dalla nuova sardegna del 14\7\2007 leggo questa notizia curiosa che mi ha fatto capire chje al cuore nonsi comanda .
Giovane cagliaritana diventa vittima della sindrome di Stoccolma e si becca dieci mesiUn’infermiera si fidanza con il suo aguzzino nigeriano, poi ritratta tutto e gli evita il carcere
I due si erano conosciuti tre anni fa a Monte Urpinu ed era scattata la denuncia per abusi sessuali
CAGLIARI.
Da vittima di violenza sessuale a salvatrice del suo “aguzzino”. Sarà stata una folgorazione da sindrome di Stoccolma a spingere un’infermiera cagliaritana a sacrificarsi per risparmiare il carcere a quello che poi è diventato il suo fidanzato. Sacrificio che le è costato una macchia sulla fedina penale: un patteggiamento per calunnia. La strana e intricata storia di una ventiduenne di Cagliari e di un trentenne di origini nigeriane parte dal reato di abusi sessuali. Così è iniziata la loro relazione che, oltre alle barriere culturali, ha aggirato pure i meccanismi della Giustizia.
Nell’aprile di tre anni fa, a soli diciannove anni, l’infermiera conosce per strada un ambulante di Benin City (l’anonimato è d’obbligo), che la seduce e la invita per una passeggiata notturna lungo i viali di Monte Urpinu.
Distratta dal panorama della città, non si accorge che lo sconosciuto brucia le tappe:allunga le mani, le insinua negli abiti e si spinge oltre la sua volontà. E’ troppo tardi per tentare di capire se si sia trattato di un rapporto incosciente oppure violento, ma decide ugualmente di denunciarlo. Così facendo, però, innesta la marcia di una macchina che sarà lei stessa a bloccare, auto-accusandosi.
Ma procediamo con ordine. Dopo qualche mese i due tornano ad incontrarsi in strada, per caso. Si frequentano e si piacciono, incuranti del primo burrascoso approccio. Che non impedisce loro di avviare una relazione sentimentale, oggi solida più che mai. A spezzare l’apparente tranquillità, un giorno arriva una comunicazione della Procura della Repubblica: è una proroga di indagine indirizzata al trentenne, a firma del pubblico ministero Alessandro Pili.
E’ la prova che quella denuncia fatta un paio d’anni prima, nell’impeto della rabbia per il rapporto sessuale fugace a Monte Urpinu, non è caduta nel vuoto. Da quel momento, cominciano gli interrogatori e le indagini vere e proprie.
Agli inquirenti l’immigrato prova a spiegare che la disavventura nel parco è ormai storia vecchia, nonché prologo burrascoso di un fidanzamento in piena regola. L’infermiera vuole ritirare la querela, ignara del fatto che, per accertare abusi su donne e bambini, la Giustizia procede da sola, anche senza la denuncia della vittima. Si arrovella per uscire da questa trappola dai risvolti molto pesanti: il suo ex “carnefice”, attuale compagno, rischia una condanna da cinque a dieci anni di galera.
Disperati, bussano alla porta dell’avvocato Michele Satta, molto conosciuto nella comunità nigeriana per essersi occupato dei problemi dell’immigrazione. Con il legale, l’infermiera si presenta in Procura, dal pm Pili per rivelare che si è inventata tutto. Che la denuncia era una sorta di vendetta per la freddezza con la quale lui l’ha trattata dopo l’incontro fugace.
Al magistrato non resta che iscriverla nel registro degli indagati per calunnia - reato che può costare fino a nove anni di galera - perché ha accusato una persona che sapeva essere innocente. Lungi dall’essere una sciagura, quell’incriminazione ha rappresentato la via d’uscita. Perché contemporaneamente, il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione del fascicolo a carico del fidanzato. E ieri mattina, il giudice per l’udienza preliminare, Alessandro Castello, ha accettato di concederle il patteggiamento a dieci mesi e dieci giorni, pena sospesa. Con molta probabilità l’infermiera avrebbe accettato persino di scontarli in carcere, pur di tenersi il fidanzato.
Giovane cagliaritana diventa vittima della sindrome di Stoccolma e si becca dieci mesiUn’infermiera si fidanza con il suo aguzzino nigeriano, poi ritratta tutto e gli evita il carcere
I due si erano conosciuti tre anni fa a Monte Urpinu ed era scattata la denuncia per abusi sessuali
CAGLIARI.
Da vittima di violenza sessuale a salvatrice del suo “aguzzino”. Sarà stata una folgorazione da sindrome di Stoccolma a spingere un’infermiera cagliaritana a sacrificarsi per risparmiare il carcere a quello che poi è diventato il suo fidanzato. Sacrificio che le è costato una macchia sulla fedina penale: un patteggiamento per calunnia. La strana e intricata storia di una ventiduenne di Cagliari e di un trentenne di origini nigeriane parte dal reato di abusi sessuali. Così è iniziata la loro relazione che, oltre alle barriere culturali, ha aggirato pure i meccanismi della Giustizia.
Nell’aprile di tre anni fa, a soli diciannove anni, l’infermiera conosce per strada un ambulante di Benin City (l’anonimato è d’obbligo), che la seduce e la invita per una passeggiata notturna lungo i viali di Monte Urpinu.
Distratta dal panorama della città, non si accorge che lo sconosciuto brucia le tappe:allunga le mani, le insinua negli abiti e si spinge oltre la sua volontà. E’ troppo tardi per tentare di capire se si sia trattato di un rapporto incosciente oppure violento, ma decide ugualmente di denunciarlo. Così facendo, però, innesta la marcia di una macchina che sarà lei stessa a bloccare, auto-accusandosi.
Ma procediamo con ordine. Dopo qualche mese i due tornano ad incontrarsi in strada, per caso. Si frequentano e si piacciono, incuranti del primo burrascoso approccio. Che non impedisce loro di avviare una relazione sentimentale, oggi solida più che mai. A spezzare l’apparente tranquillità, un giorno arriva una comunicazione della Procura della Repubblica: è una proroga di indagine indirizzata al trentenne, a firma del pubblico ministero Alessandro Pili.
E’ la prova che quella denuncia fatta un paio d’anni prima, nell’impeto della rabbia per il rapporto sessuale fugace a Monte Urpinu, non è caduta nel vuoto. Da quel momento, cominciano gli interrogatori e le indagini vere e proprie.
Agli inquirenti l’immigrato prova a spiegare che la disavventura nel parco è ormai storia vecchia, nonché prologo burrascoso di un fidanzamento in piena regola. L’infermiera vuole ritirare la querela, ignara del fatto che, per accertare abusi su donne e bambini, la Giustizia procede da sola, anche senza la denuncia della vittima. Si arrovella per uscire da questa trappola dai risvolti molto pesanti: il suo ex “carnefice”, attuale compagno, rischia una condanna da cinque a dieci anni di galera.
Disperati, bussano alla porta dell’avvocato Michele Satta, molto conosciuto nella comunità nigeriana per essersi occupato dei problemi dell’immigrazione. Con il legale, l’infermiera si presenta in Procura, dal pm Pili per rivelare che si è inventata tutto. Che la denuncia era una sorta di vendetta per la freddezza con la quale lui l’ha trattata dopo l’incontro fugace.
Al magistrato non resta che iscriverla nel registro degli indagati per calunnia - reato che può costare fino a nove anni di galera - perché ha accusato una persona che sapeva essere innocente. Lungi dall’essere una sciagura, quell’incriminazione ha rappresentato la via d’uscita. Perché contemporaneamente, il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione del fascicolo a carico del fidanzato. E ieri mattina, il giudice per l’udienza preliminare, Alessandro Castello, ha accettato di concederle il patteggiamento a dieci mesi e dieci giorni, pena sospesa. Con molta probabilità l’infermiera avrebbe accettato persino di scontarli in carcere, pur di tenersi il fidanzato.
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