica giusta, il suo costo non può essere sottovalutato e tanti altri piccoli fattori che alla fine ti hanno convinto a rimandare.
Ma certe situazioni, si sa, o le si prendono di petto oppure si finisce sempre per spostare la data un po’ più in là e diventa quasi una scusa quella che “intanto lo farò l’anno prossimo”. In attesa che quell’anno prossimo arrivi davvero, una soluzione te la diamo noi. Un’alternativa decisamente più alla portata di tutti che potrebbe essere il trampolino giusto per decidersi. Già, perché non tutti sanno che c’è un’escursione chiamato il Piccolo cammino di Santiago d’Italia e settembre può essere il mese perfetto per affrontarla.
Ecco dove si trova il Piccolo cammino di Santiago d’Italia, perfetto per settembre
Il Piccolo cammino di Santiago d’Italia è un percorso naturalistico lungo un centinaio di chilometri abbondanti, ma anche un'escursione storica dal sapore spirituale perché segue le orme di un santo. Si trova nel Trentino tra la Valle dell’Adige e le Dolomiti del Brenta, collega Trento a Madonna di Campiglio ed è formato da un’antica via romana. Stiamo parlando del Sentiero di San Vili, che prende il nome proprio da San Vigilio, un vescovo martire che nel IV secolo d.C. si incamminò su questo tracciato per un’opera di evangelizzazione.
Se sei un appassionato della natura, della storia, della religione e se ami il trekking questo percorso fa per te. E affrontarlo a settembre può essere un’ottima idea. Camminerai in mezzo alla natura incontrando boscaglie, tipici laghi montani e borghi storici che ti permetteranno di conoscere la loro storia affascinante e assaggiare prodotti tipici con sapori davvero unici. Proprio questo insieme di esperienze, che invitano alla riflessione e al viaggio spirituale (seppure se non è nato con funzione religiosa) grazie alle numerose chiese che si incontrano, ha fatto sì che il Sentiero di San Vili prendesse anche il nome di Piccolo cammino di Santiago d’Italia.Il Piccolo cammino di Santiago d’Italia va percorso in sei tappe
E per tenere fede a quello più famoso in tutto il mondo, anche il Piccolo cammino di Santiago si divide in tappe, per la precisione sei, con la possibilità però di scegliere un itinerario più impegnativo (definito “Alto”) adatto a esperti di trekking e uno più agevole che attraversa più centri abitati e ha un minore dislivello (definito “Basso”). Inoltre lo puoi percorrere in entrambi i sensi da Trento a Madonna di Campiglio e viceversa.
Il Sentiero di San Vili è stato inaugurato la prima volta nel 1988 dalla SAT, Società Alpinisti Tridentini. La prima tappa prende il via dal sobborgo trentino di Vela per raggiungere Covelo con un dislivello di circa 700 metri. La seconda tappa si conclude a Moline, nel comune di San Lorenzo in Banale, ed è particolarmente spirituale perché incontrerai numerose chiesette, oltre che le Gole del Sarca, canyon all’interno di un fiume. La terza tappa ti farà arrivare al borgo medievale di Irone, abbandonato a seguito della peste che nel Seicento colpì l’intera Europa. La quarta tappa, invece, ti condurrà al Passo Daone. È forse la più impegnativa, ma anche quella che ti regalerà panorami meravigliosi. La quinta farà capolino a Pinzolo con numerosi punti attrattivi tra cui la Pieve di San Vigilio, in val Rendena presunto punto dove il Santo fu martirizzato. Infine la sesta tappa con arrivo a Madonna di Campiglio, il luogo più turistico di tutto il cammino.

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Marie Claire Italia

Il Mediterraneo ai piedi, storia delle espadrillas



Che una scarpa così umile custodisca una storia sorprendente, fatta di arte, guerra e rivoluzione, potrebbe sembrare poco probabile, e invece le espadrillas – o espardenyas, per rispettare il loro antico nome catalano – nascono nel XIV secolo in Spagna come calzatura da lavoro, resistente ed economica, adatta a soldati, contadini e a chiunque avesse bisogno di praticità prima che di stile.
Il termine stesso, in ogni sua variazione, rimanda allo sparto, l’erba mediterranea utilizzata per intrecciare la suola. Allora era il risultato di produzione artigianale quasi corale, tra chi realizzava la tomaia in lino (oggi per lo più cotone), chi intrecciava e pressava le suole nei laboratori, chi cuciva a mano i punti ornamentali e chi sigillava tutto con la pece, oggi sostituita dalla gomma.




gettyimages-955105622© Gerard SIOEN - Getty Images

Col tempo, ogni regione aveva sviluppato il proprio stile, così si vedevano ai piedi espadrillas con nastri lunghi da avvolgere intorno al polpaccio, altre che si distinguevano per i pompon o le finiture a contrasto. E seppure indossate da entrambi i sessi, a consacrarle è stata la danza - la Sardana -, simbolo dell’identità catalana, eseguita in cerchio da ballerini con berretti rossi ed espadrillas ai piedi legate da nastri alti fino al ginocchio. Per secoli sono rimaste un affare esclusivamente spagnolo, diffuse tra i contadini della Catalogna e dei Paesi Baschi, ma a partire dal XIX secolo, complici il commercio internazionale e il nazionalismo, hanno iniziato a diffondersi, prima a Mauléon, nei Pirenei francesi, dove si è sviluppata un’industria fiorente, poi in Sud America, complice il clima tropicale che le ha rese un vero un successo.




Lady Diana© Anwar Hussein - Getty Images

Hanno cambiato ruolo con l’ascesa dei movimenti indipendentisti, diventando parte dell’abbigliamento popolare anche tra i combattenti baschi e catalani. Economiche, traspiranti e facili da sostituire, erano ideali per chi viveva in montagna o combatteva in clandestinità. Durante la Guerra Civile Spagnola le espadrillas si sono diffuse tra i repubblicani: molti marciavano contro l’esercito franchista con ai piedi le stesse scarpe che usavano nei campi. Non erano scarpe da battaglia, ma la penuria di equipaggiamento rendeva necessario l’uso di qualsiasi calzatura disponibile, e nemmeno Franco ne era rimasto indifferente, perché negli anni Trenta aveva requisito la fabbrica Castañer per convertire la produzione a uso militare. Un dettaglio che testimonia quanto questa calzatura fosse al tempo stesso radicata nella vita quotidiana e nelle lotte di un paese.
La storia della maison Castañer era iniziata nel 1927 a Girona, con Luis Castañer e suo cugino Tomàs Serra. Lavoravano lo sparto, cucivano a mano, vendevano localmente. Nel dopoguerra Salvador Dalì ne fece il proprio, se non ennesimo, dettaglio eccentrico, indossandole con i calzini rossi e un copricapo da giullare. Rita Hayworth le aveva sfoggiate in La signora di Shanghai (1947), mentre in L'isola di corallo (1948) Lauren Bacall, con camicia bianca, gonna dirndl ed espadrillas ai piedi, aveva lanciato un look che non è mai davvero passato di moda. Erano anche fisse nei guardaroba estivi di Audrey Hepburn e Gabrielle Chanel. Durante le sue fughe in Costa Azzurra, Coco ne portava spesso un paio in tela abbinate a uno o più giri di perle, un cappello da marinaio e l’aria di chi ha inventato il less is more senza doverlo mai dire. È stato però l’incontro con Yves Saint Laurent, nel 1972, a consacrare Castañer - insieme i due marchi hanno creato il primo modello con la zeppa e da lì in poi le espadrillas sono diventate parte dell’eleganza francese, perfette sia per le Baleari che per la Costa Brava, simbolo di un’estetica vacanziera e disinvolta.




gettyimages-508406316© Rico Puhlmann - Getty Images

Decenni dopo, è stato Karl Lagerfeld a recuperarle per la maison: le espadrillas Chanel hanno fatto il loro debutto con la collezione Primavera/Estate 2013. Il modello in tela pastello, con punta quasi dorata e le doppie C intrecciate, sembrava una ballerina con la licenza di prendersi una vacanza, e come accade sempre con Lagerfeld, poco dopo sono arrivate tutte le variazioni possibili, in pelle liscia, in tweed, in denim, in velluto trapuntato. Oggi le espadrillas Chanel sono considerate un’istituzione estiva quanto la 2.55 e la giacca bouclé, un classico off-duty, un ibrido perfetto tra informalità e savoir-faire.


gettyimages-650951986© Bernard Annebicque - Getty Images

A contribuire in maniera meno vistosa, e forse più radicale, al mito delle espadrillas fu Pablo Picasso, che amava indossarle durante le sue vacanze a Juan-les-Pins o sulla spiaggia di Dinard, abbinate a camicie di lino e pantaloni larghi. Il mercante e mecenate Paul Rosenberg, vero regista del suo successo mondano, si preoccupava personalmente che l’artista ricevesse regolarmente i modelli giusti, quelli più morbidi, con la suola flessibile. Quando nel 1919 Picasso era partito per Londra con i Ballets Russes, è stata la moglie di Rosenberg a spedirgli un paio di espadrillas nuove insieme a qualche consiglio su come arredare il soggiorno con eleganza. Quindi non sorprende che, tra i codici del “basque chic”, ci siano proprio le espadrillas, che con i loro colori bruciati – gialli, ocra, rossi terracotta – sono il simbolo stilistico di una Francia rurale e colta allo stesso tempo.



gettyimages-949589912© Francois ANCELLET - Getty Images


 Dal lino coltivato nei Paesi Baschi alle righe dei pescatori dell’Atlantico, fino ai berretti alla marinara, è tutto parte di un’estetica sobria, assolutamente riconoscibile, a cui Picasso ha contribuito in modo decisivo, sia con i suoi quadri che con il modo in cui abitava il mondo. Di questi tempi la maggior parte delle espadrillas è prodotta in Bangladesh, con metodi industriali e materiali sintetici, eppure ci sono ancora laboratori che resistono, come Castañer e Naguisa, a Barcellona, dove si lavora secondo metodi autentici - la suola in sparto è ancora modellata a mano, la tela ancora tagliata in due pezzi distinti, cuciti e poi fissati con cura maniacale. Un lavoro artigianale e di fino che, seppur invisibile, farà tutta la differenza.

Destinazioni lontanissime da raggiungere a velocità moderate: viaggiare in scooter è un’esperienza unica, diversa da tutte le altre

in sottofondo Vespa 50 special - Cesare Cremoni Culture Club - Karma Chameleon