
Pareti tappezzate di libri, e poi dischi, chitarre disseminate per casa, un pianoforte, registratori a nastro. Dylan, Springsteen, Cohen, De Gregori e tutti i cantautori italiani di quegli anni sono i narratori della sua infanzia, raccontano storie e costruiscono immagini. Canzoni come fiabe. «Ero solo un bambino, ma ascoltavo e viaggiavo con la mente, mi emozionavo. E ancora oggi è così, l’incanto è rimasto. Mio papà era un cantautore e scriveva racconti, ma mi diceva sempre che nella vita avrei dovuto arrangiarmi e che se avessi voluto fare il musicista avrei dovuto impegnarmi più degli altri», racconta Enrico Mantovani, 50 anni, musicista, polistrumentista, direttore di una scuola di musica, educatore e maestro originario di Orzinuovi.
Autodidatta
Fin dalle elementari comincia a prendere in mano gli strumenti che lo circondano, la sua casa è un viavai di musicisti amici di famiglia. E prende alla lettera le parole di papà Mario. Autodidatta, a 15 anni suona già Jimi Hendrix, si allena fino a 12 ore al giorno e a 16 anni conosce Fabrizio De André. «Giorgio Cortini, il chitarrista di De André, mi ha preso sotto la sua ala e mi ha portato con sé nei backstage dei concerti, dove ho incontrato Fabrizio: non sono riuscito ad aprire bocca. A 18 anni ho iniziato a suonare con Cortini, andavamo nei locali e nei club a fare blues», ricorda. Da quel momento non si ferma più, in un crescendo di incontri e collaborazioni importanti: Renga, Nannini, Pino Daniele, Massimo Ranieri, Fausto Leali e tanti altri, fino al sodalizio con Massimo Bubola, che dura da oltre trent’anni.
La rivelazione
«Nel 2010 arrivo a Santa Maria Navarrese per fare un concerto con Bubola, sono rimasto sbalordito da questo posto: gli ulivi centenari, gli scorci di mare e di terra, i profumi, l’aria pulita, i silenzi, poche luci. Ho sentito un’energia speciale, ma non avrei mai immaginato di venire ad abitarci come poi è successo un paio di anni fa». In seguito torna tutte le estati a suonare, conosce tutti, viene accolto come uno di famiglia. Poi la svolta: un anno e mezzo fa sceglie di stabilirsi proprio a Santa Maria Navarrese. «Qui ho ritrovato il mondo contadino dell’infanzia, del paese in cui sono nato. Mi sono ritrovato a fare le cose che facevo nelle cascine. Le persone sono concrete, i rapporti sani, mentre al nord c’è una società più finta, che vive di apparenza», racconta.
Pace dell’anima
«Questa è una terra dell’anima, di pace. D’inverno ho fatto una vita un po’ monastica, ho riflettuto molto, i pensieri hanno un passo più lento, la mia anima sta bene. Suono meglio, il cervello è più libero. Qui ho fatto i concerti più belli della mia vita!», conclude Enrico. Lascia l’Isola circa cinque volte all’anno per suonare in giro per l’Italia insieme a Bubola e alla band di De André, ma poi torna in Ogliastra, dove lo aspetta l’essenziale. I libri, i dischi e il suo studio di registrazione. Quello che non ho è quel che non mi manca.
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