Mia madre uccisa da mio padre": si laurea con una tesi sulla violenza di genere

leggo sul solito https://www.msn.com/it-it/ la storia di Maria Elisabeth Rosanò, . Ovviamente in tutto questo la domanda e lucubratoria di come un uomo che volontariamente ha commesso un omicidio abbia scontato solo due anni di galera, sorge spontanea... . Elizabeth è una ragazza coraggiosa .che ha dimostrato una grande forza, come tutti coloro che hanno saputo resistere a sofferenze tanto grandi è una splendida intelligenza. Complimenti ai suoi genitori adottivi che non si sono fatti smontare da niente e dalle pressioni degli assistenti sociali . Sia il tuo babbo sia le tue mamme, quella che condivide la sua vita con te e quella che ti porti dentro, sono sicuramente orgogliosi di te. Brava a tagliere con il tuo padre biologico. La storia di questa ragazza fa pensare a quanta carenza di empatia nei professionisti che devono occuparsi di bambini orfani e quanto purtroppo ne determinano il futuro
da  repubblica  32\10\2023   


"Mia madre uccisa da mio padre”. E 18 anni dopo la figlia del femminicidio si laurea con una tesi sulla violenza di genere   . Maria Elisabeth Rosanò, 25 anni: “Ho coltivato questa mia propensione verso l’impegno sociale per contribuire a costruire una società più attenta ai bisogni delle vittime e dei bambini, la cui sofferenza spesso è invisibile”

                                        di Gabriella Cantafio
                               Maria Elisabeth Rosanò con i genitori adottivi





«Mamma, sono sempre stata al tuo fianco per difenderti, per sostenerti. Tu non hai potuto farlo, ma tua figlia è sempre qui»: con questo messaggio racchiuso tra le righe dei ringraziamenti della sua tesi di laurea, Maria Elisabeth Rosanò, 25enne calabrese, volge il pensiero a sua madre Anja, barbaramente uccisa, quasi 20 anni fa, per mano dell’uomo che amava nonché padre dei suoi figli, a Campana, paesino della Presila cosentina.
«Avevo 6 anni, stavo giocando nella mia cameretta quando vidi mio padre imbracciare il fucile da caccia e uccidere mia madre. Sanguinante, si avvicinò a me e ai miei due fratelli maggiori e ci sussurrò “è arrivata la mia fine”, giurandoci amore eterno» così la neolaureata in sociologia ricorda quegli attimi che hanno stravolto la sua vita e, successivamente, ispirato il suo percorso di studi.
Ai tempi non esisteva il reato di femminicidio, tanto che il padre – costituitosi subito – grazie a varie attenuanti scontò soltanto 2 anni di carcere. La vera odissea, invece, iniziò per la piccola Maria Elisabeth che improvvisamente si è ritrovata da sola, in un orfanotrofio.
«Di volta in volta venivo affidata a una famiglia diversa. Non avevo neanche il tempo di affezionarmi che venivo rispedita indietro come un pacco. Ho creduto di essere io il problema, mi sentivo abbandonata al mio destino finché, a 9 anni, sono rinata tra le braccia di Mirella e Domenico che sono diventati i miei genitori adottivi», racconta.
L’affetto della nuova famiglia ha colmato il vuoto in cui era sprofondata anche a causa della mancanza di assistenza e sostegno per chi come lei viveva la condizione di “orfana di femminicidio”. «Mi fa ancora male pensare agli assistenti sociali che cercarono di distoglierli dall’adozione, dicendo loro che ero troppo vivace e li avrei fatti dannare. Ma fortunatamente i miei genitori sono stati tenaci» aggiunge.
Proprio per sopperire a questa carenza di professionalità e sensibilità vissuta in prima persona, terminato il liceo, Maria Elisabeth ha deciso di intraprendere il percorso universitario presso la facoltà di sociologia a Catanzaro, a pochi chilometri da Girifalco, dove vive con i suoi genitori.
«Ho coltivato questa mia propensione verso l’impegno sociale, cercando di dare voce alla testimonianza di mia madre per aiutare le persone che si trovano a vivere la stessa situazione, per contribuire a costruire una società più responsabile e attenta ai bisogni delle vittime di violenza, ma anche dei bambini, la cui sofferenza spesso è invisibile» spiega.
La sua tesi di laurea, pertanto, non poteva che essere un approfondimento sulla “Violenza di genere nel contesto domestico”, in cui partendo dalla sua storia personale analizza le figure che ruotano attorno al fenomeno in continua crescita, i servizi di prevenzione e supporto alle vittime, le normative esistenti che, nonostante i passi avanti, non sono mai abbastanza efficaci.
Oltre che alla madre biologica, i suoi ringraziamenti sono rivolti ai genitori adottivi che hanno ridonato speranza a una bambina con lo sguardo spento dal dolore incommensurabile.
«Se sono arrivata fin qui – ci tiene a precisare – è anche e soprattutto grazie a loro che mi hanno sostenuta in ogni mia scelta. Anche quando, appena maggiorenne, ho voluto incontrare mio padre biologico per cercare un frammento mancante nei miei ricordi di bambina. Non appena ha giustificato l’omicidio di mia madre con la rabbia per un suo ipotetico tradimento, ho deciso di non avere più alcun rapporto con colui che mi ha privato dell’amore più grande e avrebbe dovuto scontare molti più anni in carcere. Invece, continuo a sentire i miei fratelli che, più grandi di me, si sono costruiti il loro futuro da soli».
Adesso, finalmente, è tempo di sorrisi per Maria Elisabeth Rosanò. Si gode il traguardo raggiunto, spera di poter lavorare presto in un centro antiviolenza per mettere la sua esperienza e le sue competenze a disposizione delle troppe vittime, ma non smette mai di denunciare l’assenza delle istituzioni. «Nessun bambino dovrebbe vivere il dolore che ho dovuto affrontare, di cui tuttora porto addosso le conseguenze, tra paure e attacchi di panico. Nessuno mai si dovrebbe sentire come me: una valigia che viaggiava da una casa all’altra, senza sapere dove potesse fermarsi e finalmente aprirsi».

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